Adrenoleucodistrofia: la terapia di supporto dietetico è fondamentale. Gli alimenti di ultima generazione sono in grado di penetrare la barriera ematoencefalica
“Ad oggi, nel trattamento dell’adrenoleucodistrofia, la diagnosi precoce e la terapia di supporto dietetico sono fondamentali”, spiega il prof. Marco Cappa, Responsabile dell’UOC di Endocrinologia presso il Dipartimento di Medicina Pediatrica dell’Ospedale Bambino Gesù di Roma. L’adrenoleucodistrofia legata all’X (X-ALD) è una malattia genetica rara che appartiene alla famiglia delle leucodistrofie e ha un’incidenza stimata di circa un caso ogni 20.000 nascite. Si tratta di una patologia metabolica che colpisce non solo il cervello, il midollo spinale e i nervi periferici, ma anche la corteccia delle ghiandole surrenali e talvolta i testicoli. I sintomi sono correlati a un accumulo anomalo di acidi grassi a catena molto lunga (VLCFA, Very Long Chain Fatty Acids) in alcune cellule del tessuto nervoso o nel surrene.
“La cura definitiva per questa malattia è una sola: la sostituzione del gene malato con uno sano”, precisa il prof. Marco Cappa. “Tutto ciò si realizza con la terapia genica, che tuttavia non è sempre una strada percorribile. Se questo approccio si esegue in pazienti che hanno già alterazioni a carico del sistema nervoso centrale, si rischia di ottenere più danni che benefici. A tal proposito è stato sviluppato uno ‘score’, ossia un punteggio che valuta il grado di compromissione neuroradiologica e che permette di selezionare quei pazienti che, presentando un deterioramento ancora allo stadio iniziale, possono essere sottoposti alla terapia genica o al trapianto di midollo. In tutti gli altri casi, essendo l’adrenoleucodistrofia una patologia metabolica, la terapia di supporto è principalmente dietetica e antinfiammatoria”.
La X-ALD può comparire a diverse età e presentarsi in manifestazioni cliniche di diversa gravità:
– Adrenoleucodistrofia cerebrale legata all’X (X-CALD). È la forma più grave e insorge solitamente in età infantile. I segni iniziali dell’X-CALD sono un deficit cognitivo moderato, seguito da riduzione dell’acuità visiva, sordità centrale, atassia, talvolta convulsioni e demenza. Nell’arco di qualche anno è in grado di portare i piccoli pazienti allo stato neurovegetativo o alla morte. L’adrenoleucodistrofia cerebrale dell’adulto è del tutto simile all’X-CALD che si presenta durante l’infanzia, ma compare in età più avanzata.
– Adrenoleucodistrofia legata all’X (X-ALD) adolescenziale. Compare nei maschi adolescenti o nei giovani adulti, accompagnata da insufficienza corticosurrenalica (AI). Con il passare degli anni, spesso degenera nell’adrenomieloneuropatia (AMN).
– Adrenomieloneuropatia (AMN). Ha un’insorgenza più tardiva (età media 30 anni) ed è caratterizzata da sintomi a lenta progressione che possono includere rigidità degli arti, debolezza e dolore a mani e piedi, spasmi, problemi urinari e disfunzione sessuale.
– Adrenoleucodistrofia con insufficienza corticosurrenalica isolata. Talvolta viene confusa con la malattia di Addison (a causa dell’accumulo degli acidi grassi a catena lunga e molto lunga nel surrene) e si manifesta con stanchezza, colorito bronzeo della cute, nausea, perdita di peso, ipotensione e ipoglicemia. Il 50% di questi pazienti può sviluppare, con il tempo, anche una sintomatologia neurologica.
– Adrenoleucodistrofia nelle donne portatrici di X-ALD. È caratterizzata da sintomi meno gravi rispetto ai corrispettivi maschili della malattia e l’esordio è più tardivo (superati i 40 anni). In genere, le donne presentano una sintomatologia tipica dell’adrenomieloneuropatia. Le forme cerebrali o corticosurrenaliche sono rare (rispettivamente 2% e 1%). “La malattia si trasmette con il cromosoma X”, spiega il prof. Cappa. “Quindi, teoricamente, le portatrici dovrebbero avere un’altra X che compensa quella malata. In realtà, per un meccanismo complesso, che si chiama “skewed X inactivation”, è possibile che la X malata abbia il sopravvento su quella sana e permetta, in parte, il manifestarsi della malattia. Un nostro studio del 2019 mostra come, superati i quarant’anni, l’incidenza di questa patologia raggiunga anche il 70%”.
“In generale – prosegue l’esperto del Bambino Gesù – la terapia di supporto dietetico rappresenta un importante ausilio per tutte le tipologie di adrenoleucodistrofia. Prima di tutto, si procede con la prescrizione di una dieta a basso contenuto di VLCFA, messa a punto da un nutrizionista. In secondo luogo, si somministrano quelli che vengono chiamati “alimenti a fini medici speciali”. I tre presidi che, negli anni, sono stati maggiormente utilizzati sono: l’Olio di Lorenzo, l’Adrenomix e l’Aldixyl. Si tratta di miscele di oli capaci di abbassare i livelli di VLCFA. Tuttavia, mentre il vecchio Olio di Lorenzo era in grado di ridurre i livelli di acidi grassi nel sangue ma non riusciva a passare la barriera ematoencefalica, i prodotti di nuova generazione, come l’Aldixyl, sono in grado di farlo”.
“In particolare – continua il prof. Cappa – la composizione dell’Aldixyl permette un’azione diretta a livello del sistema nervoso centrale (SNC). In questa formulazione, infatti, al glicerolo trioleato e all’acido erucico, efficaci nel ridurre perifericamente i livelli di acidi grassi, sono stati aggiunti i trigliceridi dell’acido linoleico coniugato (TGCLA), che permettono di superare la barriera ematoencefalica e di regolare il metabolismo dei VLCFA a livello del sistema nervoso centrale. Infine, la presenza di una miscela di potenti antiossidanti ad alti dosaggi (acido alfa lipoico, L- glutatione ridotto e vitamina E) permette di potenziare l’azione antinfiammatoria a livello dell’intero organismo”.
L’infiammazione, infatti, rappresenta il ‘motore’ dell’adrenoleucodistrofia. L’accumulo di acidi grassi a livello del sistema nervoso centrale crea flogosi e porta al manifestarsi della patologia. “Per questa ragione, è fondamentale associare alla terapia nutrizionale anche una cura a base di antinfiammatori, come la N-acetilcisteina”, chiarisce il prof. Cappa.
“Questo tipo di terapia combinata va iniziato il prima possibile, anche nei soggetti candidati al trapianto di midollo”, sottolinea l’esperto. “Ciò è fondamentale per ridurre fin da subito l’accumulo di acidi grassi a catena lunga prima ancora che comincino a manifestarsi i sintomi della malattia. Per questo motivo, in collaborazione con l’Associazione Italiana Adrenoleucodistrofia Onlus (AIALD), l’Associazione Italiana Leucodistrofie Unite (AILU) ed ELA Italia Onlus – Associazione Europea contro la Leucodistrofia, stiamo lottando per l’approvazione, in Italia, dello screening neonatale per l’adrenoleucodistrofia. Dato, infatti, che il meccanismo della malattia è determinato dall’aumento di acidi grassi, una diagnosi precoce e un intervento tempestivo potrebbero rallentare il decorso della patologia se non, addirittura, di arginarlo. Questa è la nostra speranza”.