Semaglutide e terapia comportamentale battono l’obesità


Nei pazienti obesi o in sovrappeso semaglutide in aggiunta alla terapia comportamentale determinano riduzione del peso e del rischio cardiovascolare

La terapia nutrizionale medica, un piano di consigli dietetici personalizzati e sostenuti dall'evidenza scientifica, può aiutare per alcune malattie cutanee croniche

Nei pazienti in sovrappeso o obesi, semaglutide alla dose settimanale di 2,4 mg aggiunto alla terapia comportamentale intensiva ha consentito di ottenere una maggiore perdita di peso rispetto alla sola terapia comportamentale. E’ quanto emerge dagli esiti dello studio STEP 3, presentati alla conferenza virtuale ObesityWeek 2020.

Il trial STEP 3
Lo studio di fase III ha coinvolto 611 adulti, in gran parte donne, con un peso corporeo medio di 106 kg e un indice di massa corporea (BMI) di 38. Per partecipare alla sperimentazione era richiesto un BMI superiore a 27 e almeno una comorbidità oppure essere obesi con un BMI oltre 30. Al basale tutti i partecipanti non soffrivano di diabete, con livelli di emoglobina glicata (HbA1c) inferiori al 6,5%.

I partecipanti sono stati randomizzati in rapporto 2:1 a ricevere il GLP-1 agonista semaglutide per via sottocutanea alla dose di 2,4 mg o placebo una volta alla settimana in aggiunta alla terapia comportamentale intensiva (IBT). Quelli sottoposti a semaglutide hanno iniziato con una fase di aumento della dose della durata di 16 settimane, seguita da una fase di mantenimento di 52 settimane. Come specificato nella presentazione, la dose di 2,4 mg utilizzata nello studio è più alta rispetto a quella da 1,0 mg già approvata per il trattamento del diabete di tipo 2.

La terapia comportamentale intensiva prevedeva 30 sessioni di 15 minuti tenute da un dietista, allo scopo di aumentare l’attività fisica e ridurre l’apporto calorico tramite una dieta sostitutiva del pasto ipocalorica, che per le prime 8 settimane prevedeva l’assunzione di 1.000-1.200 calorie al giorno sotto forma di pasti liquidi, barrette e cibi convenzionali con porzioni controllate. Successivamente l’apporto calorico giornaliero era fissato a meno di 1.200 o 1.800 calorie per chi aveva un peso al basale inferiore rispettivamente a 90 o 136 kg.

Tutti i partecipanti sono anche stati seguiti per effettuare 100 minuti a settimana di esercizio di intensità moderata, che aumentavano di 15 minuti ogni 4 settimane.

Maggiore perdita di peso con semaglutide
I soggetti che hanno aggiunto alla IBT l’ipoglicemizzante semaglutide hanno perso significativamente più peso rispetto a quanti seguivano la sola terapia comportamentale, ha riferito durante la presentazione Thomas Wadden dell’Università della Pennsylvania a Philadelphia. «Dopo 68 settimane, i soggetti trattati con semaglutide più IBT hanno perso in media il 16% del peso corporeo, mentre quelli con placebo più IBT hanno perso solo circa il 5,7% (differenza di trattamento stimata, ETD, -10,3, P<0,0001)», ha aggiunto

Inoltre, soddisfacendo l’endpoint co-primario dello studio, il gruppo semaglutide più IBT ha raggiunto riduzioni di peso significativamente superiori rispetto alla sola IBT:

  • Riduzione di peso di almeno il 5%: 87% con semaglutide vs 48% con sola IBT
  • Riduzione di peso di almeno il 10%: 75% vs 27%
  • Riduzione di peso di almeno il 15%: 56% vs 13%
  • Riduzione di peso di almeno il 20%: 36% vs 4%

«All’aumentare della perdita di peso ci si aspetta una maggiore riduzione dei fattori di rischio cardiovascolari, ed è proprio quello che abbiamo osservato» ha detto Wadden. «Inoltre i soggetti trattati con semaglutide più IBT hanno ottenuto una diminuzione di 14,6 cm della circonferenza della vita rispetto a 6,3 cm con la IBT da sola (ETD -8,3 cm, p<0,0001).

Anche se tutti i partecipanti erano euglicemici al basale, il gruppo semaglutide ha ottenuto un calo significativo dei livelli di HbA1c, che si è ridotta dello 0,51% rispetto allo 0,27% nel braccio di confronto (ETD -0,24%, p<0,0001).

La terapia con semaglutide ha anche comportato una riduzione significativamente maggiore della pressione sanguigna, con un calo di 5,6 mm Hg di quella sistolica e di 3 mm Hg della diastolica, anche se si è verificato un aumento del polso con il trattamento attivo, in particolare durante le prime 16 settimane di trattamento, che è lentamente diminuito nel corso dello studio. Al termine della settimana 68 questa differenza non era più significativa, con un aumento di 3,1 battiti/min per quanti avevano assunto semaglutide rispetto a un aumento di 2,1 battiti/min con la sola IBT.

Dal punto di vista dell’infiammazione sono migliorati significativamente i livelli di proteina C-reattiva tra i soggetti trattati, con una riduzione stimata del 60% rispetto al 23% con la IBT da sola (media 4,46 mg/dl al basale, ETD -48%, p<0,0001).

Come previsto un dosaggio più elevato di semaglutide ha aumentato l’incidenza di effetti collaterali gastrointestinali, principalmente nausea, vomito, diarrea e costipazione (83% vs 63% con sola IBT). Nel complesso semaglutide ha comportato anche una percentuale maggiore di eventi avversi gravi (9% vs 3%), legati principalmente a complicazioni con la funzione della cistifellea, come lo sviluppo di calcoli biliari o la necessità di una colecistectomia.