Mieloma multiplo: belantamab mafodotin è sicuro


Mieloma multiplo, belantamab mafodotin efficace e sicuro anche nei pazienti più fortemente pretrattati secondo i risultati di un nuovo studio

Mieloma multiplo, belantamab mafodotin efficace e sicuro

Il coniugato anticorpo-farmaco (ADC) belantamab mafodotin continua a dimostrarsi efficace in pazienti con mieloma multiplo recidivante/refrattario, e di essere in grado di fornire risposte incoraggianti e durature anche nei soggetti più pesantemente pretrattati, quelli, cioè, già sottoposti a ben 7 o più linee di terapia.

Lo evidenziano i dati di un’analisi post-hoc dello studio di fase 2 DREAMM-2, presentata in occasione dell’ultimo congresso dell’American Society of Hematology (ASH).

Il tasso di risposta obiettiva (ORR), che era l’endpoint primario del trial, è risultato in linea con quello riscontrato in analisi precedenti, non inferiore al 30%, e, soprattutto non ha mostrato differenze significative fra il gruppo già trattato con da 3 a 6 linee di terapia e quello che ne aveva già fatte almeno 7, così come la sopravvivenza globale (OS).

Inoltre, ulteriori analisi di questo trial presentate al convegno confermano il profilo di sicurezza e tollerabilità del farmaco e offrono dati rassicuranti sia riguardo alla tossicità oculare, un evento avverso da monitorare con attenzione nei pazienti trattati con belantamb mafodotin, sia all’impatto complessivo del trattamento sullo stato di salute generale e la qualità di vita del paziente.

In particolare, le analisi evidenziano che gli eventi oculari si risolvono nella maggior parte dei pazienti in corso di trattamento, senza che sia necessario interromperlo, e che, nonostante tali eventi, lo stato di salute complessivo, la qualità di vita e il funzionamento del paziente si mantengono, o addirittura migliorano, durante il trattamento con l’ADC.

«La possibilità che oggi abbiamo di impiegare belantamab mafodotin nei pazienti con mieloma multiplo ricaduto o refrattario, anche in quelli più pesantemente pretrattati, reduci da 7 o più linee di terapia, è certamente un fatto molto positivo. È un’opzione che utilizzeremo sempre di più in futuro e dal punto di vista della ricerca sarà ora importante trovare il partner ideale da associare a questo ADC per ottenere un effetto sinergico e incrementare ulteriormente l’efficacia del trattamento» ha dichiarato Francesco Di Raimondo, Professore Ordinario di Malattie del Sangue e Direttore della Divisione di Ematologia dell’A.O.U. “Policlinico-Vittorio Emanuele” di Catania.

Belantamab mafodotin
Belantamab mafodotin è un ADC diretto contro l’antigene di maturazione delle cellule B (BCMA), un antigene altamente espresso sulle plasmacellule mielomatose e la cui espressione aumenta passando dalle fasi più precoci della malattia a quelle più avanzate.
Il farmaco è formato da un anticorpo monoclonale in grado di riconoscere e legare il BCMA, coniugato con la monometilauristatina F (MMAF), un agente citotossico anti-microtubulare che viene rilasciato nel citoplasma a seguito del legame dell’anticorpo con l’antigene bersaglio.

Una volta legatosi al BCMA sulle cellule mielomatose, belantamab mafodotin le elimina attraverso un meccanismo d’azione multimodale, che comprende l’apoptosi indotta dalla MMAF, la citotossicità cellulo-mediata anticorpo-dipendente e la fagocitosi cellulare anticorpo-dipendente.

Poco dopo aver avuto il via libera della Food and drug administration, a fine agosto 2020 il nuovo ADC ha ottenuto l’approvazione anche della European medicines agency per il trattamento del mieloma multiplo recidivante/refrattario in pazienti adulti già trattati con almeno quattro terapie precedenti, la cui malattia sia risultata refrattaria ad almeno un inibitore del proteasoma, un agente immunomodulatore e un anticorpo monoclonale anti-CD38 e che abbiano mostrato una progressione della malattia durante l’ultima terapia.

