In crisi l’azienda leader nella produzione di pop corn per il cinema: la Fun Food di Rivergaro è tagliata fuori dal meccanismo dei codici Ateco
Cinema, teatri, stadi e parchi di divertimento sono chiusi da mesi causa covid. Ma per loro ci sono i ristori. Non riceve invece un euro l’azienda italiana leader nella produzione di pop corn, che nel 2020 ha registrato un crollo del fatturato di oltre il 90% avendo nel portafoglio la maggior parte del mercato nazionale nel settore dello spettacolo. E che ore rischia la chiusura. Si tratta della Fun Food di Rivergaro, in provincia di Piacenza, che conta 24 dipendenti, tutti in cassa integrazione.
La ditta, essendo incardinata nel settore dell’agroalimentare come spiega la Dire (www.dire.it), è stata tagliata fuori dal meccanismo dei codici Ateco, su cui il Governo si appoggia per elargire i ristori. “Quello è un altro ottovolante”, sintetizza l’assessore allo Sviluppo economico della Regione Emilia-Romagna, Vincenzo Colla, che si attiverà per trovare una soluzione al problema. “Chiederemo al ministero ufficialmente di rivedere i codici Ateco nell’ultima finestra sui ristori che si aprirà a fine gennaio- afferma Colla- non c’è più esigenza di applicarli a prescindere, ma vanno calibrati sulla filiera. Non regge un sistema dove i codici sono trasversali, per cui un’azienda riceve i ristori e un’azienda della stessa filiera non li riceve”. E questo è proprio il caso della Fun Food.
Ad oggi sono tre le aziende che si occupano di rifornire cinema e parchi di divertimento di pop corn e delle macchine per sfornarli: oltre alla ditta di Rivergaro, sul mercato ci sono anche un’impresa americana e una tedesca, la quale invece “ha già ricevuto il 75% del fatturato perso” quest’anno a causa del Covid, sottolinea Tarasconi. Se la Fun Food chiude, quindi, “il mercato italiano sarà inglobato dalle aziende estere“. A gennaio 2020, spiega la dem, la ditta di Rivergaro ha registrato “un aumento del fatturato del 33,6%: rispetto al 2018 di 3,8 milioni di euro, rispetto al 2019 di 5,9 milioni. Quest’anno invece ha avuto un calo del fatturato di oltre il 90% ma non si è dato un minimo di ristoro”. Oltre alla chiusura forzata, riferisce Tarasconi, “hanno anche bancali di mais che vanno smaltiti, per i quali servono fondi. Per fortuna è un’azienda sana, ma non può andare avanti per sempre. Stanno anche cercando di entrare in altri mercati, come la grande distribuzione, ma non è un’operazione che si fa in pochi giorni”. Per questo, sollecita la consigliera Pd, “la Regione dia una mano per trovare una soluzione”.
Colla assicura che, oltre all’impegno col ministero, contatterà l’azienda “per vedere se come Regione possiamo anche fare altro. Confermo che si tratta di una società leader nel mondo in questa produzione, tra l’altro il mais dolce è anche una filiera del nostro agroalimentare”. L’azienda in questi mesi “ha subito un blackout- continua l’assessore- i lavoratori sono in cassa integrazione Covid ed è stato già attivato il tavolo di crisi. Lo scenario è presidiato, ma siamo dentro l’ottovolante dei codici Ateco. L’azienda è dentro il codice dell’agroalimentare, dove ci sono anche imprese che non sono in difficoltà e anzi sono andati come treni. Per questo chiederemo al ministero di rivedere il sistema”.