Team guidato dall’Inaf ha rivelato simultaneamente per la prima volta la presenza di sei specie chimiche nell’atmosfera di un esopianeta, il gigante gassoso caldo Hd 209458b
Hd 209458b è un pianeta gigante gassoso, meno denso di Giove, che orbita attorno alla sua stella ad una distanza di poco più di 7 milioni di chilometri, ovvero un ventesimo della distanza che separa la Terra dal Sole. Di conseguenza, ha una temperatura elevata, pari a 1200 gradi Celsius, e un periodo orbitale molto breve, impiegando infatti tre giorni e mezzo per compiere un’orbita completa intorno alla stella. È uno degli esopianeti più studiati e si può definire “storico” poiché è stato il primo ad essere osservato circa vent’anni fa in transito: quando il pianeta passa davanti alla stella ogni tre giorni e mezzo, ne causa una diminuzione della luce per la parziale occultazione del disco stellare.
Il team ha raccolto dati durante quattro transiti del pianeta Hd 209458b nel vicino infrarosso con lo spettrografo ad alta risoluzione Giano-B installato al Telescopio nazionale Galileo sull’isola di La Palma (isole Canarie), nell’ambito del programma multiannuale Gaps (Global Architecture of Planetary Systems). Durante i transiti, la luce della stella viene filtrata dall’atmosfera del pianeta che lascia le “impronte” caratteristiche delle molecole in essa contenute. Grazie alla tecnica che prende il nome di spettroscopia di trasmissione diventa così possibile studiare l’atmosfera del pianeta al terminatore, ovvero la regione che separa l’emisfero diurno del pianeta, illuminato dalla stella, da quello notturno. Gli spettri ottenuti con lo strumento Giano-B hanno permesso ai ricercatori di individuare per la prima volta simultaneamente sei specie molecolari – acqua, monossido di carbonio, acido cianidrico, metano, ammoniaca e acetilene – nell’atmosfera di Hd 209458b, sfruttando l’alta risoluzione per cui migliaia di righe spettrali delle molecole sono risolte.
«Se questa scoperta fosse un romanzo inizierebbe con “In principio vi era solo l’acqua…” poiché effettivamente la maggioranza delle considerazioni riguardanti le atmosfere esoplanetarie osservate nel vicino infrarosso si basava sulla presenza – o assenza – dell’acqua, la molecola che più domina in questa regione dello spettro», dice Paolo Giacobbe, ricercatore dell’Istituto nazionale di astrofisica e primo autore dell’articolo su Nature. «Ci siamo però chiesti: veramente tutte le altre molecole che teoricamente ci aspetteremmo non lasciano alcuna traccia osservabile? Scoprire che è possibile rivelarle, grazie ad un perfezionamento delle tecniche di analisi che ha richiesto un grosso sforzo, apre nuovi orizzonti, tutti da esplorare».
Secondo gli attuali modelli teorici che descrivono le atmosfere esoplanetarie, la scoperta di così tante molecole nell’atmosfera di Hd 209458b, molte delle quali contengono il carbonio, indicherebbe una chimica dell’atmosfera più ricca di carbonio che di ossigeno. «Questa caratteristica», sottolinea Matteo Brogi, professore presso l’Università di Warwick nel Regno Unito e associato Inaf, anch’egli nel team che ha realizzato la scoperta, «suggerisce che il pianeta si sia formato al di là della linea di condensazione dell’acqua, ovvero a diverse unità astronomiche dalla stella madre (una unità astronomica equivale alla distanza Sole-Terra), dove ci si aspetta che il gas nel disco protoplanetario sia più ricco di carbonio. In confronto al sistema solare, Hd 209458b si sarebbe pertanto formato oltre l’orbita di Marte, più probabilmente fra l’orbita di Giove e quella di Saturno, e sarebbe poi migrato verso la sua stella fino alla distanza in cui lo osserviamo oggi, ossia a circa un decimo della distanza di Mercurio dal Sole. Ciò avvalora le teorie secondo cui i gioviani caldi si sono formati molto lontano dalla posizione in cui si trovano adesso».
Per Aldo Bonomo, anch’egli ricercatore Inaf, coautore dell’articolo e responsabile scientifico del programma Gaps sullo studio delle atmosfere esoplanetarie, «questa importante scoperta avrà anche due sviluppi: da un lato, mostra l’opportunità di combinare in un prossimo futuro dati ad alta risoluzione, ottenuti con spettrografi come Giano-B e cruciali per l’identificazione di numerose molecole, con quelli a bassa risoluzione dei telescopi spaziali Hubble, Jwst e Ariel, per lo studio delle atmosfere planetarie; dall’altro, l’approccio nell’analisi dei dati di questo lavoro sarà utile anche nell’era dei telescopi da terra di nuova generazione, quali gli extremely large telescopes, per cercare nell’atmosfera degli esopianeti di tipo terrestre veri e propri biomarcatori, come l’ossigeno molecolare, che possano indicare la presenza di vita su di essi».
Per saperne di più:
- Leggi sulla rivista Nature l’articolo “Five carbon- and nitrogen-bearing species in a hot giant planet’s atmosphere” di Paolo Giacobbe, Matteo Brogi, Siddharth Gandhi, Patricio E. Cubillos, Aldo S. Bonomo, Alessandro Sozzetti, Luca Fossati, Gloria Guilluy, Ilaria Carleo, Monica Rainer, Avet Harutyunyan, Lorenzo Pino, Valerio Nascimbeni, Serena Benatti, Katia Biazzo, Andrea Bignamini, Katy L. Chubb, Riccardo Claudi, Rosario Cosentino, Elvira Covino, Mario Damasso, Silvano Desidera, Aldo F. M. Fiorenzano, Adriano Ghedina, Antonino F. Lanza, Giuseppe Leto, Antonio Maggio, Luca Malavolta, Jesus Maldonado, Giuseppina Micela, Emilio Molinari, Isabella Pagano, Marco Pedani, Giampaolo Piotto, Ennio Poretti, Gaetano Scandariato, Sergei N. Yurchenko, Daniela Fantinel, Alberto Galli, Marcello Lodi, Nicoletta Sanna e Andrea Tozzi