Ecco alcuni degli studi più recenti sui comportamenti economici dei primati come cebi dai cornetti, gorilla e scimpanzè
Per comprendere i meccanismi cognitivi alla base delle prese di decisione nella nostra specie risulta di grande interesse lo studio del comportamento dei primati non umani, le specie animali a noi evolutivamente più vicine: dai cebi dai cornetti ai gorilla, fino agli scimpanzè. Comparando il nostro e il loro comportamento economico è possibile ricostruire le radici evolutive dell’economia umana. È questo il focus del numero speciale della rivista Philosophical Transactions della Royal Society of London, dal titolo “Existence and prevalence of economic behaviors in non-human primates”, curato da Elsa Addessi dell’Istituto di scienze e tecnologie della cognizione del Consiglio nazionale delle ricerche di Roma (Cnr-Istc), insieme a Thomas Boraud (Università di Bordeaux) e Sacha Bourgeois-Gironde (Institut Jean-Nicod – Ecole normale supérieure di Parigi) e che riunisce articoli multidisciplinari di università e centri di ricerca internazionali, dalla psicologia comparata all’economia, fino alle neuroscienze.
“I 16 contributi forniscono una panoramica delle più recenti ricerche sui comportamenti economici dei primati non umani. Ad esempio, evidenziano una serie di differenze interindividuali nella presa di decisione in condizioni di rischio, fondamentali per comprendere le origini evolutive del gioco d’azzardo patologico nella nostra specie”, spiega Addessi. “L’attitudine al rischio, ossia la preferenza per opzioni che hanno una probabilità di vincita anche bassa, come nel caso del sei al superenalotto, cambia a seconda del contesto sociale e dell’entità delle possibili perdite: gli scimpanzé sono più propensi all’azzardo in presenza di un potenziale competitore e quando, perdendo, ottengono una piccola ricompensa. Anche la modalità di proposta delle opzioni è importante: analogamente a quanto messo in luce tra gli esseri umani, i macachi rischiano di più di fronte a potenziali perdite che a potenziali guadagni”.
Nell’attitudine al rischio di questi primati non sussistono invece le differenze tra sessi osservate nella nostra specie, dove le donne tendono a rischiare meno degli uomini, probabilmente a causa di fenomeni di apprendimento culturale, come riportato in un contributo di Francesca De Petrillo, ricercatrice presso l’Institute for advanced study di Tolosa e associata Cnr-Istc.
“Sono inoltre illustrate differenze tra le varie specie di primati non umani nelle strategie utilizzate in test ispirati dalla teoria dei giochi, ad esempio in una versione semplificata del gioco della caccia al cervo, in cui due giocatori riescono a catturare un cervo solo agendo insieme, pur ignorando ciascuno la decisione dell’altro giocatore, probabilmente a causa di diverse capacità di coordinazione interindividuale”, prosegue la ricercatrice Cnr-Istc. “Altri contributi si focalizzano sul comportamento di scambio, ad esempio i cebi dai cornetti tengono conto sia della quantità sia della qualità dei beni proposti, massimizzando i propri guadagni, mentre i macachi selvatici che vivono intorno al tempio balinese di Uluwatu per ottenere cibo scambiano quotidianamente oggetti di valore rubati ai turisti come occhiali o cellulari. Viene tuttavia evidenziato che il comportamento di scambio nei primati non umani si manifesta raramente e in situazioni particolari, rimarcando l’unicità del nostro comportamento verso il denaro”.
Il numero speciale di Philosophical Transactions contiene anche una valutazione interessante in prospettiva. “L’analisi del comportamento di fronte a decisioni consecutive che includono scelte ripetute conferma che l’esito è influenzato dalle decisioni precedenti e può influenzare quelle future, come fanno un investitore in base alle fluttuazioni del portafoglio azionario o un cacciatore in base alle variazioni nel comportamento della preda”, conclude Addessi. “I contributi di questa raccolta, integrando per la prima volta approccio etologico e paradigmi delle neuroscienze, rappresentano una base interdisciplinare per futuri programmi di ricerca in chiave evoluzionistica e comparativa e permetteranno di comprendere meglio il comportamento economico umano e le sue anomalie”.
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