Artrite: nuovi risultati su anticorpo monoclonale anti-fractalchina


Artrite reumatoide, arrivano risultati parzialmente positivi da uno studio di fase 2 per l’anticorpo monoclonale anti-fractalchina

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I risultati di uno studio di fase 2 pubblicato sulla rivista Arthritis & Rheumatology hanno documentato l’efficacia modesta di  E6011, un anticorpo monoclonale anti-fractalchina, in pazienti affetti da artrite reumatoide, pur in assenza del raggiungimento dell’endpoint primario dello studio. Se confermati, tali risultati prefigurano un possibile impiego di questo farmaco nei pazienti con AR in base alla presenza di monociti CD16+, coinvolti nella patogenesi di malattia.

Che cosa è la fractalchina
La fractalchina (FKN) è una chemochina espressa sulle cellule vascolari endoteliali, la cui espressione risulta essere “fuori controllo”  sulle cellule vascolari endoteliali in corrispondenza di lesioni infiammate, come nel caso della sinovia per l’AR.

Entrambe le forme di questa chemochina (forma solubile e molecola di adesione) sono riconosciute dal suo recettore CX3CR1, espresso sui monociti/macrofagi e sui linfociti effettori citotossici (cellule NK e cellule T citotossiche).

Tra i monociti, il recettore CX3CR1 è espresso in modo elevato sui monociti CD16+, notoriamente maggiormente presenti in concomitanza con l’AR.
Inoltre, sono espressi anche sulle cellule T CD4+ e CD8+ , i cui livelli sono elevati nel sangue periferico dei pazienti con AR.

Obiettivi e disegno dello studio
Lo studio di fase 2, multicentrico, randomizzato, in doppio cieco, controllato vs. placebo e a gruppi paralleli, ha messo a confronto la sicurezza e l’efficacia di E6011, un anticorpo monoclonale umanizzato diretto contro la fractalchina.

A tal scopo sono stati reclutati 190 pazienti e randomizzati, secondo uno schema 2:1:2:2, a trattamento con placebo o E6011 ai dosaggi 100, 200, o 400/200 mg in fasi multiple: screening, osservazione, trattamento in doppio cieco, estensione in aperto e follow-up.

Durante la fase di trattamento, i pazienti sono stati sottoposti a iniezioni sottocute del farmaco in studio o del placebo a intervalli predeterminati di tempo in un periodo della durata pari a 22 settimane.

L’endpoint primario di efficacia era rappresentato dalla proporzione di pazienti soddisfacenti la risposta ACR20 a 12 settimane.
Tra gli endpoint secondari principali di efficacia vi erano la risposta ACR20 a 24 settimane, le risposte ACR50/70 a 12 e a 24 settimane e il miglioramento delle componenti individuali della risposta ACR.
L’analisi di safety, invece, si basava sulla valutazione degli eventi avversi, dei parametri di laboratorio, dei segni vitali e dei risultati all’elettrocardiogramma, tra gli elementi principali considerati.

Risultati principali
I pazienti dello studio erano, in maggioranza, di sesso femminile (78.9%), con un’età mediana pari a 56 anni e una durata mediana di malattia pari a 7,1±6,85 anni). Su un totale di 190 pazienti, 169 hanno completato il regime di trattamento assegnato dalla randomizzazione mentre 21 hanno abbandonato la terapia durante la fase in doppio cieco. Le caratteristiche demografiche di base e i punteggi medi relativi alle misure cliniche erano pressochè sovrapponibili tra i 4 gruppi in studio.

A 12 settimane, i tassi di risposta ACR20 sono stati pari, rispettivamente, al 37%, 39,3%, 48,1% e 46,3% nel gruppo placebo, farmaco attivo alla dose di 100 mg, 200 mg e 400/200 mg. Negli ultimi due gruppi, inoltre, non è stata raggiunta la significatività statistica (p=0,188 per ciascun gruppo). Per quanto lo studio non abbia raggiunto l’endpoint primario, sono stati soddisfatti diversi endpoint secondari.

A 24 settimane, le risposte ACR20 sono state pari, rispettivamente, al 35,2%, 39,3%, 53,7% e 57,4%, con risposte significativamente più elevate nei pazienti trattati con il farmaco, rispettivamente, ai dosaggi di 200 mg e 400/200 mg rispetto al gruppo placebo (p=0,23 e 0,01). Inoltre, a 12 e a 24 settimane, le risposte ACR50/70 hanno continuato a migliorare.

Alcuni parametri clinici e biomarcatori di laboratorio – punteggio DAS28-CRP e CDAI si sono ridotti dopo trattamento con E6011.

I ricercatori hanno anche misurato i livelli di monociti CD16+ e i partecipanti sono stati suddivisi in base alle concentrazioni di questo tipo cellulare. Dall’analisi dei dati è emerso che quelli con bassi livelli di monociti non mostravano in incremento dose-dipendente dei tassi di risposta ACR20/50 rispetto a quelli con livelli di monociti CD16+ elevati.

Per finire, sul fronte della safety, ci sono stati più eventi avversi nei gruppi di trattamento con E6011 rispetto a quanto osservato nel gruppo placebo, con un’incidenza dose risposta di questi eventi, ma non di AE legati al trattamento. Inoltre, non sono state documentate variazioni significative dei parametri di laboratorio considerati.

Riassumendo
“In conclusione, E6011 potrebbe rappresentare una possibile opzione e di trattamento per i pazienti con AR, con una prospettiva di intervento di medicina personalizzata, in quanto adattato alla proporzione iniziale di monociti CD16 – scrivono i ricercatori nelle conclusioni dello studio -. A questo punto sono necessari studi ulteriori per confermare il beneficio terapeutico di questo trattamento nell’AR”.

Bibliografia
Tanaka Y et al. Efficacy and safety of E6011, an anti-fractalkine monoclonal antibody, in active rheumatoid arthritis patients with inadequate response to methotrexate: Results of a randomized, double-blind, placebo-controlled phase 2 study. Arthritis Rheumatol. Published online October 10, 2020.doi: 10.1002/art.41555
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