In cosa consiste la sindrome di Wendy e perché non bisogna sottovalutarla: lo spiega la dottoressa Rossella Valdré di Guidapsicologi.it
Probabilmente vi ricorderete di Wendy di Peter Pan per la sottile liaison tra i due personaggi all’interno del racconto. Ricordate che succede giunti all’Isola che non c’è? Si fece carico dei bimbi sperduti, della casa, di far ragionare Peter Pan ogni qualvolta fosse necessario: era una bambina con un ruolo di adulta?
Proprio per questo parliamo di Sindrome di Wendy. Si manifesta in quelle persone che assumono le responsabilità degli altri come proprie con una predisposizione materna, normalmente verso il proprio partner o la famiglia. Analizziamo queste dinamiche insieme alla Dott.ssa. Rossella Valdrè di Guidapsicologi.it
Come riconoscere una persona che soffre di sindrome di Wendy?
«Dal nome della favola di Peter Pan, consiste nella cosiddetta “sindrome della crocerossina”. Wendy è colei che, mentre i fratellini giocano e si divertono, aspetta e cuce, si prende cura di loro e Peter Pan, non bada ai suoi stessi bisogni ma solo a quelli degli altri. È colei (più spesso donna) che si sacrifica, fino anche all’abnegazione, per qualcun altro, che può essere un partner come un figlio o un genitore, in tutto uno spettro che va dal normale sacrificio a forme patologiche e devastanti. Si tratta di un soggetto iper responsabilizzato che ha sempre a che fare, dall’altro lato, con un Peter Pan, con un altro che invece è deresponsabilizzato, che si lascia curare e accudire. Nei casi più gravi, e che osservo spesso in terapia, a Wendy corrisponde non un semplice Peter Pan ma un severo narcisista patologico, che è molto abile nel cogliere la propensione inconscia della crocerossina e riesce di solito a sfruttarla per il proprio tornaconto.» dice la dottoressa Valdré
Ecco alcuni sintomi che possono indicare la presenza della cosiddetta sindrome di Wendy:
Se ti preoccupi eccessivamente per le questioni altrui (che stiano bene, che non gli manchi niente…)
Se questo interesse ti porta a dimenticarti di te, delle tue necessità, dei tuoi desideri, e senti che se non ci sei tu, tutto andrà male (arriveranno tardi, falliranno, non sapranno, ecc…).
Se la gestione di tutto e tutti e il fatto di essere imprescindibile ti genera stanchezza, perché non c’è bisogno che nessuno ti chieda niente né che ti ringrazi. Ci sei sempre tu, ad assicurare la buona riuscita di ogni cosa. E se smetti di fare tutte queste cose smetteranno di volerti bene.
Solitamente sono donne oppure possono essere anche uomini?
«Sono più spesso donne, ma possono essere anche uomini (si pensi al film cult con Marlene Dietrich “L’angelo Azzurro” dove è lui, il povero professor Rath, a prostrarsi e rovinarsi per lei). Si riconosce questo tipo di donna per l’oblatività, l’eccesso di quella che appare abnegazione, generosità, pazienza, tolleranza, sacrificio di sé, disposizione a porsi in posizione passiva, a rinunciare a sé, ai propri bisogni per anteporre quelli dell’altro causando anche grave danno alla propria vita e carriera….diciamo che non è difficile riconoscere questo tipo di soggetto, nel tipo più evidente. Può essere meno facile nel tipo più occulto, meno evidente, e allora tale tipologia la si può anche scoprire all’interno di un percorso di cura, a volte non consapevole allo stesso soggetto, che ne avverte solo il sintomo della sofferenza» afferma Valdrè.
Chi soffre della sindrome di Wendy è solito avere un partner con sindrome di Peter Pan?
