Emorragia intracerebrale: abbassare la pressione arteriosa riduce l’ematoma ma non migliora il recupero funzionale secondo uno studio
Abbassare la pressione arteriosa nei pazienti con emorragia intracerebrale (ICH) non migliora il recupero funzionale, anche se riduce la crescita dell’ematoma. Lo dimostra una revisione sistematica e meta-analisi presentate alla European Stroke Organisation–World Stroke Organisation (ESO-WSO) Conference 2020. Nonostante la scoperta negativa, i ricercatori hanno osservato un’ampia variazione nell’effetto dell’intervento tra gli studi esaminati. Hanno anche scoperto che il trattamento della pressione arteriosa basato sul target tendeva a migliorare la funzione più di quello a dose fissa.
«Questi dati forniscono un forte messaggio: il trattamento precoce di riduzione della pressione arteriosa può controllare il sanguinamento. Un dato che non era chiaro in precedenza» ha dichiarato Craig Anderson, professore di Neurologia ed Epidemiologia presso l’Università del Nuovo Galles del Sud, a Sydney (Australia).
«Questi dati, peraltro, indicano anche che la gestione della pressione arteriosa nell’ICH è complessa» ha aggiunto. Devono essere considerati la tempistica, il tipo di farmaco e le caratteristiche del paziente, ha specificato. «Abbiamo bisogno di più dati per consentire una migliore individualizzazione di questa terapia».
Confronto con il trattamento basato sulle linee guida
La controversia sull’efficacia della riduzione della pressione arteriosa nei pazienti affetti da ICH continua, nonostante gli studi che hanno esaminato tale questione. Nella presente analisi, Anderson e colleghi hanno cercato di esaminare le prove da studi controllati randomizzati su questo tema e identificare l’eterogeneità potenzialmente trascurata tra i vari trial.
I ricercatori hanno condotto una revisione sistematica e una meta-analisi degli studi sui database Cochrane Central Register of Controlled Trials, EMBASE e MEDLINE. Hanno cercato sperimentazioni controllate randomizzate di gestione della pressione arteriosa in adulti con ICH acuta, concentrandosi su studi in cui i pazienti sono stati arruolati entro 7 giorni dall’insorgenza dell’ICH. Questi studi hanno confrontato la gestione intensiva della pressione arteriosa con la gestione basata sulle linee guida.
I ricercatori hanno scelto la funzione, definita come punteggio della Scala di Rankin modificata (mRS) a 90 giorni, come esito principale. Gli outcome radiologici includevano la crescita assoluta (> 6 mL) e proporzionale (> 33%) dell’ematoma a 24 ore.
Risultati differenti a seconda del farmaco somministrato
Sono stati identificati complessivamente 7.094 studi, di cui 50 ammissibili all’inclusione. L’analisi comprendeva 16 studi per i quali i rispettivi autori erano disposti a condividere i dati a livello di singolo paziente. L’analisi ha incluso dati relativi a 6.221 pazienti. L’età media dei pazienti era di 64,2 anni, il 36,4% erano donne e il tempo mediano dall’insorgenza dei sintomi alla randomizzazione era di 3,8 ore. Il punteggio medio della NIH Stroke Scale era di circa 11.
La pressione arteriosa sistolica media al basale era di 177 mmHg, e il volume medio dell’ematoma era di circa 10,6 mL. La differenza di pressione arteriosa tra i gruppi “intensivi” e “linee guida” era di circa 8 mmHg a 1 ora e 12 mmHg a 24 ore. La gestione intensiva della pressione arteriosa non ha influenzato la funzione a 90 giorni. L’odds ratio aggiustato (aOR) per lo spostamento sfavorevole dei punteggi mRS è stato di 0,97 (95% CI, 0,88 – 1,06; P = 0,503).
La gestione intensiva della pressione arteriosa, tuttavia, ha ridotto la crescita dell’ematoma (aOR assoluto, 0,75; 95% CI, 0,60 – 0,92; P = 0,007; aOR relativo, 0,82; 95% CI, 0,68 – 0,99; P = 0,034).
Nelle analisi pre-specificate per sottogruppi, i ricercatori hanno rilevato un trend verso esiti avversi tra i pazienti che hanno ricevuto bloccanti del sistema renina-angiotensina e una tendenza verso il beneficio nei pazienti che hanno ricevuto alfa-bloccanti o beta-bloccanti o calcio-antagonisti. Non hanno invece osservato una chiara associazione tra il tempo di trattamento e l’esito.
Oltre alla crescita dell’ematoma – ha sottolineato Anderson – altri fattori influenzano la prognosi dopo un’ICH, come lo stato del paziente prima dell’ICH (per esempio fattori di rischio cardiovascolare, l’età, gli effetti ipertensivi sul cervello, sui reni e sul cuore), la posizione dell’ICH e i suoi effetti sulle strutture circostanti e le complicazioni delle cure negli ospedali, come infezioni e sanguinamento.
Il suo gruppo sta conducendo due studi clinici, attualmente in corso, in pazienti con ICH:
- INTERACT3, sta valutando un pacchetto di controllo di qualità “care bundle” (una serie di interventi che, se usati insieme, migliorano significativamente i risultati per i pazienti) che include un abbassamento precoce intensivo della pressione arteriosa per i pazienti con grandi ICH che si sottopongono a un intervento chirurgico.
- INTERACT4 sta valutando il controllo precoce della pressione arteriosa in ambulanza per i pazienti con sospetto ictus acuto. Almeno un quinto di questi pazienti avrà un’ICH, ha detto Anderson.
Osservazioni relative all’influsso sull’esito
Tra i pazienti con ICH, gran parte del sanguinamento si verifica prima della presentazione presso l’ospedale, ha osservato Louis R. Caplan, neurologo presso il Beth Israel Deaconess Medical Center di Boston. Inoltre, il sanguinamento si verifica principalmente nella parte profonda del cervello, dove si trova la maggior parte dei tratti motori importanti. «Se quei tratti sono già colpiti, un ulteriore sanguinamento non cambierà le cose» ha detto Caplan.
Inoltre, il sangue viene spinto dall’interno del cervello alla periferia fino a quando la pressione al di fuori del cervello è uguale alla pressione al suo interno. «È possibile ridurre la quantità di sanguinamento in modo significativo, ma probabilmente ciò non influisce sull’esito» ha aggiunto il neurologo.
Un fattore da considerare nell’apparente mancanza di miglioramento funzionale dei pazienti è che l’mRS non è sensibile a piccoli cambiamenti nella disabilità. «Si deve mostrare un cambiamento piuttosto importante perché questo possa fare la differenza» ha evidenziato Caplan.
Inoltre, il recupero da un’emorragia richiede molto più tempo del recupero da un infarto. Esaminare la popolazione a 6 mesi sarebbe stato preferibile che esaminarla a 90 giorni, ma i ricercatori potrebbero non avere dati a 6 mesi, ha osservato. «La cosa principale è la prevenzione» ha concluso.