Colangite biliare primitiva: la stanchezza riferita dai pazienti non sembra essere correlata alla malattia secondo uno studio dell’Università di Milano-Bicocca
La stanchezza non è un sintomo riconducibile alla colangite biliare primitiva (CBP). Una ricerca condotta dal Centro delle Malattie Autoimmuni del Fegato dell’Ospedale San Gerardo di Monza e dai Dipartimenti di Medicina e di Psicologia dell’Università di Milano-Bicocca ha escluso una relazione diretta tra stanchezza e CBP, individuando in altri fattori una possibile causa dell’affaticamento. Lo studio è stato recentemente pubblicato sul Journal of Translational Autoimmunity.
La CBP è una malattia del fegato che, benché rara, in Italia colpisce più di 10.000 persone, soprattutto donne oltre i 40 anni di età. Da più di 30 anni studiosi del nord Europa sostengono che i pazienti affetti da CBP soffrono molto di stanchezza e faticabilità (“fatigue” in inglese), sintomi che non trovavano riscontro nell’esperienza clinica di altri medici e studiosi che operano in altre parti nel mondo. A rendere ancora più complessa la comprensione del problema ha contribuito per lungo tempo la mancanza di strumenti adeguati per valutare “stanchezza e faticabilità”: una scarsa chiarezza che ha creato e crea molti problemi ai pazienti e ai loro medici curanti.
Il lavoro di ricerca si è articolato in due fasi: nella prima è stato elaborato un questionario (chiamato PBC-27 perché composto da 27 domande) per valutare l’impatto della CBP sulla qualità della vita e rilevare la presenza e la rilevanza di sintomi soggettivi come la stanchezza. Successivamente, sono stati analizzati i dati ricavati da un ampio studio multicentrico internazionale che ha coinvolto centinaia di pazienti italiani, giapponesi, spagnoli e britannici, e che ha permesso di capire che la stanchezza era presente solo o soprattutto in pazienti britannici e non in quelli che vivono in Spagna, Italia e Giappone.
“Questionari per valutare la qualità della vita e sintomi come la stanchezza stanno diventando strumenti sempre più importanti e utilizzati in medicina, per poter operare confronti tra i pazienti e valutare l’andamento dei singoli in una concezione di salute che mette al centro il benessere complessivo della persona, che noi chiamiamo qualità della vita”, spiega Lorenzo Montali, professore in Psicologia sociale dell’Università di Milano-Bicocca e primo autore dello studio.
“È stata vincente l’idea di confrontare la qualità della vita e la frequenza di stanchezza e faticabilità in popolazioni molto distanti e diverse tra loro da tanti punti di vista: pensiamo alle differenze genetiche, ma anche culturali, tra noi europei e la popolazione giapponese”, afferma Pietro Invernizzi, professore in Gastroenterologia dell’Università di Milano-Bicocca. “Questo studio ci ha permesso in primis di escludere che la stanchezza fosse un sintomo necessariamente presente in tutti i malati affetti da CBP, ma anche di speculare su quali possano essere i fattori scatenanti in quei pazienti che ne soffrono. L’avere osservato, ad esempio, che ne soffrono soprattutto i pazienti che vivono a latitudini più settentrionali come la Gran Bretagna fa pensare che l’esposizione al sole, e quindi i livelli nel sangue di vitamina D, possa avere un ruolo”.
“Ci spiace per i pazienti con CBP che vivono in altre parti del mondo, ma per noi pazienti italiani questo studio è molto tranquillizzante”, commenta Davide Salvioni, presidente di AMAF Onlus, l’associazione italiana di pazienti dedicata alle malattie epatiche autoimmuni. “Da ora penseremo ad altri motivi e non più solo alla nostra malattia del fegato quando ci sentiremo stanchi. Può sembrare poco, ma per i pazienti affetti da CBP è molto, molto importante”.