ll telescopio solare statunitense Dkist ha rilasciato la sua prima immagine di una macchia solare con dettagli del Sole mai visti prima dalla Terra
Il rivoluzionario telescopio solare Dkist – acronimo per Daniel Ken Inouye Solar Telescope, il più grande e potente osservatorio solare del mondo, grazie al suo specchio primario da quattro metri di diametro – ha appena rilasciato la prima immagine dettagliata di una macchia solare. Sebbene il Dkist sia ancora nella fase di completamento (la costruzione, sull’isola di Maui, alle Hawaii, dovrebbe essere completata nel 2021), l’immagine già offre un assaggio delle prestazioni avanzate dell’intero sistema ottico del telescopio, e promette di offrire agli scienziati – durante il prossimo ciclo solare – una vista della nostra stella dalla Terra a una risoluzione mai ottenuta prima.
Le macchie solari sono la rappresentazione più visibile dell’attività solare. Gli scienziati sanno bene che più macchie solari sono visibili sul Sole, più questo è attivo. L’immagine, presa il 28 gennaio 2020, è riportata in un articolo, pubblicato la settimana scorsa su Solar Physics Journal, firmato da un team guidato da Thomas Rimmele del National Solar Observatory (Nso), uno fra i responsabili della costruzione e del funzionamento del telescopio.
«L’immagine della macchia solare ha una risoluzione spaziale circa 2,5 volte superiore a quella raggiunta in precedenza. Mostra strutture magnetiche sulla superficie del Sole grandi appena venti km», spiega Rimmele, commentando il livello sorprendente dei dettagli.
L’aspetto striato del gas caldo e freddo che fuoriesce dal centro più scuro è il risultato della convergenza di intensi campi magnetici del movimento convettivo dei gas caldi che ribollono sulla fotosfera. La concentrazione dei campi magnetici, nella regione più scura (la macchia), impedisce al calore proveniente dall’interno del Sole di raggiungere la superficie. Pur essendo meno calda della regione circostante, l’area scura della macchia raggiunge temperature di oltre quattromila gradi Celsius. Il suo diametro, poco più di sedicimila km, la rende un’area insignificante rispetto all’intera superficie del Sole, ma pur sempre abbastanza grande da poter comodamente ospitare la Terra al suo interno.
Il Sole ha già raggiunto il minimo solare – il periodo di minor numero di macchie – del suo ciclo di 11 anni nel dicembre 2019. La macchia solare immortalata da Dkist circa un mese più tardi è stata una delle prime del nuovo ciclo solare, il cui picco massimo (massimo solare) è previsto per la metà del 2025.
«Con il ciclo solare appena iniziato, entriamo anche nell’era dell’Inouye Solar Telescope», dice Matt Mountain, presidente di Aura, il consorzio di università statunitensi che gestisce Nso e il Dkis, «Ora possiamo puntare il telescopio solare più avanzato al mondo verso il Sole, per ottenere e condividere immagini incredibilmente dettagliate che accresceranno le conoscenze scientifiche sull’attività della nostra stella».
Gli eventi solari più energetici – come le macchie solari, i brillamenti e le espulsioni coronali di massa – influiscono sulla meteorologia spaziale, e non solo possono disturbare l’ambiente magnetico della Terra – dunque le reti elettriche, le comunicazioni, la navigazione Gps e i viaggi aerei – ma anche interferire con i satelliti o complicare il lavoro dei ricercatori a bordo della Stazione spaziale internazionale. Dkist è pronto a offrire un importante contributo agli strumenti per lo studio dell’attività solare, in particolare per l’analisi dei campi magnetici.
«Sebbene l’inizio delle operazioni di realizzazione del telescopio sia stato leggermente ritardato a causa degli impatti della pandemia globale Covid-19», dice David Boboltz, direttore del programma Nsf per il telescopio Dkist, «quest’immagine rappresenta un’anteprima delle capacità senza precedenti che l’osservatorio porterà alla nostra comprensione del Sole».
Per saperne di più:
- Leggi su Solar Physics Journal l’articolo “ The Daniel K. Inouye Solar Telescope – Observatory Overview”, di Thomas R. Rimmele, Mark Warner, Charles White, et al.