Lo studio DREAMM-2
Il semaforo verde delle agenzie regolatorie è il frutto dei risultati positivi dello studio DREAMM-2 (NCT03525678) un trial multicentrico internazionale, randomizzato e in aperto, a due bracci, nel quale si sono testate efficacia e sicurezza di due dosi diverse di belantamab mafodotin in 196 pazienti con mieloma multiplo recidivante/refrattario, la cui malattia aveva progredito dopo tre o più linee di terapia e che erano triplo refrattari, erano, cioè, risultati refrattari a un immunomodulatore e a un inibitore del proteasoma e refrattari o intolleranti (o entrambe le cose) a un anticorpo anti-CD38.

Complessivamente, 97 pazienti sono stati trattati con 2,5 mg/kg e 99 con 3,4 mg/kg di belantamab mafodotin, somministrato mediante infusione endovenosa ogni 3 settimane, il giorno 1 di ogni ciclo, fino alla progressione della malattia o alla comparsa di una tossicità non tollerabile dal paziente.

Oltre all’ORR, gli sperimentatori hanno valutato, tra gli endpoint secondari chiave, anche la durata della risposta (DoR), il tasso di beneficio clinico (CBR), il tempo di risposta (TTR), la sopravvivenza libera da progressione (PFS) e l’OS.

Studio già pubblicato su The Lancet Oncology
Lo studio DREAMM-2 è stato pubblicato all’inizio del 2020 su The Lancet Oncology, con un follow-up mediano di 6,3 mesi. In seguito, ai congressi dell’American Society of Clinical Oncology (ASCO) e della European Hematology Association sono stati presentati dati con un follow-up di 13 mesi.

Il trial ha dimostrato che belantamb mafodotin in monoterapia esercita un’attività clinica profonda e duratura e ha un profilo di sicurezza gestibile nei pazienti con mieloma multiplo recidivato/refrattario fortemente pretrattati.
Nelle analisi presentate ai congressi ASCO ed EHA, l’ORR è risultato del 32% con la dose più bassa di belantamb mafodotin e 35% con quella più alta, mentre la durata della risposta è risultata di quasi un anno con il dosaggio più basso.
La PFS mediana è risultata rispettivamente di 2,8 mesi e 3,9 mesi, mentre l’OS mediana stimata pari rispettivamente a 13,7 mesi e 13,8 mesi.

Analisi degli outcome in funzione del numero di terapie precedenti
Al congresso dell’ASH, l’autore principale dello studio, Sagar Lonial, del Winship Cancer Institute della Emory University di Atlanta, ha presentato un’analisi sul gruppo di pazienti trattati con 2,5 mg/kg di belantamab (che è il dosaggio approvato dalle agenzie regolatorie), valutando gli outcome in base al numero di terapie già effettuate prima dell’ingresso nello studio DREAMM-2: da 3 a 6 (47 pazienti) e almeno 7 (50 pazienti).

L’età mediana dei partecipanti era di 62 anni (range: 39-85) nel gruppo già trattato con da 3 a 6 terapie e 67 anni (range: 45-85) in quello che ne aveva già fatte non meno di 7.

Inoltre, ha riferito Lonial, l’indice di massa corporea, l’etnia, il grado dell’International Staging System e la percentuale di pazienti con citogenetica ad alto rischio erano ben bilanciati nei due sottogruppi.

Esiti simili a prescindere dal numero di terapie precedenti
Gli outcome di efficacia sono risultati simili a prescindere dal numero di terapie già effettuate, sia dal punto di vista della risposta sia da quello della sopravvivenza.

Infatti, l’ORR è risultato del 34% nei pazienti che avevano già fatto da 3 a 6 terapie e 30% e in quelli che ne avevano fatte non meno di 7. Inoltre, nel primo sottogruppo il 17% ha ottenuto almeno una risposta parziale molto buona (VGPR), a fronte del 20% nel secondo.

«Sebbene il tasso di risposta sia risultato leggermente più alto nel gruppo che aveva fatto da 3 a 6 terapie precedentemente, anche quello che ne aveva fatte 7 o più ha mostrato una buona risposta ed è quindi confortante sapere di poter usare belantamab mafodotin anche nelle fasi più avanzate della storia del paziente con mieloma» ha sottolineato Di Raimondo.

