Uno studio ha sondato la profondità dei mari di metano di Titano, la più grande luna di Saturno, penetrando nel liquido con l’altimetro radar della sonda Cassini
Distante dal Sole circa un miliardo e mezzo di km, Titano – gelido satellite naturale di Saturno – si presenta avvolto da una foschia dorata di azoto gassoso. Tuttavia, secondo la Nasa, sbirciando attraverso le sue fitte nuvole il paesaggio lunare di Titano non apparirebbe così dissimile da quello della Terra, con fiumi, laghi e mari. Non di acqua, però, ma di metano liquido.
Già da qualche anno i ricercatori hanno stimato le profondità di questi mari di idrocarburi – analizzando i dati prodotti dall’altimetro radar della sonda Cassini, acquisiti prima della fine della missione, nel 2017 – ad eccezione di quella del più grande di tutti: il Kraken Mare, dove è raccolto circa l’80 per cento dei liquidi superficiali di Titano. Ora una nuova analisi (i cui risultati sono stati pubblicati il 4 dicembre scorso sul Journal of Geophysical Research), tenendo conto della differenza fra i tempi di ritorno delle onde radar rimbalzate dalla superficie e dal fondo del mare, nonché della quantità di energia assorbita dal liquido, è riuscita a stabilire che la profondità – nella regione centrale – deve superare i 300 metri, e che il liquido è compatibile con un cocktail di metano, azoto ed etano.
Media Inaf ha raggiunto Valerio Poggiali, primo autore dello studio. Giovane ingegnere delle telecomunicazioni originario di Ostia (Roma), Poggiali è da sempre appassionato di spazio, e da quattro anni è ricercatore al Center for Astrophysics and Planetary Science della Cornell University, a Ithaca (New York).
Per certi aspetti Titano sembra somigliare molto alla Terra. Quali sono, secondo lei, le caratteristiche più interessanti di questo mondo?
«Sono felice che abbia usato il temine ‘mondo’ per indicarlo. Quando sento dire, giustamente, che Titano è soltanto una luna di Saturno mi dispiace un po’. A mio avviso, Titano è di gran lunga il corpo celeste più interessante del sistema solare dopo il nostro pianeta. Il raggio di Titano è maggiore di quello del pianeta Mercurio ed è l’unica luna a possedere un’atmosfera. La temperatura sulla superficie della Terra oscilla intorno al punto triplo dell’acqua (0 °C) ed è per questo che troviamo questo elemento in tutti e tre i suoi stati fondamentali: solido, liquido e gassoso. La temperatura della superficie di Titano è di -182 °C, ossia il punto triplo del metano, che si trova in abbondanza nella sua atmosfera e sulla sua superficie in tutti e tre i suoi stati fondamentali. Le molecole del metano, distrutte dai raggi ultravioletti del Sole, vanno poi a produrre una miriade di altre sostanze simili: etano, butano, propano, eccetera. Questi elementi piovono sulla superficie come pioggia, scorrono in fiumi e riempiono laghi e mari. Corpi liquidi che si trovano oggi limitatamente ai poli di Titano – Kraken, Ligeia, Punga Mare al nord, e Ontario Lacus al sud – e abbiamo scoperto essere fatti di azoto (componente principale dell’atmosfera come sul nostro pianeta), metano ed etano».
Un po’ come accade per il ciclo dell’acqua sulla Terra…
«Diciamo che l’etano si comporta un pochino come il sale nei nostri mari, che si può trovare in diverse concentrazioni in giro per il mondo. Un altro aspetto strabiliante di Titano sono gli altri suoi “mari”, questa volta fatti di “sabbia” che avvolgono tutto il suo equatore da -30° a +30° di latitudine, interrotti solo dalla regione di Xanadu. Una sabbia speciale composta da granelli di ghiaccio e plastica».
Come siete riusciti a ottenere tutti questi dati?
