Entro la fine del 2022 potrebbero essere disponibili in Italia terapie digitali rimborsate dal Servizio sanitario nazionale: un’opprtunità per il medico di base
Anche se in ritardo rispetto ad alcuni Paesi come Stati Uniti, Francia, Germania e Regno Unito, entro la fine del 2022, o forse anche prima, potrebbero essere disponibili in Italia terapie digitali (conosciute anche con il termine inglese digital therapeutics) rimborsate dal Servizio sanitario nazionale.
Le indicazioni delle terapie digitali finora approvate e immesse nella pratica medica includono malattie croniche, dipendenze e sintomi associati a neoplasie. Per alcuni di questi digital therapeutics, il medico prescrittore è lo specialista di riferimento, ma per la gran parte di essi è il medico di medicina generale.
Ma i medici di famiglia italiani sono preparati a valutare e prescrivere terapie digitali ai propri pazienti? Le evidenze disponibili ci dicono di no, ma lo dovranno essere presto visto l’imminente arrivo di queste terapie anche nel nostro Paese.
Di questi temi si è parlato durante la Web Conference “Medicina Generale. Verso la medicina digitale”, organizzata da FIMMG Verona con Netmedica Italia e daVinci Digital Therapeutics.
“Mentre abbondano applicazioni scaricate dai pazienti senza un controllo del mondo medico e scientifico, poco note sono ancora le possibilità di programmi/app validati da studi clinici seri, autorizzati da enti regolatori e scaricabili solo dopo prescrizione medica, ha spiegato Franco Del Zotti, del Centro Studi FIMMG di Verona.
“L’applicazione delle nuove tecnologie alla medicina generale pone le basi per un nuovo paradigma dell’alleanza tra medico di famiglia e paziente, prossimità e continuità delle cure, empawerment del paziente e gestione della cronicità e dei quesiti clinici tipici della medicina generale”, ha aggiunto Del Zotti.
Lo scenario generale
Gli Stati Uniti sono il Paese di riferimento a livello globale per le terapie digitali. Per quanto riguarda l’Europa, la Germania è il Paese più avanzato in questo ambito, infatti, ha sviluppato una terapia digitale prima ancora degli USA. Anche la Francia, lo scorso giugno, ha approvato il primo digital therapeutic e fin dal 2018, il sistema sanitario del Regno Unito ha iniziato a effettuare valutazioni delle terapie digitali e a rimborsare alcune di queste per specifiche categorie di pazienti.
“Indietro nella cultura digitale, l’Italia è in ritardo anche nel settore delle terapie digitali, spiega Giuseppe Recchia, co-fondatore e CEO di daVinci Digital Therapeutics e Vice presidente della Fondazione Smith Kline. “Nel nostro Paese, dove nessun digital therapeutics è ancora presente, direi che il 2020 sia stato l’anno in cui si è cominciato a parlare di questa materia in modo abbastanza diffuso tra addetti del settore, imprese del farmaco e istituzioni”.
Le terapie digitali approvate dalle autorità regolatorie
Attualmente sono una decina le terapie digitali approvate. Il primo digital therapeutics ha ricevuto l’ok dall’Fda nel 2017. Si tratta di Reset una terapia digitale per il trattamento della dipendenza da sostanze da abuso. Già nel 2009 veniva utilizzata una app sviluppata in Germania, approvata successivamente, per il trattamento della depressione e una terapia per l’insonnia del 2013. Gli altri digital therapeutics comprendono terapie per la dipendenza da oppiacei, per i sintomi associati a neoplasia, per l’insonnia cronica, per il disturbo da deficit dell’attenzione e iperattività nel bambino e per la dipendenza da fumo. Sono in fase avanzata di sviluppo altre tre terapie, una per l’ipertensione arteriosa, una per il disturbo dello spettro autistico, basata su un video-gioco, e poi una terapia per la schizofrenia.
La telemedicina in Italia
“La tecnologia ha cambiato fortemente il lavoro dello specialista, un po’ meno quello del medico di medicina generale che è rimasto grossomodo invariato, soprattutto nel nostro Paese. All’estero la situazione è differente perché di medicina digitale si parla già da tempo, anche in ambito di cure primarie”, ha spiegato Alberto Malva, di SIMG Puglia.
La telemedicina, che rientra nell’ambito della “medicina digitale”, non è una cosa nuova, ma salvo alcune eccellenze, non ha mai fatto parte della normale pratica clinica del medico di medicina generale in Italia.
Nel nostro Paese, il 10 settembre 2020 la Conferenza Stato Regioni ha emanato un documento pratico sull’utilizzo della telemedicina in ambito specialistico, ma al momento non esiste alcun documento di questo tipo per il medico di famiglia.
“L’equivalenza tra una visita fisica e una visita fatta attraverso la telemedicina va dimostrata. Sono necessarie linee guida, che al momento sono scarse, che dicano cosa si può fare con la telemedicina e cosa non si può fare e come utilizzarla”, ha aggiunto Malva.
“Mentre le evidenze sull’utilità degli strumenti di telemedicina degli anni ‘90 e ‘00 erano scarse, le prove di efficacia della sensoristica degli anni ‘20 sono molto convincenti. I dati dimostrano che la telemedicina porta a un cambio di paradigma, in quanto la sensoristica aiuta il medico a prevenire l’insorgenza di una patologia o di un determinato evento, intervenendo prima che questo accada, al contrario di quello che avviene normalmente quando il medico agisce somministrando una terapia dopo che l’evento patologico si è verificato”, ha aggiunto Malva.
