Onde di Alfvén: studio conferma l’esistenza


Uno studio, grazie a osservazioni spettropolarimetriche ad alta risoluzione della fotosfera solare, ha confermato sperimentalmente la presenza delle Onde di Alfvén

onde di alfvén

Ci sono ma non si vedono. O meglio, a causa della loro natura e della moltitudine di fenomeni turbolenti che popolano la superficie della nostra stella, è da sempre stato difficile confermare la loro presenza. Sono le onde di Alfvén, una particolare tipologia di onda magnetoidrodinamica che gioca un ruolo cruciale nella trasmissione dell’energia nell’atmosfera della nostra stella. Dette anche onde magnetiche torsionali, hanno la loro importanza nella capacità di trasportare energia su grandi distanze, grazie alla loro natura puramente magnetica. Per loro caratteristica sono prodotte nell’atmosfera solare e possono addirittura propagarsi nello spazio interplanetario e osservate nelle vicinanze della Terra.

Nonostante numerose prove indirette della presenza di onde di Alfvén nell’atmosfera del Sole più esterna, nessuna evidenza diretta era stata trovata finora. Ora, dopo oltre 50 anni ora, grazie a osservazioni spettropolarimetriche ad alta risoluzione della fotosfera solare ottenute dallo spettropolarimetro dell’Istituto nazionale di astrofisica (Inaf) Ibis (Interferometric Bidimensional Spectrometer), realizzato in collaborazione con le università di Firenze e Roma “Tor Vergata”, è stato finalmente possibile confermare l’esistenza di queste particolari onde del plasma nell’atmosfera solare. Una scoperta che fa luce sui meccanismi di eccitazione legati ai moti convettivi del plasma nella fotosfera solare. Le osservazioni analizzate nello studio sono state ottenute quando lo strumento era installato al Dunn Solar Telescope nel New Mexico, Usa. Lo strumento è ora in fase di aggiornamento nei laboratori Inaf per tornare operativo nel 2022 presso la Vacuum Tower Telescope alle Isole Canarie, Spagna.

Lo studio è stato guidato da Marco Stangalini, ricercatore dell’Agenzia spaziale italiana (Asi) e associato Inaf, dal professor Robertus Erdélyi dell’Università di Sheffield, e ha coinvolto ricercatori da altri sette istituti e università, tra le quali l’Università di “Tor Vergata” a Roma. Una collaborazione internazionale capace di mettere assieme e sfruttare competenze complementari, utili per l’analisi di dati spettropolarimetrici complessi e la realizzazione di simulazioni numeriche di frontiera.

«È la prima volta che questo particolare tipo di onde viene direttamente identificato nella bassa atmosfera solare», dice Stangalini, prima firma dello studio, «rendendo in tal modo possibile far luce sui meccanismi di eccitazione delle stesse. Ciò che i nostri risultati ci mostrano è che queste onde sono eccitate dai moti convettivi sulla superficie della stella da dove riescono ad estrarre enormi quantità di energia, ben più grandi di quelle richieste per scaldare gli strati più esterni della nostra stella. La domanda che ora ci poniamo è quindi dove va a finire tutta questa energia».

«Questo risultato», spiega Francesco Berrilli, professore ordinario presso il Dipartimento di fisica di Roma “Tor Vergata”, «conferma l’importanza dello studio della dinamica fotosferica per la comprensione dei complessi fenomeni fisici che avvengono negli strati più alti dell’atmosfera solare spesso connessi alle sorgenti dello space weather».

«Si tratta di una evidenza che noi fisici solari abbiamo cercato per più di 20 anni», aggiunge Dario Del Moro, ricercatore del Dipartimento di fisica a “Tor Vergata”. «Il prossimo passo consisterà nell’usare questi processi come diagnostica per estrarre informazioni sulla dinamica dell’atmosfera della nostra stella».

I risultati di questo studio, pubblicati sulla rivista Nature Astronomy, hanno importanti ricadute non solo nella fisica solare – per aiutare gli esperti a comprendere il riscaldamento della corona e l’accelerazione del vento solare – ma anche nell’astrofisica delle alte energie e nel campo delle applicazioni come quello dei reattori a fusione nucleare. L’evidenza diretta della presenza di queste particolari onde nella fotosfera solare è solo un primo passo verso la comprensione dei meccanismi fisici associati ad esse in molti contesti fisici e astrofisici diversi.

Nuovi passi e ulteriori risposte si attendono dalle diverse infrastrutture e missioni dedicate allo studio del Sole quali i telescopi di futura generazione, come il telescopio da 4 metri Dkist (Usa) e il prossimo telescopio solare europeo Est, o le missioni Solar Orbiter dell’Esa e Parker Solar Probe della Nasa, che ci stanno fornendo le prime eccezionali immagini.

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