La risposta è apparsa duratura in entrambe le popolazioni, con una DoR mediana rispettivamente di 11 mesi e 13,1 mesi e una probabilità di DoR non inferiore ai 6 mesi rispettivamente del 63% e 73%.
Inoltre, l’OS mediana è risultata rispettivamente di 13,7 mesi e 13,4 mesi, mentre la PFS mediana è risultata leggermente superiore per i pazienti meno pesantemente pretrattati: 2,9 mesi contro 2,2 mesi.

Quanto, al profilo di sicurezza di belantamab mafodotin, è risultato anch’esso simile nei due sottogruppi esaminati, senza differenze significative nell’incidenza degli eventi avversi (compresa la cheratopatia) di qualsiasi grado e gravi, né dei tassi di interruzioni del trattamento, dilazionamenti della somministrazione o riduzioni del dosaggio. Per quanto riguarda gli eventi avversi corneali, in particolare, i ricercatori non hanno osservato differenze tra i due sottogruppi nell’incidenza di tali eventi, nel tempo di esordio del primo evento e nel tempo di risoluzione dell’ultimo evento.

«Questa analisi post hoc ha mostrato che l’efficacia e la sicurezza di belantamab mafodotin non sono state influenzate dal numero di terapie precedenti», ha sintetizzato Lonial. Infatti, «si sono ottenute risposte profonde e durature, senza alterazioni degne di nota nel suo profilo di sicurezza, anche quando i pazienti avevano già effettuato 7 o più linee di terapia precedenti», ha concluso.

Recupero dagli eventi avversi oculari nella maggior parte dei pazienti 
Sull’aspetto della tossicità oculare, che è l’evento avverso di maggior interesse di belantamab mafodotin, si è focalizzata un’altra analisi post-hoc presentata al congresso.

Durante lo studio, i pazienti sono stati sottoposti a controlli oftalmologici regolari per caratterizzare completamente gli eventi oculari e i sintomi più comuni sono risultati la secchezza oculare, la riduzione dell’acuità visiva e l’offuscamento della visione. Uno stretto monitoraggio di tali eventi da parte di un oculista è fondamentale anche perché tali eventi possono essere asintomatici. Inoltre, le analisi precedenti dello studio hanno già dimostrato che le tossicità oculari possono essere gestite attraverso riduzioni del dosaggio di belantamab mafodotin e prolungando l’intervallo tra una dose e l’altra, senza compromettere l’efficacia del trattamento.

L’analisi illustrata all’ASH, eseguita dopo un follow-up mediano di 13 mesi, si è incentrata in particolare sul recupero dai sintomi oculari e ha evidenziato che sebbene gli eventi avversi oculari siano stati frequenti, nella maggior parte dei casi si sono risolti mentre il paziente era in trattamento e senza necessità di interromperlo.

Nonostante la cheratopatia (danno alla cornea dovuto alla secchezza causata da una chiusura palpebrale incompleta o inadeguata, con conseguente perdita o insufficienza del film lacrimale) sia stata un riscontro comune (72%), il 44% dei pazienti non ha manifestato sintomi come un declino clinicamente significativo dell’acuità visiva e le interruzioni del trattamento sono state rare.
Inoltre, il primo episodio di cheratopatia si è risolto in corso di terapia nella maggior parte dei pazienti (il 77%), così come il declino dell’acuita visiva (82%), e all’ultima visita di follow-up nessun partecipante ha mostrato una perdita permanente della visione.

«La cheratopatia è un effetto collaterale nuovo, per il quale i pazienti vanno monitorati nel tempo ed è fondamentale una stretta collaborazione con l’oculista», ha osservato Di Raimondo, «ma i risultati di queste analisi documentano come la stragrande maggioranza dei pazienti che hanno sviluppato questo effetto collaterale abbia avuto poi un miglioramento e soprattutto – aspetto molto importante – come in nessuno di essi si sia riscontrata una riduzione permanente dell’acuità visiva».

