Le grandi imprese della moda si salvano con l’e-commerce ma per i piccoli artigiani è crisi profonda con la pandemia: l’allarme dei sindacati
“Ci stiamo occupando di diverse situazioni critiche”: è la denuncia lanciata dalla Filctem-Cgil di Milano circa la gravità della crisi che sta colpendo l’area delle piccole imprese che operano per i grandi gruppi dell’alta moda.
“Ci sono piccole imprese – spiega Simona Lupaccini, segretaria del sindacato – che hanno perso fino al 50% del loro fatturato, con i dipendenti in cassa integrazione a rotazione da più di un anno”. La strategia dei colossi del fashion è stata definita ‘una cura dimagrante’: accordi di incentivi all’esodo per i dipendenti, taglio dei costi, calo delle commesse alle piccole e medie imprese.
Solo nella Città metropolitana di Milano nel settore tessile sono oltre 250 le imprese che finora hanno aperto procedure di cassa integrazione, in molti casi limitate alla prima fase della pandemia. Con il rischio concreto che, alla fine del blocco dei licenziamenti, si apra la strada ad esuberi di massa nel settore.
I sindacati milanesi dei settori tessile e commercio si preparano a un’iniziativa pubblica, per chiedere a Comune e Regione di aprire un tavolo sul futuro della capitale della moda e sul ruolo della Milano post-Covid.
Le vie dello shopping contano infatti chiusure di negozi non solo del comparto fast fashion, ma anche per quel che riguarda le firme più prestigiose, legate per le vendite alla presenza dei turisti che da tutto ilo mondo hanno nella città meneghina un punto di riferimento.
E la moda, simbolo culturale dell’Italia nel mondo e seconda industria manifatturiera italiana, sta vivendo una crisi profonda. Fattura complessivamente 100 miliardi, ma oggi perde il 25% del fatturato e nel 2020 ha subito un calo dei ricavi del -17%. Con i piccoli produttori artigiani, vero patrimonio dell’eccellenza italiana, che rischiano di finire ingoiati dalla crisi.