Arteriopatia degli arti inferiori: nuovi dati pubblicati sul “Journal of the American Heart Association” confermano la sicurezza di paclitaxel
I dati a lungo termine della Veterans Health Administration (VHA) – pubblicati sul “Journal of the American Heart Association” – sono in linea con le conclusioni di diversi recenti studi e registri che contestano l’esistenza di un aumento del segnale di mortalità con dispositivi ricoperti da paclitaxel per il trattamento delle malattie dell’arteriopatia periferica degli arti inferiori.
Tra gli oltre 10.000 pazienti inclusi nella serie VHA, la sopravvivenza a 3 anni era simile indipendentemente dal fatto che avessero ricevuto un dispositivo a base di paclitaxel o un palloncino o uno stent non-paclitaxel.
«Possiamo dire ai pazienti che sì, c’era un segnale, ma i dati originali erano difettosi, mancavano i dati e ogni studio che è arrivato da allora non ha praticamente mostrato alcuna differenza» affermano i ricercatori guidati da Jorge Antonio Gutierrez, del Duke University Medical Center di Durham.
I veterani confutano la meta-analisi di Katsanos
Oltre agli sforzi di riconciliazione dei dati sulla base di più RCT, le analisi Medicare del mondo reale non hanno trovato alcun supporto per un segnale di mortalità da paclitaxel; lo stesso dicasi per set di dati a lungo termine provenienti da Germania, Italia e Giappone.
Tutti questi sono stati intrapresi per comprendere meglio la meta-analisi pubblicata nel 2018 da Konstantinos Katsanos (Patras University Hospital, Rion, Grecia) e colleghi che suggerivano che palloncini e stent a base di paclitaxel fossero associati a un aumento della morte per tutte le cause rispetto ai dispositivi non rivestiti a 2 anni e oltre.
Tassi di sopravvivenza a tre anni simili al gruppo controllo
Gutierrez e colleghi hanno esaminato i risultati di 10.505 pazienti affetti da PAD trattati con procedure di rivascolarizzazione all’interno del VHA da ottobre 2015 a giugno 2019.
Gli uomini costituivano il 98% della popolazione studiata. Le procedure hanno coinvolto un dispositivo basato su paclitaxel nel 21,6% e un dispositivo non-paclitaxel nel 78,4%.
Nel gruppo paclitaxel, il 39,6% è stato trattato con palloncino rivestito di farmaco (DCB) da solo, il 53% con il solo DES (stent) e il 7,4% sia con DCB che con DES. L’aterectomia è stata utilizzata in circa un quarto dei pazienti trattati con paclitaxel e nel 20% di quelli trattati con un dispositivo non-paclitaxel.
Per l’intero gruppo, gli investigatori hanno riscontrato tassi di sopravvivenza simili tra i pazienti che hanno ricevuto un dispositivo paclitaxel contro non-paclitaxel fino a 3 anni (70,7% vs 71,8%; log-rank P = 0,17). Le analisi di sensibilità hanno inoltre confermato l’assenza di alcuna differenza significativa nella mortalità per tutte le cause tra i gruppi a 2 anni (HR 0,98; IC al 95% 0,86-1,12) o follow-up di 3 anni (HR 1,11; IC al 95% 0,91-1,35).
Mentre il 35% dei pazienti con ischemia critica degli arti (CLI) ha mostrato una sopravvivenza più scarsa in generale rispetto ai pazienti non-CLI, i tassi di sopravvivenza nel gruppo CLI non differivano tra quelli trattati con o senza paclitaxel. Dopo aggiustamento, il rischio di mortalità per tutte le cause per i pazienti trattati con un dispositivo a base di paclitaxel rispetto a un dispositivo non-paclitaxel era di 1,06 (95% CI 0,95-1,18).
Informazioni sulle cause di morte erano disponibili per 771 pazienti. Dei 169 decessi su una mediana di 20 mesi, il 12,7% si è verificato nel gruppo paclitaxel e nel 12,3% nel gruppo non-paclitaxel.
Nel gruppo nel suo complesso, la malattia cardiovascolare è stata la causa più comune di morte (38,7%), seguita da complicanze del diabete (13,4%), malignità (11,2%) e infezione (8,7%). Per ogni causa di morte, non c’erano differenze significative tra i pazienti trattati con o senza paclitaxel.
Il contributo offerto dall’analisi
L’analisi VHA, aggiungono Gutierrez e colleghi, offre un contributo alla letteratura su paclitaxel confermando la mancanza di segnale di mortalità in una popolazione che è relativamente stabile in termini di trattamento e risultati.
«I veterani non lasciano davvero il sistema in cui vengono trattati, quindi non hanno la perdita di follow-up ed è relativamente facile tracciare l’intera cura» osservano gli autori. «A questo poi si aggiunge la capacità di collegarsi alle cause di morte del mondo reale attraverso il National Death Index». Lo studio non può tuttavia tenere conto, tra l’altro, della distorsione della selezione da parte degli operatori o dei fattori confondenti non misurati.
Secondo Gutierrez, i recenti risultati dello studio SWEDEPAD su 2.289 pazienti che non mostrano alcun segnale di mortalità per il paclitaxel, presi con tutti gli altri sforzi che hanno confutato la meta-analisi di Katsanos, parlano di una storia coerente. «Abbiamo un buon corpo di prove che vanno tutte nella stessa direzione» scrivono i ricercatori.
Gutierrez JA, Rao SV, Jones WS, et al. Survival and Causes of Death Among Veterans With Lower Extremity Revascularization With Paclitaxel-Coated Devices: Insights From the Veterans Health Administration. J Am Heart Assoc. 2021;10(4). doi: 10.1161/JAHA.120.018149.
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