Insufficienza cardiaca: neprilisina e corina possibili biomarcatori


Insufficienza cardiaca: livelli circolanti di neprilisina e corina possibili biomarcatori per guidare la terapia secondo una nuova analisi prospettica

Insufficienza cardiaca: neprilisina e corina possibili biomarcatori

Sebbene non correlati tra loro, l’aumento dei livelli di neprilisina circolante e quello della concentrazione di corina sono correlati all’aumento del rischio di morte cardiovascolare (CV) e ricoveri per insufficienza cardiaca (HF)  in pazienti con insufficienza cardiaca cronica (CHF). È quanto risulta da un’analisi prospettica che ha coinvolto 1.009 pazienti affetti da HF e che è stata pubblicata su “JACC: Heart Failure”.

Ciò implica che questi enzimi potrebbero avere valore per l’individualizzazione delle cure, incluso il trattamento di pazienti in HF con frazione di eiezione preservata (HFpEF), riferisce un team di ricercatori guidati da D.H. Frank Gommans, del Dipartimento di Cardiologia del Radboud University Medical Centerdi  Nijmegen (Olanda).

Quando seguito per un massimo di 7 anni e dopo l’aggiustamento per le differenze di sesso ed età, il rischio più elevato per l’endpoint composito primario di morte cardiovascolare (CV) e ricovero per HF è stato osservato in soggetti con neprilisina in forma altamente solubile (sNEP) e corina altamente solubile (sCOR). Il rischio più basso è stato osservato nel gruppo con bassi livelli di entrambi gli enzimi.

I dati suggeriscono che il monitoraggio di questi enzimi potrebbe fornire «un passo verso la gestione individualizzata del paziente con CHF» riferiscono Gommans e colleghi, con un rapporto di rischio ( hazard ratio, HR) aggiustato per sNEP e sCOR elevati che si traduce in un aumento superiore al 50% dell’endpoint primario composito rispetto ai bassi livelli di entrambi (HR, 1.56; P = 0.003). Dopo una « analisi multivariata completa», l’aumento del rischio è rimasto sostanziale e significativo (HR, 1.41; P = 0.03).

Nella pathway peptidica natriuretica, che è stata a lungo riconosciuta come mediatrice di vasodilatazione, compliance venosa, diuresi e altri processi disregolati nell’HF, NEP e COR sono «mediatori chiave», secondo gli autori, che citano studi pubblicati in precedenza.

Maggiore attenzione si è rivolta a questi enzimi come potenziali biomarcatori nel contesto dello studio PARADIGM, che ha associato un inibitore del recettore dell’angiotensina/neprilisina (ARNI) con un beneficio di sopravvivenza in CHF.

La neprilisina è un enzima coinvolto nella degradazione di alcune sostanze (peptidi) che segnalano all’organismo di eliminare sodio. Inibendo la degradazione di questi peptidi, questi farmaci riducono la pressione arteriosa e aumentano l’escrezione di sodio, riducendo il carico di lavoro del cuore. La corina è l’enzima che scinde il pro-BNP in due parti: il BNP e l’NT-proBNP.

Stratificazione in base a concentrazione e solubilità degli enzimi
L’attuale studio osservazionale riguardava pazienti affetti da CHF che frequentavano una clinica HF e che erano naive agli ARNI all’inclusione. Sulla base delle misurazioni degli enzimi circolanti effettuate da campioni di sangue impiegando tecniche standard, sono state stratificati in quattro gruppi. Quelli con bassi livelli di entrambi gli enzimi servivano come riferimento. Sono stati confrontati con quelli con sNEP basso e sCOR alto, quelli con sNEP alto e basso sCOR, e quelli con alti livelli di entrambi gli enzimi.

Nel corso di una mediana di 4,5 anni di follow-up, ci sono stati 511 decessi, di cui il 54% per una causa CV. Ci sono stati anche 331 ricoveri per HF. In tutto, 449 pazienti hanno raggiunto l’endpoint composito primario.

