Individuati per la prima volta nel Leo Ring, un’enorme nube a circa 40 milioni di anni luce da noi, agglomerati di gas con una notevole abbondanza di metalli
Gennaio 1983. Un dottorando in astronomia della Cornell University, Stephen Schneider, all’epoca 25enne, sta tentando di misurare – senza troppo successo – il redshift della galassia Ugc 5808 con il radiotelescopio di Arecibo. È un tipo d’osservazione che richiede di rilevare l’emissione della riga dell’idrogeno neutro a 21 cm. Al fine di distinguere il segnale vero e proprio dal rumore di fondo, il radiotelescopio esegue misure anche nella cosiddetta “posizione off” – una regione di cielo teoricamente priva di sorgenti – così da sottrarle poi alle misure della zona sotto osservazione. Ma quando Schneider va a compiere la sottrazione rimane a bocca aperta: lo spettro mostra un forte segnale negativo. Segno che quella osservata in “posizione off” è una regione che non contiene solo rumore di fondo, anzi: lì ci dev’essere qualcosa d’interessante. Ed è così che emerge la prima impronta di quella che si scoprirà poi essere un’immensa nube di gas che – un po’ per la forma, un po’ per la costellazione nella quale si trova – verrà chiamata Leo Ring: l’anello del Leone.
Da allora sono passati quasi quarant’anni, ma l’interesse per quella nube – e in particolare per la sua formazione – non si è mai sopito. Osservazioni successive hanno mostrato come, in realtà, l’anello del Leone – con i suoi 650mila anni luce di diametro, dunque una decina di volte le dimensioni di una galassia – sia la nube di gas freddo più estesa nell’universo locale. A suscitare la curiosità degli astronomi è però la sua incapacità a formare stelle – come ci si attenderebbe se il gas fosse stato violentemente rimosso da qualche galassia. Per questo diversi studi lo hanno proposto come raro esempio di gas primordiale, povero di elementi pesanti e risalente ai tempi della formazione del gruppo di galassie nel Leone.
Ma ecco che, nel corso di una serie d’osservazioni condotte fra il dicembre del 2019 e il marzo del 2020 con lo spettrometro Muse del Very Large Telescope, all’osservatorio di Paranal dell’Eso, un team d’astronomi guidato da Edvige Corbelli dell’Inaf di Arcetri trova qualcosa d’inatteso: quello che forma l’anello non è tutto gas neutro, ci sono anche piccolissime regioni di idrogeno ionizzato. Almeno quattro. Dunque qualche sporadica stella in realtà pare essersi formata. E in effetti è così.
«Poche ma buone», dice Corbelli a Media Inaf. «Sono giovanissime stelle, sufficientemente massicce da illuminare il gas dell’anello e rendere visibili le impronte degli elementi pesanti – o “metalli”, come noi astronomi chiamiamo qualunque elemento più pesante di idrogeno ed elio – presenti in esso. Le stelle servono infatti anche a questo: non solo a produrre metalli ma anche a rivelarne le tracce. E con nostra sorpresa abbiamo scoperto che la quantità di metalli è enorme, molto superiore a quella che le poche stelle presenti possono aver prodotto».
Attestato dunque che non si tratta di gas primordiale, si tratta ora di capire da dove provengano, tutti questi elementi pesanti. L’ipotesi di Corbelli e colleghi è che si tratti di gas “riciclato e scippato”: inquinato in passato dai metalli prodotti dalle stelle di una galassia, alla quale poi è stato sottratto sotto l’effetto dell’attrazione mareale – dovuta a forze gravitazionali, dunque – a seguito dell’incontro con un’altra galassia, dando così luogo alla forma ad anello che osserviamo oggi.
«Ma è come se il Leone “volesse” che il suo anello abbia lunga vita», scherza Corbelli, commentando l’anomala scarsità di stelle nella struttura. «La formazione di stelle avviene in esso molto, molto lentamente, solo in piccole zone nelle quali le nuove stelle danno vita a nuove piccole e tenui galassie. Ogni stella massiccia appare così come una perla rara che brilla nell’anello del Leone svelandone i segreti. Perché il Leone non abbia arricchito l’anello di molte più perle ma abbia preferito uno stile sobrio e duraturo, ancora non lo sappiamo. Sarà interessante scoprirlo».
Per saperne di più:
- Leggi su The Astrophysical Journal Letters l’articolo “Heavy elements unveil the non primordial origin of the giant HI ring in Leo”, di Edvige Corbelli, Giovanni Cresci, Filippo Mannucci, David Thilker e Giacomo Venturi.