Qualità di vita e stato di salute generale mantenuti durante il trattamento
Peraltro, gli eventi avversi oculari non compromettono lo stato generale di salute e la qualità di vita correlata alla salute (HRQoL), come dimostrato da un’ulteriore analisi dello studio DREAMM-2 presentata all’ASH, nella quale Lonial e i colleghi hanno valutato gli outcome del trattamento riferiti dai pazienti (Patient Reported Outcomes, PRO), che rientravano fra gli endpoint secondari del trial.
I risultati di tali analisi evidenziano un generale mantenimento o addirittura un miglioramento dell’HRQoL, nonostante una riduzione temporanea della funzione visiva riscontrata in molti pazienti.

I sintomi complessivi della malattia (in particolare il dolore), il funzionamento dei pazienti e la QoL sono rimasti sostanzialmente stabili durante il trattamento, e alla settimana 7 il 46% dei partecipanti ha riferito un miglioramento significativo dell’affaticamento, un sintomo spesso di difficile gestione nel mieloma ricaduto/refrattario.

Le variazioni della funzione visiva, misurata attraverso l’Ocular Surface Disease Index (OSDI), sono risultate transitorie e quasi tre quarti dei pazienti che avevano mostrato una riduzione di tale indice fino alla soglia di variazione minima adottata nello studio, o superiore, sono migliorati dopo una mediana di 24 giorni.

Inoltre, più del 40% dei pazienti ha potuto continuare attività quotidiane come leggere e guidare senza o con poca difficoltà durante il trattamento. Alcuni di essi hanno dovuto interrompere temporaneamente queste attività a causa di alterazioni della vista, ma molti abbiano riferito di aver poi ripreso.

In più, nonostante i sintomi oculari, anche nei pazienti con riduzioni minime significative della funzione visiva i risultati del questionario EORTC-QLQ-C30 suggeriscono che lo stato di salute complessivo e la QoL, il funzionamento fisico e il funzionamento di ruolo generale non solo non sono peggiorati, ma sono stati mantenuti o sono addirittura migliorati durante il trattamento con belantamab mafodotin.

In conclusione
«Una temporanea limitazione di attività quotidiane come la lettura o la guida dovuta agli effetti avversi oculari può certamente impattare sulla qualità di vita. D’altra parte, però, l’efficacia del trattamento supera di gran lunga le possibili limitazioni correlate agli effetti collaterali e va peraltro rilevato che anche i pazienti in cui non si è osservata una marcata efficacia clinica del farmaco hanno mostrato, tuttavia un qualche beneficio sul fronte della qualità di vita» ha commentato Di Raimondo.

Sulla base dei dati già noti e di quelli nuovi presentati al congresso, Lonial e i colleghi hanno concluso che belantamab mafodotin 2,5 mg/kg in monoterapia rappresenta una nuova opzione terapeutica, efficace e sicura, per i pazienti con mieloma multiplo ricaduto/refrattario, specie quelli divenuti refrattari a molteplici terapie precedenti e aventi una prognosi sfavorevole. Inoltre, in aggiunta all’efficacia clinica, anche i dati relativi alla sicurezza e all’impatto del trattamento sulla QoL, sulla salute generale e sul funzionamento del paziente giustificano l’uso di belantamab mafodotin in questa popolazione di pazienti con mieloma.

Riferimenti

S. Lonial, et al. DREAMM-2: single-agent belantamab mafodotin (Belamaf) in patients with relapsed/refractory multiple myeloma (RRMM) – 1-year outcomes by prior therapies. ASH 2020; abstract 1417;
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S. Lonial, et al. Recovery of Ocular Events with Longer-term Follow up in the DREAMM 2 Study of Single Agent Belantamab Mafodotin (Belamaf) in Patients with Relapsed or Refractory Multiple Myeloma (RRMM). ASH 2020; abstract 3224;
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R. Popat, et al. DREAMM-2: Single Agent Belantamab Mafodotin (Belamaf) Effects on Patient Reported Outcome (PRO) Measures in Patients with Relapsed/Refractory Multiple Myeloma (RRMM). ASH 2020; abstract 2278;
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