Cancro ovarico avanzato e recidivato, BRCA-mutato: l’inibitore di PARP rucaparib ha migliorato significativamente la sopravvivenza libera da progressione
Rispetto alla chemioterapia standard, il trattamento con l’inibitore di PARP rucaparib ha migliorato significativamente la sopravvivenza libera da progressione (PFS) e la durata della risposta (DoR) nelle pazienti con cancro ovarico avanzato e recidivato, BRCA-mutato, nello studio di fase 3 ARIEL4 (NCT02855944) i cui risultati sono stati presentati all’Annual Meeting on Women’s Cancer organizzato dalla Society for the Gynecologic Oncology (SGO).
Rucaparib è stato approvato per la prima volta nel dicembre 2016, dalla agenzia regolatoria americana (Fda), con una procedura accelerata basata su due studi multicentrici di fase 1/2, a braccio singolo per il trattamento delle pazienti con cancro ovarico avanzato, che presentava mutazioni deleterie delle linee germinale o somatica dei geni BRCA1/2, già precedentemente trattate con due o più chemioterapie.
Lo studio ARIEL4 rappresenta lo studio confermativo di fase 3, disegnato in accordo con le indicazioni delle due agenzie regolatorie americana ed europea, per fornire ulteriori dati sui benefici di rucaparib in questa indicazione.
Lo studio ARIEL4
Le pazienti arruolate nello studio avevano un tumore primario dell’ovaio recidivato epiteliale di alto grado, delle tube di Falloppio o del peritoneo e dovevano aver ricevuto almeno due precedenti regimi di chemioterapia, di cui almeno uno a base di platino; dovevano avere una mutazione deleteria germinale o somatica di BRCA. Una precedente terapia con un inibitore di PARP o paclitaxel in monoterapia rappresentava un criterio di esclusione.
Ai fini dello studio, la risposta ai precedenti trattamenti a base di platino è stata definita come resistenza al platino per le pazienti ricadute entro 6 mesi, parzialmente sensibile per quelle ricadute tra 6 e 12 mesi e completamente sensibile per quelle ricadute dopo più di un anno dall’ultimo trattamento con platino. Questa classificazione è poi servita come fattore di stratificazione per la randomizzazione.
Nello studio sono state arruolate 349 pazienti (popolazione Intent-To-Treat. ITT), mentre l’efficacia primaria è stata valutata in un gruppo di 325 donne portatrici di una mutazione deleteria di BRCA1/2, escluse quelle andate incontro a una reversione della mutazione (o delle mutazioni) di BRCA, determinata con un test su un campione di sangue della paziente.
Le pazienti nel braccio sperimentale (233) sono state trattate con rucaparib 600 mg due volte al giorno e quelle del braccio di confronto (116) con paclitaxel somministrato una volta alla settimana, se resistenti o parzialmente sensibili al platino, oppure con una chemioterapia a base di platino con agente singolo o una doppietta, se sensibili al platino. Il trattamento è continuato fino alla progressione della malattia confermata radiologicamente, oppure al manifestarsi di una tossicità inaccettabile, al decesso o all’interruzione dello studio. Le pazienti del braccio di confronto andate incontro a progressione (74, pari al 64%) sono potute passare al braccio con rucaparib.
L’endpoint primario era la sopravvivenza libera da progressione (PFS) in entrambe le popolazioni.
Al basale, le pazienti avevano un’età mediana di 58,0 anni (intervallo: 38-85) e una mediana di 43 mesi (intervallo 13-185) dalla diagnosi di tumore. Quasi tutte (il 94,8%) avevano un tumore ovarico epiteliale, il 2,9% aveva un tumore alle tube di Falloppio e il 2,3% un tumore peritoneale primario. La maggioranza delle pazienti (95%) presentava istologia sierosa e l’84,0% una mutazione deleteria di BRCA1/2 di tipo germinale.
In termini di trattamento precedente, il 57,9% aveva ricevuto due regimi di chemioterapia, il 37,8% da tre a cinque e il 4,3% almeno sei. Questi includevano due regimi a base di platino per il 65,9% e almeno tre per il 28,9%. Immediatamente prima della randomizzazione, il 22,3% delle pazienti aveva ricevuto un trattamento non a base di platino. Dal punto di vista della resistenza o sensibilità al platino, il 51,3% delle pazienti erano platino-resistenti, il 27,5% parzialmente sensibili e il 21,2% completamente sensibili.
Miglioramento significativo della PFS
Nella popolazione sottoposto all’analisi primaria dell’efficacia, la PFS mediana è stata di 7,4 mesi (IC al 95% 7,3-9,1) nel braccio trattato con rucaparib (220 pazienti) contro 5,7 mesi (IC al 95% 5,5-7,3) nel gruppo di confronto (105) con un hazard ratio (HR) di 0,64 (P = 0,001), mentre nella popolazione ITT nel braccio con rucaparib (233 pazienti) la PFS mediana è stata, di nuovo, di 7,4 mesi, contro 5,7 mesi nel braccio trattato con la chemioterapia (116 pazienti) con un HR di 0,67 (P = 0,002).
