Malattie da accumulo lisosomiale: fino a 14 anni il ritardo diagnostico. Fondamentali lo screening neonatale e una comunicazione che aumenti l’informazione e la consapevolezza
Ereditarie, progressive, meno rare di quanto dicano i numeri, con un ritardo nella diagnosi mediamente di 10-14 anni, tanto che l’iter diagnostico si trasforma per i pazienti e le loro famiglie in una angosciante “odissea diagnostica”; poco note tra gli operatori sanitari e l’opinione pubblica e poco studiate nelle scuole di specializzazione. Eppure, proprio le malattie da accumulo lisosomiale, come la malattia di Gaucher, la malattia di Fabry, e la sindrome di Hunter, hanno cambiato il modo di fare medicina.
Un nuovo caso su 7.700 nascite ogni anno, sono i numeri ufficiali delle malattie da accumulo lisosomiale, ma è solo la punta dell’iceberg, perché in realtà queste gravi patologie genetiche sono molto più diffuse di quanto dicano le cifre delle diagnosi cliniche a loro volta inferiori al numero delle diagnosi da screening neonatale. Peraltro un suo incremento potrebbe contribuire ad accelerare la diagnosi e a intraprendere tempestivi trattamenti per migliorare la presa in carico del paziente e migliorare la prognosi, spesso severa di queste malattie.
Gli esperti puntano a creare una nuova comunicazione che aumenti la conoscenza e la consapevolezza delle malattie da accumulo lisosomiale tra gli operatori sanitari, in primis pediatri e internisti, e nell’opinione pubblica. Su queste tematiche specialisti, rappresentanti dei pazienti e delle famiglie, decisori istituzionali e giornalisti si sono confrontati in occasione del Corso di Formazione Professionale “Sulle tracce delle malattie rare da accumulo lisosomiale: il ruolo dei media per aumentare la conoscenza e migliorare la diagnosi”, promosso dal Master SGP ‘La Scienza nella Pratica Giornalistica’ della Sapienza Università di Roma.
Le malattie da accumulo lisosomiale sono patologie croniche di origine genetica che si manifestano nei primissimi anni di vita per difetto o assenza di uno degli enzimi contenuti nei lisosomi, vescicole presenti all’interno della cellula e considerati come “centri di riciclo” delle sostanze di rifiuto (macromolecole).
“Malattia di Gaucher, malattia di Fabry e sindrome di Hunter (mucopolisaccaridosi di tipo II), appartengono al gruppo delle malattie da accumulo lisosomiale che include oltre 50 patologie e rientrano dal punto di vista epidemiologico nel grande gruppo delle malattie rare”, dichiara Maria Alice Donati, Direttore SOC Malattie Metaboliche Ereditarie, Centro Clinico Screening Neonatale, AOU Meyer, Firenze. “I dati derivati dalle diagnosi cliniche per Gaucher parlano di 1 caso su 60.000 nati/anno, per Fabry di 1 caso su 40.000 e per Hunter di 1 caso su 100.000, tuttavia i numeri derivati dalle diagnosi di screening neonatale sono molto superiori. La caratteristica comune a queste patologie è il meccanismo di progressivo accumulo nei lisosomi cellulari di macromolecole di rifiuto e la conseguente progressività del decorso. La sintomatologia all’inizio è molto sfumata, tanto che può confondersi con malattie più comuni, fino a diventare severa con il coinvolgimento di numerosi organi e sistemi. Possono passare molti anni prima che i sintomi diventino specifici, peculiarità della sintomatologia è la grande eterogeneità. Esiste in ogni caso un punto di non ritorno nella storia clinica, per questo è fondamentale ampliare lo screening neonatale che attualmente in Italia è effettuato nell’ambito di progetti pilota: per Gaucher nel Triveneto, per Fabry è attivo in Toscana e in una parte del Veneto mentre non è sostenuto scientificamente per Hunter”.