«Le due cose non necessariamente vanno insieme. A volte sì, le persone si scelgono a livello inconscio e una donna con tendenze a crocerossina o, detto più tecnicamente, con tendenze masochistiche e rinunciatarie, tende ad “ingaggiare” inconsciamente un partner deresponsabilizzante, un eterno fanciullo, di modo da essere lei quella indispensabile, di cui lui non potrà fare a meno. Ma come ho detto è anche frequente che questo tipo di donna purtroppo incorra nell’incontro con un soggetto narcisista più o meno gravemente patologico, o sadico, e questo a secondo del livello di gravità del complesso masochistico della donna, potrà spingerla in abissi più o meno profondi. Si possono, cioè, stabilire nelle relazioni alleanze di coppie e di ruoli inconsci che non sono poi semplici né da riconoscere né da sciogliere» spiega Valdrè.
Quali sono le cause della sindrome di Wendy
«Direi prima di tutto la bassa autostima, se non la completa disistima di sé. – afferma la dott.ssa Valdrè – Se non mi amo, non mi apprezzo, se non mi dò consistenza come persona, farò di tutto perché sia un altro a darmela, poiché io penso di non meritarla. Pensiamo a Cenerentola, un archetipo di tutti i tempi: è l’altro che con la scarpetta dà valore alla donna. È la profonda disistima, fino all’odio per se stesse che ha radici profonde nell’infanzia analizzabili solo in una psicoanalisi, a portare la donna a fare la crocerossina. La speranza inconscia è di ottenerne amore e un ritorno narcisistico, di essere riamate e guadagnare in autostima, il che non avviene mai, anzi avviene proprio il contrario, in quanto il partner deprezza la donna sempre disponibile e si viene a creare un circolo vizioso.»
Le cause si possono rintracciare nell’infanzia (0-7 anni), età in cui si forma il carattere. L’origine è multifattoriale: culturale, educazione, numero di fratelli, differenza d’età. In generale, chi soffre di questa sindrome, ha sofferto l’assenza delle figure genitoriali di riferimento. Queste circostanze hanno portato il soggetto ad assumere responsabilità adulte. Un’altra causa determinante è l’aver vissuto una situazione di iper protezione, che ha portato a un blocco dell’autonomia e dell’indipendenza. Queste situazioni fanno sì che Wendy senta di esistere e di valere come essere umano solo quando fa qualcosa per gli altri.
Come liberarsi dai comportamenti tossici
«Prendendone coscienza e decidendosi ad un vero cambiamento. Poiché, come visto sopra, non si tratta di un banale cambiamento di partner o di atteggiamento ma si deve andare alle radici profonde della personalità, non è un cambiamento che si può affrontare da soli o con scorciatoie. Occorre rivolgersi con fiducia ad un professionista, e da psicoanalista ritengo la psicoanalisi, o la psicoterapia, lo strumento migliore che può mettere nel tempo il soggetto in grado di capire se stesso e le sue scelte, e di conseguenza modificarle», conclude la dott.ssa Valdrè.
È possibile lavorare per allontanare questi comportamenti poco sani:
Migliora la tua autostima: lavora sulle credenze e i valori attraverso varie tecniche che ti facciano percepire il tuo valore reale, credere che essere te stesso è sufficiente, lasciando da parte la falsa idea che ti vogliono per ciò che fai per loro.
Migliora la tua assertività: stabilisci limiti chiari, impara a comunicare le tue necessità e i tuoi desideri, impara a dire NO.
Migliora la relazione con te stesso: impara a prenderti cura di te, a volerti bene e accettarti per come sei. Priorizzare se stessi non significa necessariamente essere egoisti. Su questo punto si raccomanda, insieme a un supporto terapeutico individuale o di gruppo, yoga, meditazione o simili.
Impara a delegare, a sentire che dividere i compiti con il partner o la famiglia è positivo per tutti e che assumere la responsabilità di tutto non porta a niente, se non a un pericoloso sovraccarico.
Rivolgiti a un professionista esperto e il processo sarà molto più rapido e effettivo. Ti permetterà di creare nuove abitudini e cambiamenti stabili, che ti faranno sentire una persona piena e ti faranno capire che avere un partner e una famiglia è un’opportunità di crescita congiunta e condivisa in cui tutti apportano, tutti ricevono e tutti crescono.