Sclerosi multipla, il trapianto di cellule staminali ematopoietiche è efficace a lungo termine: lo dimostrano i risultati di uno studio italiano
Dieci anni. È il tempo in cui i ricercatori dell’Ospedale Policlinico San Martino di Genova hanno tenuto sotto osservazione oltre duecento pazienti affetti da sclerosi multipla (SM) aggressiva con l’obiettivo di verificare l’efficacia del trapianto autologo di cellule staminali ematopoietiche (CSE). La risposta dopo tutto questo tempo è stata positiva, portando a una stabilizzazione della disabilità associata alla malattia, che in alcuni casi è addirittura migliorata. I risultati dello studio – in parte finanziato dalla Fondazione Italiana Sclerosi Multipla (FISM) – sono stati pubblicati a gennaio su Neurology, la rivista medica dell’American Academy of Neurology .
LE DIVERSE FORME DI SM
La sclerosi multipla è una grave malattia infiammatoria e neurodegenerativa, che colpisce circa 3400 persone ogni anno in Italia, con un’età di esordio tra i 20 e i 40 anni. È dovuta a una reazione anomala delle difese immunitarie che attaccano la mielina, una componente del sistema nervoso centrale che ricopre le fibre nervose, isolandole e ottimizzando la trasmissione degli impulsi nervosi. Alla maggior parte delle persone viene diagnosticata la SM recidivante-remittente, caratterizzata da periodi di riacutizzazioni dei sintomi seguiti da fasi di remissione e in cui il danno a livello neurologico si accumula molto lentamente. Una piccola parte di pazienti, circa il 10%, sviluppa invece una forma particolarmente aggressiva, che risponde poco alle terapie e va incontro a un lento e costante peggioramento delle funzioni neurologiche.
UNA “MALATTIA ORFANA”
Come aveva spiegato a Osservatorio Terapie Avanzate il prof. Gianvito Martino – Direttore Scientifico IRCCS Ospedale San Raffaele di Milano ed esperto di ricerca sulle cellule staminali per il trattamento della SM – negli ultimi 30 anni molto è stato fatto per la prima forma, che oggi può contare su oltre una decina di farmaci efficaci, mentre quella progressiva resta ancora “una malattia orfana”. E uno dei motivi, come afferma il dott. Giacomo Boffa, dell’Università di Genova e dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e primo autore del lavoro è che “i pazienti con una forma di sclerosi multipla particolarmente aggressiva, spesso vengono esclusi dalle sperimentazioni cliniche. Ciò spiega le poche terapie disponibili per loro”.
UN “NUOVO” SISTEMA IMMUNITARIO
È qui che entra in gioco la ricerca sulle cellule staminali per la sclerosi multipla progressiva e, in particolare, lo studio italiano pubblicato su Neurology e coordinato dal prof. Giovanni Luigi Mancardi dell’Università di Genova e dell’IRCCS Ospedale Policlinico San Martino e uno dei pionieri del trapianto di cellule staminali ematopoietiche in persone affette da SM: una sorta di immunosoppressione all’ennesima potenza. Questa procedura, infatti, prevede il prelievo di cellule staminali ematopoietiche (le staminali del sangue) del paziente, che vengono poi reinfuse nel paziente stesso dopo un trattamento chemioterapico per sostituire le cellule malate. Il trattamento prevede un’intensa immunosoppressione iniziale, per eliminare l’infiammazione del sistema nervoso che caratterizza la SM, seguita da una reinfusione delle CSE che andranno a formare un “nuovo” sistema immunitario, più tollerante e meno aggressivo.
“Nel momento in cui ci si accorge che la persona non risponde alle terapie tradizionali, il trapianto autologo è una delle opzioni più importanti”, afferma Mancardi. “Ciò permette anche di intervenire quando il paziente ha ancora possibilità di recupero. Il problema principale della terapia rimane il rischio di mortalità, che però sta progressivamente diminuendo nel tempo e ora è intorno allo 0,3%”
I RISULTATI DELLO STUDIO
Lo studio retrospettivo – che ha coinvolto 20 centri clinici italiani – ha analizzato l’efficacia nel tempo del trattamento in 210 pazienti con SM aggressiva, con un’età media di 35 anni e che hanno subito un trapianto in Italia dal 1998 al 2019 con un follow up medio di circa 6 anni. Di questi partecipanti allo studio, 122 avevano una SM recidivante-remittente, 86 una forma secondaria progressiva e due una SM progressiva primaria. I ricercatori hanno valutato i pazienti a sei mesi, cinque anni e 10 anni dal trapianto. I dati dimostrano che alla soglia dei 10 anni il 66% dei pazienti non ha avuto un aggravamento della disabilità e in molti casi è stato osservato un miglioramento del quadro neurologico, duraturo nel tempo. In particolare, per quel che riguarda la forma più comune di SM: l’86% delle persone non ha subito alcun peggioramento della propria disabilità cinque anni dopo il trapianto e il 71% sul follow up di dieci anni. Sul fronte della forma progressiva di SM, invece, al termine del periodo di osservazione per il 57% dei pazienti non è stato evidenziato alcun peggioramento.
“Finora i trattamenti convenzionali hanno ridotto gli attacchi e il peggioramento dei sintomi nei pazienti, ma non a lungo termine”, ha aggiunto la prof.ssa Matilde Inglese, responsabile del Centro Sclerosi Multipla del San Martino e dell’Università di Genova e coautrice dello studio. “Studi precedenti mostrano che più della metà delle persone in trattamento con farmaci per la SM continua a peggiorare su un periodo di 10 anni. I nostri risultati sono entusiasmanti proprio perché dimostrano che il trapianto di cellule staminali ematopoietiche può impedire che alcune delle disabilità collegate alla SM peggiorino nel tempo”.
IL FOLLOW UP PIU’ LUNGO
“I risultati ottenuti sono di fondamentale importanza nel contesto attuale della malattia perché i pazienti presi in esame hanno una forma di sclerosi multipla particolarmente aggressiva”, ha aggiunto Boffa. “Oggi il nostro è lo studio con il più lungo follow up dopo trapianto, molti pazienti sono stati seguiti per oltre dieci anni. Un aspetto fondamentale per la SM, che è una malattia molto lenta e cronica. Sono necessari infatti lunghi periodi di osservazione prima di riuscire a comprendere se un trattamento ha avuto effetto, perché molti pazienti possono andare incontro ad una progressione ‘silente’ della malattia, che spesso non è evidente nei primi anni di terapia”.
Certo si tratta di uno studio retrospettivo, che non includeva un gruppo di controllo e i medici che hanno effettuato le misurazioni per valutare la disabilità dei partecipanti erano a conoscenza del fatto che questi avessero ricevuto un trapianto di CSE. Il che potrebbe rappresentare un bias. “Limitazioni che affronteremo in future ricerche”, ha affermato Inglese. “Attualmente, il nostro studio dimostra che un’immunosoppressione intensa seguita da trapianto di cellule staminali ematopoietiche dovrebbe essere considerato un trattamento per le persone affette da SM. Specialmente quelle che non rispondono alla terapia convenzionale”.