Osteoporosi: denosumab, nel lungo termine, non peggiora funzione renale in pazienti nefropatiche secondo i risultati dello studio di fase 3 FREEDOM
Il trattamento con denosumab riduce l’incidenza di fratture e, nel lungo termine, non induce progressione del deterioramento della funzione renale in donne con osteoporosi affette anche da nefropatia cronica (CKD) di grado lieve-moderato. La conferma viene dall’analisi post—hoc dei dati provenienti dalla fase di estensione di uno studio di fase 3 FREEDOM, in doppio cieco, recentemente pubblicata su JCEM.
Razionale dello studio
“L’invecchiamento è associato, come è noto, ad un declino graduale della funzione negli individui di età superiore ai 70 anni o al di sotto della soglia utilizzata per definire la nefropatia cronica (CKD: eGFR< 90 ml/min) – scrivono i ricercatori nell’introduzione allo studio. – Si stima che l’85% della donne affette da OP presentino un’alterazione di grado lieve-moderato della funzione renale, definita da una clearance stimata della creatinina (CCr) inferiore o uguale a 60 ml/min, mentre il 24% presenta una severa compromissione renale (CCr <35 ml/min)”.
“Dato che – continuano i ricercatori – sia la qualità dell’osso che la funzione renale tendono a declinare con l’età, l’osteoporosi e la CKD sono comorbilità comuni che riducono la qualità della vita e contribuiscono alla morbi- mortalità nelle persone di età più avanzata”.
Di qui l’importanza di comprendere la sicurezza e l’efficacia delle terapie per l’OP nei pazienti con insufficienza renale e gli effetti di questi agenti sulla funzione renale intrinseca.
Denosumab è un anticorpo monoclonale avente come target RANKL, un elemento che inibisce gli osteoclasti, con conseguente riduzione dei fenomeni di riassorbimento osseo e innalzamento della densità minerale ossea (DMO).
“Denosumab – ricordano i gli autori dello studio – non è metabolizzato o escreto dal rene, e i dati a 3 anni del trial di fase 3 FREEDOM condotto in donne osteoporotiche in post-menopausa ha mostrato simile efficacia e sicurezza del trattamento, indipendentemente dalla presenza di uno stato di compromissione renale”.
L’assenza di dati sugli effetti a lungo termine di denosumab in individui con insufficienza renale ha sollecitato il nuovo studio – un’analisi a 10 anni dei dati del trial FREEDOM con relativa fase di estensione in aperto, quest’ultima condotta sui partecipanti dei bracci di crossover del trial (denosumab senza interruzione, transizione da placebo a denosumab).
L’analisi in questione ha valutato l’efficacia e la sicurezza di deniosumab in individui con diverso grado di compromissione renale e variazioni della funzione renale nel tempo.
Disegno e risultati principali
Lo studio originario, condotto in 214 centri dislocati a livello globale, aveva reclutato donne di età compresa tra i 60 e i 90 anni con DMO a livello del femore o del rachide compresa tra -4 e -2,5 deviazioni standard.
Queste erano stato randomizzate inizialmente a trattamento con 60 mg di denosumab sottocute a cadenza semestrale o a placebo per 3 anni. Le pazienti del braccio di trattamento attivo (n=2.342) e di quello placebo (n= 2.200) potevano aderire alla fase di estensione dello studio in aperto della durata di 10 anni o 7 anni (quest’ultima previo crossover di trattamento da placebo a denosumab).
I ricercatori hanno valutato, in tal modo, l’incidenza di fratture e la funzione renale.
Prima di ricevere denosumab, l’84% delle pazienti del braccio di trattamento ininterrotto con denosumab e l’81% di quelle passate, mediante crossover, da placebo a denosumab erano affette da CKD di grado 2 o 3.
