Cecilia Valente analizza l’insediamento del Presidente degli Stati Uniti Joe Biden e l’avvio della sua amministrazione di rottura rispetto a quella Trump
Il 20 gennaio scorso, intorno alle 17:45 ora italiana, Joe Biden e Kamala Harris hanno prestato giuramento davanti al Campidoglio di Washington, e sono ufficialmente diventati il nuovo presidente e la nuova vicepresidente degli Stati Uniti d’America. La tradizionale cerimonia che segna l’inizio del mandato del presidente eletto, quest’anno è stata prevedibilmente molto diversa dal solito. Il 2020 è stato l’anno della pandemia di COVID-19, degli scontri con i manifestanti di Black Lives Matter, l’anno culminato con lo spaventoso assalto al Campidoglio avvenuto nei primi giorni del 2021. Le migliaia di persone che di solito riempiono il National Mall di Washington non hanno potuto presenziare all’insediamento, per motivi sanitari e di sicurezza. Al loro posto, sono state posizionate circa 200mila bandiere americane a simboleggiare il popolo statunitense.
L’ombra della pandemia e dei fatti dello scorso sei gennaio hanno aleggiato sull’intera cerimonia. L’evento è stato studiato nei minimi dettagli per dare un chiaro messaggio al popolo americano e al mondo intero. Biden ha voluto sottolineare la sua volontà di rimettere insieme i pezzi di un’America divisa. Il giuramento di Kamala Harris non poteva che essere il simbolo più grande di questo nuovo assetto. La prima donna a ricoprire la carica di vicepresidente. La prima donna non bianca. Le divisioni saranno però difficili da colmare. Negli ultimi anni, gli Stati Uniti hanno visto il loro tradizionale bipolarismo politico (e partitico) trasformarsi in vera e propria polarizzazione. È un processo in atto da molto tempo, che Donald Trump ha contribuito ad accelerare ed enfatizzare, permettendo che ogni estremismo diventasse normale. Ha rifiutato qualsiasi tipo di cooperazione bipartisan fino al suo ultimo giorno di presidenza, disertando la cerimonia d’insediamento. È il quarto presidente ad averlo fatto.
Il momento più toccante dell’intera cerimonia è stato quello che ha visto protagonista Amanda Gorman, giovane poetessa di ventidue anni a cui Joe Biden ha scelto di affidare il suo messaggio. La giovane donna ha declamato una poesia che parla di un’epoca oscura appena passata, e di una nuova alba all’orizzonte. Esattamente quello che si propone di essere la nuova amministrazione Democratica dopo i quattro anni di guida Trump. «In qualche modo, abbiamo resistito e siamo stati testimoni di come questa nazione non sia rotta, ma, semplicemente, incompiuta» ha recitato. Ed è tutta lì l’essenza degli Stati Uniti. L’avidità di perfezione, il non sentirsi mai completi, mai arrivati. L’avere sempre un obiettivo più alto da raggiungere. È scritto nel preambolo della loro Costituzione, in cui il popolo americano si prefigge di “perfezionare” l’Unione.
Per farlo, le divisioni dovranno essere messe da parte, in favore dell’esaltazione di ciò che unisce gli Stati Uniti, un paese che ha fatto della multiculturalità il suo punto di forza. «Colmiamo il divario, perché sappiamo che, per poter mettere il nostro futuro al primo posto, dobbiamo prima mettere da parte le nostre differenze». È significativo che Joe Biden, uomo di settantottotto anni, abbia scelto una ventiduenne quasi sconosciuta poetessa di colore per dare inizio al suo mandato.
Il messaggio del nuovo presidente è chiaro: è un nuovo inizio per gli Stati Uniti d’America. Giustizia sociale, giustizia razziale, difesa dell’ambiente, ripresa economica e aiuti per le fasce della popolazione più povere. Biden si è messo al lavoro già nel pomeriggio del 20 gennaio, subito dopo il suo giuramento. Ha firmato 17 ordini esecutivi per annullare i provvedimenti presi dall’amministrazione Trump. Primi tra tutti, il blocco della costruzione del muro con il Messico, le nuove misure per rallentare i contagi da COVID-19, il rientro degli Stati Uniti nell’Accordo di Parigi sul clima. Ci sarà sicuramente molto sui cui lavorare per riassestare una società divisa, messa in difficoltà dalla pandemia e dalla crisi economica, per ricostruire la cooperazione a livello internazionale, ma sembra che l’America voglia tornare a fare l’America.
di Cecilia Valente