Tumore al seno: aumentano diagnosi con linfonodi positivi


Tumore al seno: dopo l’interruzione degli screening per la pandemia aumentano le diagnosi con linfonodi positivi e in stadio III

Tumore al seno: dopo l'interruzione degli screening per la pandemia aumentano le diagnosi con linfonodi positivi e in stadio III

Un nuovo report italiano di Angela Toss e colleghi pubblicato su ESMO Open ha osservato un aumento delle diagnosi di carcinoma della mammella con linfonodi positivi e in stadio III dopo l’interruzione degli screening per il tumore del seno, per due mesi, a causa della pandemia da COVID-19. I risultati supportano le raccomandazioni di un veloce ripristino degli screening per il carcinoma mammario a pieno regime, con strategie di priorità adeguate per limitare il pericolo e soddisfare i requisiti di prevenzione delle infezioni.

Riallocazione delle risorse

L’analisi mirava a valutare le conseguenze dell’interruzione degli screening mammografici per il cancro del seno, per 2 mesi, in una Regione del Nord Italia fortemente colpita dal COVID-19. Le risposte alla pandemia comprendevano una rapida riorganizzazione e allocazione delle risorse dell’assistenza sanitaria, dello staff e delle infrastrutture per ridurre al minimo l’esposizione al rischio. L’assegnazione delle priorità mirava inoltre a evitare un impatto negativo sui risultati dei pazienti, specialmente in oncologia.

La maggior parte delle organizzazioni e delle istituzioni oncologiche ha pubblicato raccomandazioni, spinte dall’obiettivo comune di salvaguardare le risorse ospedaliere per i pazienti affetti da COVID-19 e di riorganizzare le strategie di gestione del cancro. La maggioranza di queste raccomandazioni ha stabilito che gli screening mammografici della popolazione e gli screening per individuare le mutazioni fossero sospesi fino alla diminuzione della pandemia.

Gli autori dello studio hanno sottolineato che il Collegio Italiano dei Senologi Radiologi ha fornito le raccomandazioni per la procedura di priorità dell’imaging del seno e della diagnosi di cancro durante la pandemia da COVID-19. Queste raccomandazioni erano dirette in modo particolare alle donne asintomatiche che non avevano risposto all’invito per lo screening mammografico dopo l’inizio della pandemia e a quelle che erano state informate della sospensione dell’attività di screening. Si raccomandava di rinviare il controllo entro 3 mesi dalla data programmata, compatibilmente con le condizioni operative. Tuttavia, l’impatto reale della sospensione temporanea degli screening mammografici sul cancro della mammella era incerto.

Risultati dell’analisi

L’analisi retrospettiva, svolta in una singola struttura, ha paragonato le caratteristiche cliniche e patologiche dei tumori della mammella diagnosticati tra maggio e luglio 2020, dopo l’interruzione degli screening per due mesi, con quelli diagnosticati nello stesso trimestre del 2019, quando si svolgevano normalmente gli screening mammografici.

Gli autori hanno scoperto che l’interruzione di 2 mesi dello screening mammografico ha causato una notevole diminuzione del 10,4% delle diagnosi di tumore del seno in situ ma un aumento dell’11,2% delle diagnosi con linfonodi positivi e del 10,3% di quelle di malattia allo stadio III.

L’interruzione degli screening ha impattato particolarmente sul sottogruppo di pazienti con tumore della mammella ad alto tasso di proliferazione. Tra queste pazienti, il tasso di carcinomi con linfonodi positivi è aumentato del 18,5% e quello in stadio III dell’11,4%. Nel sottogruppo di pazienti con tassi di proliferazione bassi, è stato osservato un aumento del 9,3% dei tumori di stadio III, anche se le neoplasie con linfonodi positivi sono rimaste stabili.

Gli autori hanno evidenziato che, nonostante l’interruzione degli screening, le procedure per stabilire una diagnosi definitiva e incominciare i trattamenti sono state portate avanti senza ritardi. E ritengono che il rinvio delle procedure di screening dovuto al COVID-19 sia stato prudente all’inizio della pandemia. Tuttavia, la diffusione, la durata e i picchi futuri di COVID-19 non sono prevedibili. Gli autori sottolineano che ignorare per troppo tempo malattie potenzialmente pericolose come il tumore della mammella può trasformare una crisi di salute pubblica in un’altra.

Il commento di Saverio Cinieri, Presidente eletto AIOM

Questo studio conferma i timori già sottolineati dall’Associazione Italiana di Oncologia Medica (AIOM) nei documenti con cui la società scientifica ha chiesto più volte la ripresa immediata degli screening anti cancro su tutto il territorio. Già nel luglio 2020, in una riunione presso il Ministero della Salute, in qualità di delegato AIOM, ho chiesto al Ministro Roberto Speranza, insieme alle Associazioni dei pazienti, che tutti gli screening non venissero ulteriormente procrastinati. Non era infatti prevedibile l’outcome sui pazienti che sarebbe derivato dalla loro interruzione. Gli screening sono stati riavviati a macchia di leopardo fra la prima e la seconda ondata del virus, ma quest’ultima ha di nuovo ostacolato il loro proseguimento. Al mancato completo riavvio dei programmi di prevenzione secondaria si somma la diffidenza dei cittadini, causata della paura del contagio. Molte donne invitate a eseguire i controlli, infatti, hanno preferito rinviare lo screening perché spaventate dall’eventualità di dover accedere alle strutture sanitarie. Lo studio evidenzia come, in seguito all’interruzione degli screening, vi sia stato un incremento delle diagnosi di carcinoma della mammella con linfonodi positivi e di tumori in stadio localmente avanzato. La pandemia terminerà nei prossimi mesi, invece il cancro non si arresta.

L’Osservatorio Nazionale Screening ha evidenziato che, nei primi nove mesi del 2020, in Italia sono stati eseguiti oltre due milioni (2.118.973) di esami di screening in meno rispetto allo stesso periodo del 2019. Ritardi che si stanno accumulando e che si traducono in una netta riduzione non solo delle nuove diagnosi di tumore della mammella (2.793 in meno) e del colon-retto (1.168 in meno), ma anche delle lesioni che possono essere una spia di quest’ultima neoplasia (oltre 6.600 adenomi avanzati del colon-retto non individuati) o del cancro della cervice uterina (2.383 lesioni CIN 2 o più gravi non diagnosticate). Se la situazione si prolunga, diventa concreto il rischio di un maggior numero di diagnosi di cancro in fase avanzata, con conseguente peggioramento della prognosi.

Per evitare l’incremento di casi di tumore localmente avanzato o metastatico, è importante che non solo gli screening ma anche gli interventi chirurgici non subiscano più interruzioni.