Il tasso di nuove fratture vertebrali durante i primi 3 anni era elevato nelle pazienti del gruppo placebo e più elevato in quelle senza CKD (2,5% vs. 0,6%), seguito dalle pazienti con CKD allo stadio 2 (1,7% vs. 0,3%), CKD allo stadio 3 (0,9% vs. 1,2%) e CKD allo stadio 3b (1,6% vs. 0), rispettivamente.
L’incidenza di fratture vertebrali è rimasta bassa nel gruppo di estensione trattato in maniera ininterrotta con denosumab (0,9%, 0,8%, 0,8%, 0,7%) mentre è risultata più elevata nel gruppo “crossover” (1,7%, 1,7%, 1,4%, 1,7%) tra le pazienti senza CKD e in quelle con CKD allo stadio 2, 3 a e 3 b, rispettivamente.
Rispetto alle condizioni di partenza, dopo la fase di estensione a lungo termine, la DMO della colonna lombare e del femore sono aumentate:
– Del 22% e del 9,7% nelle pazienti senza CKD
– Del 21,7% e del 9,4% in quelle con CKD allo stadio 2
– Del 21,7% e del 9,8% in quelle con CKD allo stadio 3 a
– Del 23,7% e del 7,4% in quelle con CKD allo stadio 3 b
Dopo il crossover di trattamento, in invece, la DMO della colonna lombare e del femore sono aumentate:
– Del 17,1% e dell’8,2% nelle pazienti senza CKD
– Del 17% e del 7,5% nelle pazienti con CKD allo stadio 2
– Del 16,8% e del 7,6% nelle pazienti con CKD allo stadio 3 a
– Del 14,9% e del 6,2% nelle pazienti con CKD allo stadio 3 b
La funzione renale non è stata influenzata dal trattamento nel 45,8% delle pazienti che non avevano mai interrotto il trattamento con denosumab e nel 59, 4% di quelle passata da placebo a denosumab, considerando le pazienti che avevano iniziato lo studio con una funzione renale nella norma.
La progressione alla CKD allo stadio 2 è stata osservata, rispettivamente, nel 48,5% e nel 35,5% delle pazienti appartenenti ai due gruppi di trattamento sopra indicati.
Tra le pazienti che erano affette da CKD al basale, il 63,9% di quelle che non avevano interrotto il trattamento con denosumab e il 65,9% di quelle del gruppo crossover non hanno cambiato il loro stadio di malattia. Inoltre, nessuna delle partecipanti allo studio era stata sottoposta a trapianto renale durante lo studio.
Safety
Nel corso dell’analisi sono stati documentati tassi simili di eventi avversi (AE) tra i gruppi di trattamento e per la gran parte degli stadi di CKD. Tuttavia, AE seri sono stati registrati in misura maggiore nelle pazienti con CKD allo stadio 3 b.
Estremamente ridotto il numero di casi di osteonecrosi della mandibola e di ipocalcemia in entrambi i gruppi di trattamento.
Riassumendo
I risultati di questa analisi dimostrano che denosumab era efficace in modo simile nell’incrementare la DMO e ridurre il rischio di frattura nelle donne con funzione renale nella norma rispetto a quelle con insufficienza renale di grado lieve-moderato.
La magnitudo e la persistenza del guadagno di DMO e della riduzione del numero di fratture nel tempo sono risultate simili per tutti i sottogruppi di gravità di compromissione renale e consistenti con i risultati complessivi riportati per l’intera popolazione dello studio FREEDOM (e relativa fase di estensione) come pure nell’analisi qui presentata dei dati del trial, stratificati in base al grado di compromissione renale.
Tra i limiti dell’analisi riconosciuti dagli autori vi era, però, l’esclusione dalla valutazione delle pazienti che necessitavano di ricorso alla dialisi.
Bibliografia
Broadwell A et al. Denosumab safety and efficacy among subjects in the FREEDOM extension study with mild-to-moderate chronic kidney disease [published online November 19, 2020]. J Clin Endocrinol Metab. doi:10.1210/clinem/dgaa851
https://academic.oup.com/jcem/advance-article/doi/10.1210/clinem/dgaa851/5992310#219436741