Cistinosi nefropatica: l’assunzione di cisteamina più volte al giorno è difficile da sostenere ma l’aderenza alla terapia è cruciale per prevenire il danno renale
Tra le malattie renali ereditarie possono collocarsi anche patologie come la cistinosi nefropatica, nella quale l’accumulo dell’amminoacido cistina all’interno dei lisosomi provoca danni considerevoli, in modo particolare in organi delicati come l’occhio o, appunto, il rene. Generalmente, le cistinosi sono rare e vengono classificate in tre forme: cistinosi nefropatica infantile o giovanile e cistinosi benigna dell’adulto. La cistinosi nefropatica infantile, che solitamente si individua entro il primo anno di vita, è la forma più grave e di gran lunga più frequente: se non adeguatamente trattata, può condurre a insufficienza renale terminale entro pochi anni.
“La cistinosi nefropatica infantile è una malattia a trasmissione autosomica recessiva provocata da mutazioni nel gene CTNS, il quale codifica per la proteina cistinosina, responsabile del trasporto della cistina fuori dai lisosomi”, spiega la dott.ssa Francesca Becherucci, della S.O.C. di Nefrologia e Dialisi dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Meyer di Firenze. “La cistina è un prodotto di scarto del metabolismo proteico e si accumula nelle cellule di tutto l’organismo sotto forma di cristalli insolubili; se quindi non viene rimossa, provoca una lunga serie di alterazioni delle funzioni cellulari. Infatti, sebbene esista un solo gene associato all’insorgenza della cistinosi nefropatica, la variabilità del quadro clinico è molto ampia, anche perché la severità dei sintomi è associata a concentrazioni crescenti di cistina”.
L’accumulo di cistina nei lisosomi si realizza in tutte le cellule e i tessuti dell’organismo, tuttavia le manifestazioni cliniche più precoci della cistinosi nefropatica riguardano gli occhi e il rene. “A livello renale, il primo segno della malattia è rappresentato dalla sindrome di Fanconi, che è un difetto generalizzato di riassorbimento delle cellule del tubulo prossimale e comporta la perdita, con le urine, di una serie di soluti e sostanze, tra cui glucosio, sodio, potassio, fosforo, calcio e acido urico, oltre che acqua”, prosegue Becherucci. “Coloro che soffrono di questo disturbo presentano difetti di concentrazione urinaria e ciò li porta a produrre ingenti quantità di urina (poliuria) e a sviluppare stati di sete intensa (polidipsia). Perciò, molti pazienti con cistinosi nefropatica infantile riportano sintomi che includono nausea, vomito ed episodi di disidratazione, mentre tanti altri subiscono anche un ritardo di crescita, che può essere associato o meno a rachitismo ipofosfatemico (resistente alla somministrazione di vitamina D)”. I bambini con cistinosi nefropatica, quindi, riportano spesso un malessere generale, appaiono magri e pallidi e hanno difficoltà a crescere.
Nella cistinosi nefropatica infantile, i sintomi dell’interessamento renale hanno un carattere progressivo e, senza una diagnosi precisa e un conseguente trattamento, portano a una notevole riduzione della capacità di filtrazione glomerulare renale (eGFR): ciò sfocia in un’insufficienza renale di carattere terminale entro i 10 anni di vita. “Il quadro clinico di tanti pazienti include anche lo sviluppo di diabete insulino-dipendente, ipotiroidisimo, demineralizzazione e alterazioni ossee e ritardo puberale, oltre a una debolezza muscolare diffusa”, precisa l’esperta fiorentina. “Questo proprio perché la cistinosi nefropatica è una patologia sistemica”.
Altro organo particolarmente vulnerabile è l’occhio, che costituisce anche un importante punto di partenza per porre la diagnosi di malattia. “I depositi di cistina sono visibili a livello della cornea e della congiuntiva tramite una speciale lampada, detta a fessura”, spiega ancora Becherucci. “I cristalli esagonali di cistina, responsabili di deficit visivi ed episodi di fotofobia, sono rilevabili nell’occhio già nel corso dei primi mesi di vita del bambino. Oltre a questo esame, e a un’accurata valutazione clinica, per la diagnosi di malattia esiste un test di laboratorio che consiste nel dosaggio della cistina intraleucocitaria eseguibile da prelievo di sangue periferico”. Tuttavia, quest’ultimo non è un esame di routine ma un saggio che, al di fuori dell’Ospedale Pediatrico “Bambino Gesù” di Roma, pochissimi altri istituti in Italia effettuano. “Il test genetico – precisa la dott.ssa Becherucci – che si esegue con metodiche di next-generation sequencing o tramite sequenziamento diretto del singolo gene, è molto più pratico e veloce per la conferma diagnostica della malattia”.
La cistinosi nefropatica infantile prevede un trattamento sintomatico con compensazione delle perdite urinarie dovute alle disfunzioni del tubulo renale prossimale. L’obiettivo è evitare la disidratazione e fornire al paziente le sostanze e gli elettroliti persi, tra cui il potassio, il sodio o il calcio. Spesso si somministrano fosfati e vitamina D contro l’ipofosfatemia.
“Un’altra opzione consiste nella somministrazione di cisteamina, che lega la cistina e ne favorisce l’eliminazione”, spiega Becherucci. “La cisteamina si assume per via orale e per via topica, tramite colliri da dosare sulla cornea e sulla congiuntiva, secondo lo schema terapeutico”. La cisteamina a rilascio immediato (oltre ad avere un sapore e un odore sgradevole nel caso dell’assunzione per via orale) necessita di multiple somministrazioni, ogni 4 ore, e lo stesso vale per il collirio. “Tutto ciò limita in maniera considerevole l’aderenza terapeutica, specie negli adolescenti che, crescendo, devono gestire autonomamente la terapia”, conclude Becherucci. “Per tale ragione, la comunità dei clinici ha accolto con entusiasmo le nuove formulazioni orali a rilascio prolungato, che mantengono i livelli plasmatici di cisteamina nei range terapeutici per lungo tempo e possono essere somministrate meno volte nell’arco della giornata”.