Oggi si celebra la Giornata mondiale delle donne e delle ragazze nella scienza: la ricorrenza è stata istituita nel 2015 dall’Onu
Nel 2015 l’Organizzazione delle Nazioni Unite, Onu, ha scelto l’11 febbraio come data dedicata alla Giornata mondiale delle donne e delle ragazze nella Scienza. Un appuntamento voluto per ricordarci di combattere ogni giorno quelle barriere ideologiche che non permettono, ancora oggi, il raggiungimento delle pari opportunità nell’accesso alla carriera scientifica. In questo caso non dobbiamo celebrare un obiettivo raggiunto, ma ricordarci di un obiettivo ancora da raggiungere per il bene di tutti.
Era il gennaio del 2005 quando Lawrence Summers, economista all’epoca presidente dell’Università di Harward, durante una conferenza sosteneva che la scarsa importanza della presenza femminile in ambito scientifico è da imputare a una scarsa attitudine, innata nelle donne, verso le materie scientifiche. Insomma per dirla con un titolo di giornale, secondo Summers, le donne non sono portate per la scienza.
I dati del Global Gender Gap Report 2020 rendono la misura del fossato che dobbiamo colmare. Se immaginiamo 100 come la condizione di perfetta uguaglianza non in termini di accesso all’educazione e al lavoro, ma anche di possibilità di contribuire attivamente all’agenda politica si ottiene un punteggio medio globale di 68,6%. Questo significa che il divario di genere medio, nei 149 paesi presi in esame nell’indagine, è pari al 31,4%. La nazione che più si avvicina alla piena parità di genere è l’Islanda mentre all’altro capo della classifica si trova lo Yemen, in cui il gap tra uomini e donne raggiunge il
51%.
Negli ultimi anni molti Paesi hanno lavorato per cercare di porre un freno ad un fenomeno così diffuso e radicato, ma le politiche attuate non hanno portato a vistosi miglioramenti. È stato calcolato come, di questo passo, saranno necessari più di 100 anni per raggiungere la piena parità di genere. Eppure è stato dimostrato come se si riuscisse a colmare il gap anche solo del 25% a livello globale potremmo ottenere un incremento del Pil mondiale di oltre 5mila miliardi di dollari.
Effetto Matilda
Nel luglio del 2006 viene pubblicato su Nature un articolo dove il neurobiologo americano Ben Barres spiegava perché il genere condiziona le performance in ambito scientifico attraverso l’effetto Matilda. L’effetto Matilda prende spunto da un altro effetto, quello di san Matteo, ideato nel 1968 dal sociologo Robert K. Merton secondo il quale uno scienziato famoso godrà di maggior credito rispetto a un ricercatore poco noto; proprio come ricordato dal santo: “a chiunque ha sarà dato e sarà nell’abbondanza; ma a chi non ha, sarà tolto che quello che ha”.
Ispirata da questo lavoro nel 1993 la storica Margaret W. Rossiter ha sviluppato il concetto di effetto Matilda, ossia quella tendenza da parte della comunità scientifica a sottovalutare o sminuire i risultati scientifici conseguiti dalle donne. Dati alla mano è stato dimostrato come le ricerche condotte da scienziate siano meno citate e godano di un minor interesse rispetto ad analoghe ricerche condotte da scienziati; un fenomeno che ha segnato la vita di troppe grandi scienziate dalla fisica Wu Jianxiong alla chimica Rosalind Franklin passando per la genetista Nettie Stevens. Senza dimenticare Amalia Moretti Foggia, laureata in medicina e pediatria, che si dovette fingere uomo, il dottor Amal, per tenere una rubrica di Igiene e Salute sul Corriere della Sera.
È ormai storia anche il fatto che alcune scoperte premiate con il Nobel si siano avvalse della preziosa collaborazione di scienziate come Mileva Maric Einstein, Lise Meitner, Jocelyn Bell- Burnell e Chien Shiung Wu che non si sono però viste accreditare il proprio contributo, ma hanno solo potuto assistere nell’ombra alle premiazioni dei colleghi maschi.
Non è certo un caso se degli 826 Nobel assegnati dal 1901 a oggi solo 43 sono stati assegnati a donne, di cui 17 per meriti scientifici come ricorda la Dire Giovani (www.diregiovani.it).
- Marie Sklodowska-Curie (1903 per la fisica e 1911 per la chimica)
- Irène Curie-Joliot (1935 per la chimica)
- Gerty Radnitz-Cori (1947 per la medicina)
- Maria Goeppert-Mayer (1963 per la fisica)
- Dorothy Crowfoot-Hodgkin (1964 chimica)
- Rosalyn Sussman-Yalow (1977 per la medicina)
- Barbara Mc Clintock (1983 per la medicina)
- Rita Levi-Montalcini (1986 per la medicina)
- Gertrude Elion (1988 per la medicina)
- Christiane Nüsslein-Volhard (1995 per la medicina)
- Linda Buck (2004 per la medicina)
- Francoise Barrè-Sinoussi (2008 per la medicina)
- Elizabeth Blackburn con l’allieva Carol Greider (2009 per la medicina)
- Ada Yonath (2009 per la chimica)
- Elinor Ostrom (2009 per l’economia)
- May-Britt Moser (2014 per la medicina)