Malattie polmonari: i pazienti devono poter ricaricare l’ossigeno anche in ospedale e in farmacia. La senatrice Fregolen ha presentato un’interrogazione
I malati affetti da patologie polmonari e respiratorie gravi devono poter disporre di tutte le tecnologie essenziali a garantire loro un livello quantomeno accettabile di qualità di vita. È il senso dell’interrogazione a risposta scritta presentata il 14 dicembre scorso dalla senatrice Sonia Fregolent (Lega) al Ministro della Salute Roberto Speranza.
In particolare, si chiede che qualunque pronto soccorso ospedaliero, farmacia o presidio sanitario a livello nazionale sia attrezzato per consentire ai pazienti di ricaricare le bombole portatili per l’ossigeno liquido (stroller). Questo, fra l’altro, è l’obiettivo dell’articolo 5 ter della legge n.27 del 24 aprile 2020. La legge, però, di fatto non è stata attuata perché mancano ancora il decreto ministeriale contenente le specifiche modalità tecniche del progetto (la cui emanazione era prevista per il 31 luglio 2020) e l’ordinanza ministeriale urgente che era da definirsi nelle more dell’emanazione del decreto. Quindi i pazienti restano ancora in attesa, come ha denunciato la FIMARP, Federazione Italiana IPF e Malattie Rare Polmonari.
L’interrogazione della senatrice Fregolent chiede inoltre di rendere gratuite su tutto il territorio nazionale le forniture di tecnologie come i concentratori di ossigeno, con l’obiettivo di ridurre le disuguaglianze che esistono oggi a livello regionale.
Oltre 100.000 cittadini italiani sono affetti da gravi patologie polmonari e respiratorie, come la fibrosi polmonare, a causa delle quali sono obbligati ad una costante ossigenoterapia che li rende dipendenti dalle bombole di ossigeno. La riduzione della capacità respiratoria è assai limitante, in particolar modo per la mobilità esterna alla propria abitazione, in quanto i pazienti sono obbligati ad affidarsi agli stroller normalmente forniti per l’ossigenoterapia domiciliare.
“L’uso degli stroller consente ai pazienti di conquistare una certa libertà, ma per periodi molto limitati, ovvero non oltre le 2-3 ore, in quanto la bombola necessita di ricarica che, per motivi tecnici, può essere effettuata unicamente attraverso l’unità di base, ovvero la bombola in dotazione domiciliare”, si legge nell’interrogazione. “Non esistono altri luoghi sul territorio nazionale, come ad esempio ospedali, farmacie e presidi sanitari locali, dove poter ricaricare gli stroller, e questa condizione limita il paziente anche quando deve recarsi presso i centri di riferimento per gli indispensabili trattamenti e controlli sanitari”.
Queste condizioni non consentono ai pazienti ossigeno-dipendenti di avere autonomia nella loro quotidianità, né di avere una tranquillità psicologica per potersi allontanare dal proprio domicilio, ovvero dalla propria unità di base, per più di poche ore al giorno. Il fattore psicologico, legato all’ansia di restare senza ossigeno, l’angoscia, l’assuefazione ad una quotidianità ristretta alla propria abitazione, l’isolamento e la consapevolezza di dover convivere per il resto della propria vita con tali limitazioni possono giocare un ruolo rilevante nell’aggravio della malattia.
Un’alternativa possibile è rappresentata dall’utilizzo di un concentratore di ossigeno, in largo uso in quasi tutti i Paesi europei e negli Stati Uniti, in grado di rendere l’ossigenoterapia più agevole e sicura, perché conferisce al paziente una mobilità molto superiore rispetto a quella offerta dall’ossigeno liquido dello stroller, in quanto è dotato di una batteria che consente una facile ricarica e perché, a differenza dello stroller, ne è consentito l’utilizzo sui mezzi di trasporto come treni e aerei.
“Il concentratore di ossigeno è reperibile in commercio ad un costo piuttosto elevato e in Italia solo alcune regioni forniscono gratuitamente a domicilio queste apparecchiature, e comunque a un numero limitato di soggetti beneficiari”, conclude la senatrice Fregolent nell’interrogazione. “Appare evidente quanto questa situazione comporti a livello regionale una profonda disparità di trattamento tra malati della stessa patologia, in contrasto con il principio costituzionale di diritto alla salute.