Grazie ai dati di archivio del Chandra X-ray Observatory della Nasa gli astronomi hanno rilevato per la prima volta un’emissione a raggi X di Urano
Dei pianeti del Sistema solare, solo i giganti di ghiaccio, Urano e Nettuno, non sono ancora stati osservati nei raggi X. Significa che la loro emissione a questa lunghezza d’onda è – in relazione ai tempi e modi di osservazione finora impiegati – probabilmente troppo debole. Dei due rimasti, però, Urano è ora forse riuscito a farsi notare: uno studio pubblicato ieri sul Journal of Geophysical research riporta una possibile identificazione del pianeta estrapolata dai dati raccolti durante gli unici – e brevi – tre tentativi di osservazione del pianeta da parte del telescopio spaziale per raggi X Chandra della Nasa – nel 2002 e nel 2017.
Urano è il settimo pianeta per distanza dal Sole e ha due serie di anelli intorno al suo equatore. Ha un diametro pari a quattro volte quello della Terra, è composto prevalentemente di idrogeno ed elio e ruota su un lato – cioè con l’asse di rotazione parallelo al piano dell’orbita, un po’ come se fosse steso –, il che lo rende diverso da tutti gli altri pianeti del Sistema solare. Nella storia delle missioni spaziali, Voyager 2 è stata l’unica sonda a volare vicino a Urano, e per osservarlo gli astronomi attualmente si affidano a telescopi in orbita vicino alla Terra, come Chandra o il telescopio spaziale Hubble.
Uno dei fattori che rendono Urano un caso di studio interessante è la configurazione della sua magnetosfera. Mentre gli assi di rotazione e del campo magnetico di Terra, Giove e Saturno sono tutti orientati quasi perpendicolarmente al piano dell’eclittica – e quindi anche alla direzione del vento solare –, l’asse di rotazione di Urano, come dicevamo, è singolare. Inoltre, l’asse del campo magnetico di Urano è sorprendentemente disallineato dall’asse di rotazione, sicché, durante il solstizio che si è verificato quando Voyager 2 ha effettuato il suo flyby attorno al pianeta nel 1986, il vento solare incideva quasi perpendicolarmente all’asse magnetico. Non finisce qui, perché l’inclinazione non è la sola peculiarità dell’asse magnetico: esso infatti non passa nemmeno per il centro del pianeta, è anzi sfalsato rispetto a questo di circa un terzo del raggio planetario. Per questo, la magnetosfera è particolarmente variabile, e la complessa relazione fra essa e il vento solare genera aurore instabili e insolite.
Ma veniamo ora allo studio delle emissioni di raggi X. Le informazioni sui sistemi planetari che provengono da questa banda riguardano la composizione dell’atmosfera, della superficie e – nel caso di Urano – dell’anello planetario, che brillano a queste frequenze attraverso fenomeni di fluorescenza o scattering, nonché l’accoppiamento fra magnetosfera-ionosfera, attraverso le emissioni aurorali, e la natura delle interazioni del vento solare attraverso le cosiddette emissioni per trasferimento di carica (charge exchange emissions).
Nel nuovo studio, i ricercatori hanno usato i dati presi da Chandra su Urano nel 2002 e nel 2017. La prima osservazione ha rilevato una chiara emissione di raggi X, analizzata solo di recente, mentre un possibile brillamento di raggi X è emerso nelle osservazioni condotte quindici anni dopo. Nell’immagine d’apertura, l’emissione a raggi X rilevata da Chandra nel 2002 è mostrata in rosa, sovrapposta a un’immagine ottica del 2004 di uno dei telescopi Keck che mostra il pianeta circa con lo stesso orientamento che aveva durante le prime osservazioni di Chandra.
Ma cosa fa brillare Urano nella banda X? Principalmente il Sole. Gli astronomi hanno osservato che sia Giove che Saturno disperdono la luce X emessa dalla nostra stella, in modo simile a come avviene nell’atmosfera terrestre. Oltre a questa spiegazione – quella attesa dagli autori dello studio su Urano – però, ci sono allettanti indizi che almeno un’altra fonte di raggi X sia presente.
Una possibilità è che gli anelli di Urano producano essi stessi dei raggi X, come avviene per gli anelli di Saturno. Urano è circondato da particelle cariche, come elettroni e protoni. Se queste particelle energetiche si scontrano con gli anelli, potrebbero indurre una fluorescenza alle frequenze osservate da Chandra. Un’altra possibilità è che alcuni dei raggi X provengano dalle aurore di Urano, similmente a quanto avviene nelle aurore terrestri e gioviane – sebbene quest’ultime chiamino in causa anche fenomeni particolari – e come già osservato ad altre lunghezze d’onda su Urano stesso. Gli autori dello studio comunque rimangono cauti su quest’ultimo punto, poiché gli errori statistici sui conteggi di fotoni (gli “errori di Poisson”) potrebbero rappresentare quasi la metà dei conteggi rilevati, il che porterebbe a considerare come certa la sola emissione solare diffusa. Non rimane che puntare nuovamente verso Urano gli occhi X a disposizione della scienza spaziale per fugare ogni dubbio.
Per saperne di più:
- Leggi su Journal of Geophysical Research l’articolo “A Low Signal Detection of X‐Rays From Uranus”, di W. R. Dunn J.‐U. Ness L. Lamy G. R. Tremblay G. Branduardi‐Raymont B. Snios R. P. Kraft Z. Yao e A. D. Wibisono