Rispetto al gruppo con sNEP basso e sCOR basso, un’elevazione in entrambi gli enzimi è stata associata a un HR numericamente ma non significativamente maggiore per l’endpoint composito primario. La mancanza di correlazione nell’elevazione di questi due enzimi suggerisce che ognuno fornisca diverse informazioni prognostiche, anche se sembra che entrambi debbano essere considerati insieme per prevedere i risultati.

Potenziali impieghi in clinica, secondo gli autori
Sotto il profilo clinico, la stratificazione di questi enzimi potrebbe essere più utile nei pazienti con HFpEF. Rispetto alla separazione delle curve degli eventi nei pazienti affetti da CHF con frazione di eiezione ridotta (HFrEF), la divergenza per HFpEF è stata maggiore. Inoltre, le curve degli eventi si sono separate dal riferimento nei pazienti con HFpEF ma non nei pazienti con HFrEF se uno dei due enzimi era elevato.

Secondo Gommans e colleghi questi dati sono particolarmente promettenti per il monitoraggio e l’individualizzazione della terapia nei pazienti con HFpEF, Sebbene gli autori specifichino che si trattava di uno studio osservazionale e che le differenze tra l’HFpEF e l’HFrEF dovrebbero essere considerate esplorative, convengono che i componenti della pathway peptidica natriuretica hanno un particolare potenziale per fornire nuove informazioni prognostiche e individualizzare le cure nell’HFpEF, dove le opzioni terapeutiche rimangono limitate.

La stratificazione degli enzimi peptidici natriuretici in questo gruppo potrebbe «presentarsi come un’interessante alternativa alla frazione di eiezione» per la prognosi e la considerazione delle scelte terapeutiche, suggeriscono.

Sebbene sia necessaria un’ulteriore convalida dell’importanza prognostica di sNEP e sCOR, ribadiscono gli autori, questi prevedono il potenziale dii studi terapeutici basati su livelli elevati di questi enzimi. Per esempio, ipotizzano che questi livelli potrebbero distinguere i pazienti HFpEF che potrebbero beneficiare di un ARNI di prima linea.

Dubbi avanzati nell’editoriale di commento
In un editoriale di accompagnamento, sono stati espressi dubbi significativi su semplici misurazioni delle concentrazioni di sNEP e sCOR per prevedere il decorso clinico o guidare le decisioni di trattamento. Gli autori dell’editoriale hanno convenuto che si tratta di un’importante area di studio, ma hanno messo in guardia circa la sua complessità.

«È stato dimostrato che le concentrazioni di neprilisina circolante sono scarsamente correlate con l’attività della neprilisina. Pertanto, il tasso di degradazione natriuretica del peptide da parte della neprilisina non può essere determinato solo misurando i livelli circolanti», sottolinea Peder L. Myhre, cardiologo dell’ospedale universitario Akershus di Nordbyhagen (Norvegia) e ricercatore presso l’Università di Oslo.

«Di conseguenza, le concentrazioni di neprilisina e corina non possono essere utilizzate da sole per prevedere la risposta alle terapie che interagiscono con questi peptidi» aggiunge. Pur convenendo sul fatto che la neprilisina e la corina potrebbero essere biomarcatori appropriati in CHF, ritiene che l’attenzione debba concentrarsi sulla loro attività enzimatica, non sui loro livelli circolanti.

Gommans DHF, Revuelta-Lopez E, Lupon J, Cserkóová A, Domingo M, Vart P, van Royen N, Bayés-Genis A, van Kimmenade RRJ. Soluble Neprilysin and Corin Concentrations in Relation to Clinical Outcome in Chronic Heart Failure. JACC Heart Fail. 2021 Feb;9(2):85-95. doi: 10.1016/j.jchf.2020.08.015.
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Myhre PL, Vaduganathan M, Solomon SD. Neprilysin and Corin: It Takes Two to Tango. JACC Heart Fail. 2021 Feb;9(2):96-99. doi: 10.1016/j.jchf.2020.08.018.
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