La durata mediana del trattamento è stata di 7,3 mesi (intervallo: <1-41) con rucaparib e 3,6 mesi (intervallo: <1-25) con la chemioterapia.
Tra le 23 pazienti con una reversione delle mutazioni di BRCA1/2, la PFS mediana nel gruppo rucaparib è stata di 2,9 mesi (IC al 95% 1,8-4,2) rispetto a 5,5 mesi (IC al 95% 1,9-6,6) nel gruppo trattato con la chemioterapia (HR 2,77; IC al 95% 0,99-7,76).
«Questo è il primo risultato prospettico ottenuto in uno studio randomizzato, dal quale emerge che la presenza di reversione di una mutazione di BRCA1/2 può predire la resistenza primaria a rucaparib, anche se va considerato l’esiguo numero di pazienti in questo sottogruppo» ha dichiarato la co-coordinatrice dello studio, Rebecca Kristeleit, del Guy’s and St Thomas’ NHS Foundation Trust di Londra.
Il tasso di risposta obiettiva (ORR) secondo i criteri RECIST nella popolazione sottoposta all’analisi primaria dell’efficacia è stato del 40,3% (IC al 95% 33,6%-47,2%) con rucaparib rispetto al 32,3% (IC al 95% 23,1%-42,6%) con la chemioterapia; la differenza fra i due bracci non ha raggiunto la significatività statistica (P = 0,13). La risposta secondo i criteri RECIST e/o in base ai valori del marker tumorale CA-125 è stata osservata nel 50,7% (IC al 95% 43,8%-57,5%) delle pazienti trattate con rucaparib e nel 43,6% (IC al 95% 33,7%-53,8%) di quelle trattate con la chemioterapia.
Sempre nella popolazione sottoposta all’analisi primaria dell’efficacia, la DoR mediana è stata di 9,4 mesi (IC al 95% 7,5-11,1) con rucaparib e 7,2 mesi (IC al 95% 4,0-11,4) con la chemioterapia (HR 0,59; IC al 95% 0,36-0,98).
La sopravvivenza globale sarà valutata quando i dati saranno sufficientemente maturi.
Lo stato di salute globale non ha mostrato differenze significative tra i due bracci di trattamento nel corso del tempo in tutti i gruppi di popolazione fino al ciclo 7 di trattamento.
I dati di sicurezza e tollerabilità
Gli eventi avversi di qualsiasi grado più comuni (cioè con un’incidenza ≥ 20%), occorsi durante il trattamento, sono stati anemia/diminuzione dell’emoglobina (53,9% con rucaparib contro 31,9% con la chemioterapia), nausea (53,4% contro 31,9%, rispettivamente), astenia/fatigue (49,6% contro 44. 2%), aumento dell’alanina/aspartato aminotransferasi (34,5% contro 11,5%), vomito (34,1% contro 16,8%), dolore addominale (23,3% contro 15,9%), trombocitopenia/diminuzione della conta piastrinica (23,3% contro 11,5%), neutropenia/diminuzione della conta dei neutrofili (22,4% contro 28,3%), e diarrea (20,3% contro 21,2%).
L’anemia/diminuzione dell’emoglobina è stato il più comune evento avverso di grado ≥ 3 occorso durante la terapia nel braccio rucaparib, con un’incidenza del 22,4%, contro il 5,3% nel braccio trattato con la chemioterapia, seguito da neutropenia/diminuzione della conta dei neutrofili, la cui incidenza è stata rispettivamente del10,3% contro 15,0%.
«In entrambi i bracci dello studio non sono state osservate nuove tossicità» ha sottolineato la Kristeleit.
Nel gruppo rucaparib, l’8,2% delle pazienti ha interrotto il trattamento a causa di un evento avverso contro il 12,4% delle pazienti nel braccio di confronto.
Inoltre, nel gruppo trattato con il PARP-inibitore sono stati riportati quattro casi di sindrome mielodisplastica/leucemia mieloide acuta, di cui uno occorso durante il trattamento e tre durante il follow-up a lungo termine.
«I dati dello studio ARIEL4 aumentano in modo significativo la nostra comprensione del ruolo di rucaparib nelle donne con cancro ovarico recidivato positivo per le mutazioni di BRCA1/2, così come della rilevanza clinica della reversione delle mutazioni di BRCA1/2» ha sottolineato la Kristeleit, aggiungendo che «Questo è un traguardo di grande interesse, perché le donne con una malattia più avanzata hanno meno opzioni terapeutiche ed è sempre più importante capire come le mutazioni specifiche influenzino i risultati del trattamento».
Bibliografia
R. Kristeleit, et al. Rucaparib versus chemotherapy in patients with advanced, relapsed ovarian cancer and a deleterious BRCA mutation: efficacy and safety from ARIEL4, a randomized phase 3 study. Society of Gynecologic Oncology 2021 Annual Meeting on Women’s Cancer; abstract 11479.