«Tutti questi dati sono stati raccolti dalla sonda Cassini, e in particolare dal suo radar. La missione Cassini nasce all’inizio degli anni Novanta dalla collaborazione di Asi, Esa e Nasa. Oserei dire che il radar di Cassini è il figlio della mente geniale di due uomini in particolare: Charles Elachi, ex direttore del Nasa/Jpl, e Giovanni Picardi della Sapienza Università di Roma, il maggior esperto di radar che il nostro Paese abbia mai avuto, e che ha speso tanti anni nella ricerca dell’acqua su Marte con il suo radar Marsis, che ancora oggi osserva il Pianeta rosso a bordo della sonda Mars Express. Picardi ci ha lasciato da pochi anni, ma per mia fortuna ho potuto conoscerlo presso il laboratorio radar del Dipartimento di ingegneria dell’informazione, elettronica e telecomunicazioni della Sapienza insieme anche ad altri grandi scienziati, come Roberto Seu e Marco Mastrogiuseppe, che mi hanno seguito durante la mia tesi di dottorato sul radar altimetro di Cassini e mi hanno permesso di sviluppare quella serie di conoscenze che oggi mi permettono di iniziare a capire un po’ meglio come funziona questo tipo di strumento».
Dunque, là dove i sensori ottici non riescono ad arrivare, le radiofrequenze possono rivelarsi un valido supporto per la ricerca…
«Il radar è assolutamente essenziale per lo studio di quelle superfici terrestri e planetarie, come quella di Titano, coperte costantemente da nuvole o foschie, permettendone la descrizione in termini di composizione e rugosità. Per il nostro studio dei mari di Titano abbiamo puntato il radar perpendicolarmente alla superficie e abbiamo mandato un segnale. Ci siamo poi messi in attesa del suo ritorno per osservare come ne era cambiata la forma e l’intensità. Quello che abbiamo ricevuto è stata una prima riflessione dalla superficie del mare e una seconda dal fondo. Misurando il tempo di ritardo fra i due segnali siamo stati in grado di dire quanto profondo fosse il mare e dall’attenuazione del secondo di essi abbiamo potuto stimare la composizione del mezzo liquido attraversato. Dunque, mentre nella baia del Kraken Mare – chiamata Moray Sinus – abbiamo ricevuto un segnale da 85 m di profondità e abbiamo rilevato una composizione di 70 per cento di metano, 16 per cento di azoto, and 14 per cento di etano, nella parte centrale del Kraken Mare non abbiamo ricevuto alcun segnale, segno che il mare era troppo profondo o il liquido troppo assorbente. Quindi, ipotizzando che la composizione sia simile fra questi due bracci di mare contigui, abbiamo potuto concludere che la parte centrale del Kraken Mare deve essere più profonda di 100 m e probabilmente più profonda di 300 m».
Perché è importante comprendere le caratteristiche del più grande mare di Titano?
«Comprendere le caratteristiche del Kraken Mare e del Moray Sinus è importante perché ci permette di stabilire quante e quali sostanze siano presenti sulla superficie e ci permette di capire meglio l’idrologia del metano su Titano».
Ci sono degli aspetti che restano ancora irrisolti?
«Ad oggi non sappiamo dove finisca tutto l’etano che si forma nell’atmosfera in grandi quantità dalla distruzione del metano. Forse sotto la superficie? Non lo sappiamo. Oppure ancora, cosa permette al metano di rigenerarsi continuamente da milioni di anni senza esaurirsi mai? Un altro mistero. Speriamo che Dragonfly, la nuova missione proposta dalla Nasa, ci aiuti a capire qualcosa di più».
Dragonfly sorvolerà il suolo di Titano come un drone. Pensa che in futuro sarà possibile anche esplorarne gli abissi?
«Sono sicuro che nel futuro saremo in grado di inviare un sottomarino con strumenti quali una macchina fotografica, un sonar, uno spettrometro di massa e una piccola stazione meteorologica (vento, temperatura, umidità relativa). Per ora sono state proposte solamente delle sonde marine (praticamente delle boe dotate di strumentazione) e prevedo che i veri e propri sottomarini rappresenteranno la prossima generazione di proposte, dato che per ora sono ancora soltanto dei concetti avanzati in fase di sviluppo e, di fatto, non sono ancora pronti per essere proposti».
Per saperne di più:
- Leggi su Journal of Geophysical Research l’articolo “The Bathymetry of Moray Sinus at Titan’s Kraken Mare”, di V. Poggiali, A. G. Hayes, M. Mastrogiuseppe, A. Le Gall, D. Lalich, I. Gómez‐Leal e J. I. Lunine