“L’innovazione tecnologica rappresenta una grande opportunità per la medicina generale. La telemedicina in Italia non è mai stata utilizzata dal medico di famiglia, se non in rari casi. Abbiamo quindi la possibilità di passare direttamente all’utilizzo della medicina digitale. Come riporta The Lancet, la tecnologia non sostituirà mai il medico, ma i clinici che utilizzano la telemedicina sostituiranno quelli che non la usano”, ha concluso Malva.
Terapie digitali, criticità italiane e ruolo della medicina generale
Diverse evidenze dimostrano l’efficacia delle terapie digitali. Ma allora perché non sono così diffuse?
“Esistono delle criticità generali, ha spiegato Giuseppe Recchia. La prima riguarda il loro posto in terapia: dal mio punto di vista dovrebbero essere la prima terapia che il medico prescrive al paziente. La seconda criticità riguarda il ruolo del medico: le aziende che sviluppano queste terapie tendono a darle direttamente al paziente, ma in Europa si tende a farla prescrivere dal medico ed è quest’ultimo che deve fare da tramite tra la terapia e il malato. Il terzo punto critico riguarda il rapporto con il farmaco: queste terapie possono aggiungersi o combinarsi al trattamento farmacologico migliorando gli esiti di salute del paziente, aumentano il valore terapeutico del farmaco ed estendono il ciclo di vita di quest’ultimo. Inoltre, le terapie digitali danno la possibilità di accedere a dati di vita reale e in tempo reale, di personalizzare la terapia, completare l’offerta terapeutica ed entrare in nuove aree terapeutiche”.
“In Italia ci sono altre criticità, aggiunge Recchia. La prima riguarda il livello delle prove di efficacia su queste terapie. Nel nostro Paese c’è molta confusione e impreparazione su questo argomento. Le prove di efficacia non devono essere una semplice validazione clinica, ma devono basarsi su studi randomizzati e controllati di tipo confirmatorio, condotti secondo regole adeguate. Il secondo punto critico riguarda il rimborso. In Europa, difficilmente potranno arrivare terapie digitali senza essere rimborsate dai Servizi sanitari nazionali. I Paesi avanzati hanno già provveduto in questo senso, come Germania, Regno Unito e Francia. La terza criticità riguarda le modalità di sperimentazione clinica e di sviluppo. Il ruolo del medico di medicina generale è fondamentale in questo ambito perché stiamo parlando di patologie gestite da questa figura. La sperimentazione clinica deve quindi avvenire negli ambulatori dei medici di famiglia, ma non può avvenire con i metodi “analogici” attuali, ma attraverso strumenti digitali e anche in questo l’Italia è ancora indietro rispetto agli altri Paesi. Dobbiamo necessariamente superare queste barriere, ha aggiunto Recchia”.
“Fondazione Smith Kline si è fatta promotrice del progetto “Terapie digitali per l’Italia, iniziato il 3 luglio del 2019 e terminato il 15 ottobre 2020. Gli obiettivi del progetto erano consentire anche al paziente italiano di accedere alle terapie digitali e di offrire opportunità di sviluppo economico e sociale per il nostro Paese attraverso la ricerca e lo sviluppo di nuove opzioni terapeutiche. Si tratta di un gruppo di lavoro composto da circa 40 esperti del settore che ha portato alla stesura di un documento, pubblicato lo scorso dicembre su una rivista italiana e che verrà pubblicato successivamente su altre riviste indicizzate e che verrà riportato all’Ema il prossimo marzo”.
Quando arriveranno in Italia le terapie digitali?
“Entro la fine di ottobre del 2022 potrebbero arrivare in Italia le prime terapie digitali. La medicina generale deve guidare lo sviluppo della medicina digitale, ma soprattutto delle terapie digitali. Tutto questo forse non è possibile con il farmaco, ma in questo caso è possibile e si deve fare, perché se la medicina generale non partecipa non ci sarà terapia digitale per il paziente italiano”, ha concluso Recchia.
“Nel nostro Paese va sviluppata la consapevolezza su questo argomento. Consapevolezza non vuol dire solo conoscenza dei valori ma anche delle criticità di queste terapie. In un momento in cui le cose stanno andando molto velocemente anche in Italia, a causa del Covid, bisogna fare informazione su questi argomenti. Dobbiamo capire come poterci muovere e avere la consapevolezza che certi processi possono essere governati anche dalla medicina generale”, ha aggiunto Paolo Misericordia, Responsabile del Centro Studi e Area ICT FIMMG Nazionale.
E allora che cosa fare?
“Fondamentale, per l’introduzione dei digital therapeutics nella pratica medica anche in Italia, sarà la partecipazione del medico di medicina generale sia al team di ricerca e sviluppo, insieme a pazienti, medici specialisti, ingegneri, programmatori ed altri esperti, soprattutto per quanto riguarda la definizione dell’intervento terapeutico che dovrà costituire il “principio attivo digitale” della nuova terapia digitale. Fondamentale sarà quindi la sua partecipazione alla sperimentazione clinica, per la quale l’adozione di modelli “decentralizzati” ovvero “fuori dai centri tradizionali” di sperimentazione clinica (Decentralized Clinical Trials) rappresenta una condizione a nostro giudizio obbligata”, ha concluso Recchia.