La droga sempre più diffusa, tra tredicenni si inizia con la cocaina. La psichiatra: i pre-adolescenti si drogano “per divertimento” e negano di avere una dipendenza
“Lo scenario della dipendenza da sostanze stupefacenti è cambiato, già da prima del lockdown: l’età di avvio all’utilizzo di sostanze stupefacenti si è abbassata e si parla di minori nella prima adolescenza”, dai 13 anni in poi. Francesca Picone, psichiatra e direttore del Sert di Montelepre in provincia di Palermo, non nasconde la preoccupazione per il cambiamento profondo che la dipendenza da droghe sta subendo nel tempo: prima di tutto riguardo all’età di primo consumo che sta scendendo sensibilmente, sia sul fronte della tipologia di sostanze consumate. “Non si inizia solo con i cannabinoidi – spiega l’esperta alla Dire (www.dire.it) – ma direttamente con sostanze come la cocaina e il crack. A questo si aggiunge il dato, ulteriormente allarmante e drammatico, del consumo di nuove sostanze, dalle classiche ‘pasticche’ agli oppiacei analgesici che i ragazzi riescono a procurarsi con le modalità più impreviste e imprevedibili. Un uso che ha come conseguenza un più rapido passaggio all’uso iniettivo di eroina. Significa una iniziazione precocissima- sottolinea Picone- con tutto quello che comporta sul sistema neurotrasmettitoriale di questi ragazzi”.
Cosa spinge dei ragazzini di 13 o 14 anni a provare le sostanze stupefacenti?
“Il trend più frequente- chiarisce la direttrice del Sert di Montelepre- è il consumo per divertimento. Di conseguenza il paradigma si è capovolto: se in passato erano gli utenti a venire da noi, oggi è fondamentale che siamo noi operatori ad andare nei luoghi di ritrovo e di divertimento dei ragazzi per intercettarli quanto prima, perché consumare sostanze per divertimento non li rende consapevoli del rischio che corrono ne’ di esserne dipendenti. Quindi- sottolinea- prima riusciamo a intercettarli e intervenire meglio è. La scelta di avviare iniziative direttamente nei luoghi della movida è nata dopo la constatazione, attraverso i dati di ricerche nazionali, che i ragazzi arrivavano sempre più tardi ai Sert rispetto al primo consumo e, al contempo, in età sempre più precoce, con dipendenze ormai molto forti, consolidate e cronicizzate. I ragazzi- ribadisce la psichiatra- non hanno la percezione del rischio per la loro salute e per la qualità della loro vita attuale e futura“.
La curiosità per le droghe e il consumo per divertimento, prosegue l’esperta, riguardano ragazzi provenienti da situazioni familiari molto diverse tra loro. “Ci sono famiglie normalissime, alcune molto presenti e ansiose, altre in condizioni di disagio e con situazioni molto complesse. Ovviamente- tiene a precisare- nel caso di famiglie presenti e sufficientemente sane, il recupero del ragazzo è facilitato. Quando la dipendenza è conclamata e in fase avanzata- constata Picone- il recupero è invece difficile, a volte richiede un percorso in comunità. Quest’ultimo è un’esperienza dura, dolorosa che lascia cicatrici profonde, anche perché in queste comunit° si incontrano ragazzi molto diversi tra di loro, alcuni anche con esperienze di delinquenza alle spalle. Le situazioni meno gravi- invece- sono seguite a livello ambulatoriale con colloqui, monitoraggio delle urine, lasciando ai ragazzi la possibilità di continuare la loro vita quotidiana andando a scuola, restando in famiglia”.
Un fenomeno emergente, racconta ancora la direttrice del Sert di Montelepre, è quello del consumo di sostanze stupefacenti da parte dei ragazzi immigrati, spesso minorenni, a volte non accompagnati. “Ricordo la storia di un ragazzino nigeriano, arrivato a Palermo da solo, inserito nel circuito dei servizi sociali e anche in un contesto scolastico- afferma Francesca Picone- Le sue ferite emotive sono molto profonde e così, per non sentire il dolore, ha iniziato a consumare cannabis e cocaina. È stato quindi inevitabile inserirlo in comunità. La sua storia è cambiata quando il ragazzo ha saputo della morte della sorella in Nigeria, l’unica persona della sua famiglia che gli era rimasta. Un evento che ha scatenato in lui il desiderio di avviare un percorso di recupero proprio in onore e in memoria della sorella. Oggi si è tirato fuori da quella condizione, ha un lavoro e conduce una vita normale. Insomma – conclude la psichiatra con una punta di orgoglio – ce l’ha fatta”.