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Osteoporosi indotta: denosumab meglio di alendronato

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Osteoporosi indotta da glucocorticoidi: denosumab da preferire ad alendronato secondo un trial clinico randomizzato della durata di 12 mesi

A parità di tollerabilità del trattamento, denosumab migliora la densità minerale ossea (DMO) a 12 mesi a livelli superiori rispetto a quanto fatto da alendronato in pazienti affette da osteoporosi indotta da glucocorticoidi. Questo il responso di un trial clinico randomizzato della durata di 12 mesi, presentato nel corso del congresso annuale ACR, tenutosi in maniera virtuale causa Covid-19.

Razionale e disegno dello studio
“I glucocorticoidi rimangono, ad oggi, il trattamento cardine delle malattie di pertinenza reumatologica – hanno ricordato i ricercatori nella presentazione del lavoro al Congresso -. Eppure questi farmaci rappresentano uno dei principali fattori di rischio di frattura”.

L’obiettivo dello studio è stato quello di mettere a confronto l’efficacia sulla densità minerale ossea del rachide di due farmaci per l’osteroporosi indotta, di provata efficacia: denosumab e alendronato.

A tal scopo, sono stati reclutate 139 pazienti in trattamento da lungo termine con prednisolone prescritto per diverse condizioni cliniche.

Costituivano motivo di inclusione nello studio un’età superiore a 18 anni e l’assunzione di 2,5 mg/die di prednisolone da almeno un anno.

Erano, invece, motivi di esclusione l’impiego pregresso di denosumab o teriparatide, il desiderio di programmare una gravidanza, il riscontro di una ipocalcemia inspiegabile o di una malattia metabolica dell’osso e, last but not least, la presenza di insufficienza renale.
Le partecipanti reclutate nel trial sono state randomizzate a trattamento con denosumab (60 mg sottocute a cadenza semestrale) o ad alendronato (70 mg/settimana).

Indipendentemente dal trattamento assegnato dalla randomizzazione, tutte le pazienti con osteoporosi indotta erano  supplementate con calcio carbonato (3.000 mg/die) e vitamina D3 (1.000 UI/die).

I ricercatori hanno effettuato valutazioni della DMO (a livello del collo femorale, dell’anca in toto e della colonna lombare) sia all’inizio dello studio che a distanza di 6 e di 12 mesi, come pure di alcuni marker di turnover osseo (P1NP e CTx).

L’outcome primario dello studio era rappresentato dalla differenza delle variazioni di DMO della colonna lombare a 12 mesi tra i due gruppi in studio.

Le pazienti avevano un’età media pari a 50 anni ±12,7): 69 erano state randomizzate a trattamento con denosumab e 70 con alendronato. Il 56% del campione era in postmenopausa.

L’’81% era affetto da LES, il 9,4% da artrite reumatoide e il 5% da miositi. La dose di prednisolone all’ingresso era pari a 5,7±2,1mg/die.
Settantatre pazienti (pari al 53%) era affetto da osteoporosi (T score < -2,5) al femore, al collo femorale o alla colonna lombare.
Il BMI medio era pari a 23,1±4,1kg/m2 (11% delle pazienti aveva un BMI< 18kg/m2).

Ottantadue pazienti (pari al 59%) erano naive ai bisfosfonati. Una fragilità pre-esistente o il riscontro di frattura vertebrale erano presenti in 19 pazienti (14%), mentre in 18 pazienti (13%) avevano una storia familiare di fratture.

Dati di efficacia
I risultati ad un anno hanno documentato un guadagno significativo di DMO a livello della colonna lombare (+3,5±2,5%; p< 0,001) e del femore (+0,9±2,8%; p=0,01) nel gruppo di pazienti trattate con denosumab, mentre le variazioni corrispondente sono state pari a +2,5±2,9% (p< 0,001) e a +1,6±2,7% (p< 0,001) nel gruppo di pazienti trattate con alendronato.

La DMO a livello del rachide è risultata significativamente più elevata, a 12 mesi, nel gruppo denosumab rispetto al gruppo alendronato dopo aggiustamento dei dati di DMO in relazione alla situazione al basale, all’età, al sesso di appartenenza e ad altri fattori di rischio per l’OP quali il fumo, l’alcol, la dose cumulativa di steroidi assunta in un anno, il BMI, lo stato menopausale e una storia personale di fratture (p=0,045).

Le differenze di DMO a livello del femore e del collo femorale non sono state significativamente differenti tra i due gruppi dopo aggiustamento dei dati per gli stessi fattori confondenti. Non si sono avute nuove fratture sintomatiche nelle pazienti in studio ad un anno.

Sul fronte del metabolismo osseo, si è registrata una maggiore efficacia del denosumab nel sopprimere i livelli dei biomarcatori ossei ad un anno. Nello specifico, la riduzione percentuale dei livelli sierici di P1NP nel gruppo denosumab è risultata signficatviamente maggiore rispetto al gruppo alendronato (p=0,001).

Allo stesso modo, la riduzione dei livelli di CTx è risultata significativamente maggiore nel gruppo denosumab rispetto a quello alendronato (p<0,001).

Safety
La frequenza di eventi avversi è risultata sovrapponibile tra i due gruppi di trattamento, come pure quella di eventi infettivi principali (0,06/paziente/anno).

Si è rilevato, invece, un numero più elevato (ma non significativo) di effetti gastrointestinali minori e di vertigini nel gruppo alendronato, e di artralgia, infezioni minori (a carico del tratto respiratorio superiore) e di ipertensione di nuova diagnosi nel gruppo denosumab.

Tre pazienti del gruppo alendronato e 2 del gruppo denosumab si sono ritirare dallo studio per motivi di mancata compliace al trattamento assegnato, mentre nessuna lo ha fatto a causa di eventi avversi.

Limiti e implicazioni dello studio
Nel commentare i risultati, i ricercatori non hanno sottaciuto alcuni limiti metodologici intrinseci del lavoro (ridotto campione numerico pazienti, breve durata trattamento, disegno in aperto dello studio).

Ciò detto, “…denosumab – concludono – in ragione dei dati di maggior efficacia  vs. alendronato nelle pazienti in trattamento cronico con glucocorticoidi e del buon profilo di safety, potrebbe configurarsi come un’opzione di prima linea alternativa nelle pazienti a rischio elevato e in quelle che presentano controindicazioni all’impiego di bisfosfonati orali”.

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