Acqua su Marte: può essere rimasta nei minerali


Per un nuovo studio pubblicato su Science una quantità sostanziale di acqua che ricopriva la superficie di Marte è ancora all’interno di minerali

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Secondo le attuali evidenze geologiche, miliardi di anni fa sulla superficie di Marte l’acqua scorreva abbondante, raccogliendosi in pozze, laghi e profondi oceani. Una nuova ricerca finanziata dalla Nasa mostra che una quantità sostanziale di quell’acqua – tra il 30 e il 99 per cento – è ancora intrappolata all’interno di minerali nella crosta del pianeta, al contrario di quello che prevede la teoria secondo la quale, a causa della bassa gravità del Pianeta rosso, la sua acqua dovrebbe essere da tempo fuggita nello spazio.

Si pensa che Marte all’inizio avesse abbastanza acqua per coprire l’intero pianeta, in un oceano profondo da 100 a 1500 metri: un volume approssimativamente equivalente alla metà dell’Oceano Atlantico. Mentre parte di quest’acqua è innegabilmente scomparsa attraverso la fuga atmosferica, le nuove scoperte, pubblicate nell’ultimo numero di Science, hanno concluso che questa teoria non tiene conto della maggior parte dell’acqua perduta.

I risultati sono stati presentati alla 52nd Lunar and Planetary Science Conference (Lpsc) dalla prima autrice, Eva Scheller. Utilizzando i dati archiviati nel Planetary Data System (Pds) della Nasa, il gruppo di ricerca ha integrato le osservazioni di più missioni del Mars Exploration Program della Nasa e il lavoro di laboratorio sui meteoriti. Nello specifico, il team ha studiato la quantità di acqua sul Pianeta rosso nel tempo, in tutte le sue forme (vapore, liquido e ghiaccio) e la composizione chimica dell’attuale atmosfera e della crosta del pianeta, focalizzandosi sul rapporto tra deuterio e idrogeno.

L’acqua è composta da idrogeno e ossigeno, ma non tutti gli atomi di idrogeno sono uguali. La stragrande maggioranza degli atomi di idrogeno all’interno del nucleo atomico ha un solo protone, mentre una piccola frazione (circa lo 0.02 per cento) esiste come deuterio – chiamato anche idrogeno “pesante” – che possiede un protone e un neutrone. L’idrogeno più leggero sfugge alla gravità del pianeta molto più facilmente rispetto alla sua controparte più pesante. Per questo motivo, la perdita dell’acqua di un pianeta attraverso l’alta atmosfera lascerebbe una traccia nel rapporto tra deuterio e idrogeno nell’atmosfera del pianeta stesso: dovrebbe rimanere una quantità molto grande di deuterio.

Tuttavia, una perdita di acqua avvenuta esclusivamente attraverso l’atmosfera non riesce a spiegare né il rapporto osservato deuterio-idrogeno nell’atmosfera marziana, né le grandi quantità di acqua che si ritiene siano state presenti in passato. Al contrario, lo studio propone che una combinazione di due meccanismi – l’intrappolamento dell’acqua nei minerali nella crosta del pianeta e la perdita di acqua nell’atmosfera – può ben spiegare il rapporto deuterio-idrogeno osservato all’interno dell’atmosfera marziana.

Quando l’acqua interagisce con la roccia, gli agenti chimici atmosferici formano argille e altri minerali idrati che contengono acqua come parte della loro struttura minerale. Questo processo si verifica sia sulla Terra che su Marte. Sulla Terra, la vecchia crosta si scioglie continuamente nel mantello e forma nuova crosta ai confini delle placche, riciclando l’acqua e altre molecole nell’atmosfera attraverso il vulcanismo. Su Marte, invece, non essendoci placche tettoniche, quando la superficie diventa arida lo rimane per sempre. Nel loro modello, il volume d’acqua che partecipa al ciclo idrologico è diminuito del 40-95 per cento durante il periodo Noachiano (circa 3.7-4.1 miliardi di anni fa), raggiungendo i valori attuali circa 3 miliardi di anni fa. «I materiali idratati sul nostro pianeta vengono continuamente riciclati attraverso la tettonica delle placche», dice Michael Meyer del Mars Exploration Program della Nasa. «Poiché abbiamo misurazioni da più veicoli spaziali, possiamo osservare che su Marte l’acqua non si ricicla e quindi ora dev’essere rinchiusa nella crosta, oppure persa nello spazio».

Uno degli obiettivi principali del rover Perseverance della Nasa è l’astrobiologia, che include la ricerca di tracce di una eventuale vita microbica pregressa. Il rover caratterizzerà la geologia del pianeta e il suo clima passato, aprirà la strada all’esplorazione umana del Pianeta rosso e sarà la prima missione a raccogliere roccia marziana e regolite. Scheller e Bethany Ehlmann, co-autrice dello studio, aiuteranno nelle operazioni del rover per raccogliere questi campioni, che verranno portati sulla Terra con il programma Mars Sample Return. La comprensione dell’evoluzione dell’ambiente marziano è fondamentale per comprendere i risultati delle analisi dei campioni portati sulla Terra, nonché per capire come sui pianeti rocciosi l’abitabilità cambia nel tempo.

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