“Il partito della nazione, cosa ci manca e cosa no del comunismo italiano” è il nuovo libro del deputato del Partito democratico Andrea Romano
“Sono quasi trent’anni che il Pci non esiste più, ma nel bene e nel male rappresenta la storia italiana“. E’ la tesi dell’ultimo libro di Andrea Romano, deputato Pd e professore di Storia contemporanea all’Università Tor Vergata di Roma, intervistato dalla Dire (www.dire.it) su Skype. Il libro si intitola ‘Il partito della nazione, cosa ci manca e cosa no del comunismo italiano‘, uscito in vista del centenario del Pci che si celebra il prossimo 21 gennaio.
Perchè partito della nazione?
“Perchè credo che il Pci, nato come movimento rivoluzionario, sia poi diventato una colonna dell’Italia repubblicana e difensore delle istituzioni democratiche“, spiega Romano. “Ebbe sempre come aspirazione quella di tenere insieme la nazione italiana, di non dividerla. Gramsci e Togliatti non erano dei settari, avevano in testa l’idea di tenere insieme il Paese“. Il partito, sottolinea, “si sforzò di mantenere unita l’Italia quando poteva essere spaccata”.
Cosa c’è nel Pd dell’eredità comunista?
“Non c’è niente delle proposte autentiche del Pci, ci mancherebbe altro, però c’è l’aspirazione di essere un partito di popolo, vuole rappresentarne una parte significativa”, risponde il deputato dem.
Cosa ci manca?
“Sicuramente non ci manca affatto il ruolo di connivenza che il Pci ebbe con i crimini del comunismo internazionale, negli anni della guerra fredda, del terrore staliniano. I comunisti italiani, volenti o nolenti, spesso volenti, furono complici, anche stando in silenzio”. Tra le “tante cose” che invece ci mancano c’è “il rigore metodologico dei comunisti italiani che disprezzavano i chiacchieroni, i velleitari. Erano sempre attenti a fare una analisi concreta e realistica della situazione, studiavano molto e sulla base di quelle analisi formulavano delle ipotesi, che erano sì piene di ideologia- ricorda- però erano serie”. Contava il singolo, c’erano “delle figure di leader gigantesche”, ma era importante anche “il gruppo dirigente, la squadra”. Oggi in Italia “siamo circondati da tanti aspiranti leader che dietro non hanno granchè e questo ai comunisti non sarebbe piaciuto”, rileva Andrea Romano. Il comunismo ha “fallito”, ammette, ed è finito “non per un colpo di testa di Achille Occhetto”, ma perchè è venuta meno l’Unione sovietica. Tuttavia resta “la vocazione fondamentale a tenere insieme coesione sociale e innovazione economica, progresso e crescita, giustizia sociale e sviluppo”. Il futuro del post comunismo e del Pd è legato alla crescita perchè “permette di redistribuire e di avere una società più giusta, io ho sempre diffidato- conclude- e penso lo avrebbero fatto i comunisti italiani di allora, di quelli che a sinistra propongono la decrescita felice, vedono lo sviluppo come un demonio, pensano che sia meglio diffondere la miseria invece che redistribuire la ricchezza”.