La variante inglese del Covid è sensibile agli anticorpi dei pazienti guariti dall’infezione prodotta con altre varianti del virus
La variante inglese di Sars-CoV-2 è sensibile agli anticorpi che si sono sviluppati in pazienti guariti dall’infezione prodotta con altre varianti del virus. A dimostrarlo uno studio condotto dall’istituto Zooprofilattico sperimentale della Puglia e della Basilicata, dall’istituto nazionale delle Malattie Infettive “L. Spallanzani”, dall’unità complessa di Medicina trasfusionale del Policlinico di Bari, dal dipartimento di Scienze biomediche e oncologia umana dell’Università degli Studi di Bari, dal laboratorio di Patologia clinica dell’ospedale “Dimiccoli” di Barletta e dal laboratorio di Microbiologia dell’Irccs “Casa Sollievo della Sofferenza”.
Lo studio ha coinvolto 12 pazienti che hanno contratto la malattia tra marzo e dicembre dell’anno scorso e che hanno sviluppato anticorpi in grado di neutralizzare il virus. I risultati degli esami fatti hanno mostrato che gli anticorpi prodotti dopo l’infezione indotta da varianti del ceppo Sars-CoV-2, circolanti prima della comparsa della variante inglese sono efficaci anche nei confronti di questa variante.
“Sono dati rassicuranti, in quanto tutti quelli che hanno superato la malattia e hanno prodotto buoni livelli di anticorpi protettivi, possono risultare protetti da una possibile reinfezione sostenuta dalla variante inglese”, spiega il direttore generale dell’Istituto Zooprofilattico sperimentale della Puglia e della Basilicata, Antonio Fasanella.
Sottolineando poi, riferisce la Dire (www.dire.it), che “la somministrazione di plasma iperimmune può essere considerata una buona opportunità di protezione contro il virus, indipendentemente dalle caratteristiche dei ceppi che avevano indotto la risposta anticorpale”.
“La sorveglianza genomica tesa a disegnare la mappa molecolare aggiornata dei ceppi circolanti di Sars-CoV-2 gioca un ruolo fondamentale, poiché il virus può facilmente subire variazioni genetiche tali da non poter escludere a priori che in futuro si potrebbe assistere a un cambiamento strutturale così rilevante da – conclude Fasanella – richiedere l’aggiornamento o la modifica del vaccino”.