Le malattie da accumulo lisosomiale seguono una trasmissione ereditaria che avviene attraverso entrambi i genitori portatori sani dell’alterazione genica, con una modalità che nella malattia di Gaucher è definita autosomica recessiva, per cui la malattia si manifesta solo quando sono mutati entrambi i geni paterno e materno; nella malattia di Fabry e nella sindrome di Hunter, invece, l’alterazione genica si trasmette con meccanismo X-linked, legato al sesso. L’iter diagnostico è una corsa ad ostacoli, una vera e propria odissea. Mediamente una diagnosi certa si ottiene a distanza di 10-14 anni dalla comparsa del primo segno o sintomo. Il forte ritardo diagnostico compromette l’intervento terapeutico che, oggi, grazie alla ricerca scientifica attivissima su questo fronte, ha a disposizione numerose ed efficaci opzioni che possono mitigare la sintomatologia e migliorare la prognosi.
“I sintomi sfumati, almeno all’inizio, eterogenei e confondenti così come il mancato orientamento del paziente verso una figura specialistica di riferimento ritardano la diagnosi, anche perché queste malattie sono poco conosciute e, quindi, poco riconosciute, tanto che si parla di ‘segni e sintomi invisibili’ sebbene si manifestino sintomi suggestivi che possono far scattare bandierine rosse”, osserva Daniela Concolino, Direttore di Pediatria Università degli Studi Magna Grecia di Catanzaro. “Da qui la necessità di potenziare la formazione dei medici e di cambiare il modo di comunicare queste patologie. Arrivare il più precocemente possibile ad una diagnosi è fondamentale, perché oggi disponiamo di diverse opzioni terapeutiche e l’esperienza ci insegna che se i trattamenti vengono iniziati tempestivamente si evitano i danni cellulari che a un certo punto dell’evoluzione della malattia diventano irreversibili. La terapia madre è l’enzimatica sostitutiva per tutte e tre le malattie, che consiste nell’inserire l’enzima mancante o carente che arriva nei lisosomi e smaltisce l’accumulo di macromolecole. Altri approcci terapeutici sono per la malattia di Gaucher gli inibitori del substrato che agiscono a monte dell’accumulo e per la malattia di Fabry la terapia cosiddetta ‘chaperonica’, con piccole molecole che fanno funzionare meglio l’enzima difettoso. Più complessa la questione per la sindrome di Hunter, nella quale la terapia enzimatica sostitutiva presenta un grosso limite: non supera la barriera emato-encefalica e, quindi, non raggiunge il sistema nervoso centrale. La ricerca sta cercando di ovviare questo ostacolo sperimentando altre modalità di somministrazione. Il futuro, invece, è rappresentato dalla terapia genica”.
Le malattie da accumulo lisosomiale sono patologie croniche. Negli anni il quadro clinico subisce una progressiva evoluzione e possono insorgere comorbidità e complicanze varie. Ne consegue che la presa in carico da parte delle strutture ospedaliere deve essere a 360 gradi.
“È complessa e impegnativa la gestione dei pazienti con malattia di Gaucher, malattia di Fabry e Sindrome di Hunter, anche perché è a lungo termine”, spiega Marco Spada, Direttore SC di Pediatria, Centro di Riferimento Regionale malattie Metaboliche Ereditarie, AOU Città della Salute e della Scienza di Torino, Ospedale Infantile Regina Margherita. “È importante curare bene e nei tempi giusti i pazienti e che questi vengano seguiti da una figura specialistica in grado di operare una grande regia, in genere il pediatra esperto in malattie ereditarie rare e metaboliche. L’attuale approccio assistenziale è multidisciplinare. Nelle malattie di Gaucher e Fabry è indispensabile avvalersi di ematologo, neurologo, nefrologo e cardiologo; nell’Hunter, o MPS II, si ha bisogno anche dell’ortopedico, del reumatologo e dello pneumologo. Grazie ai diversi trattamenti oggi a disposizione, la gestione complessiva e la qualità di vita dei pazienti sono migliorate. Le terapie sono disponibili su tutto il territorio nazionale e non richiedono ricovero ma possono essere eseguite in regime ambulatoriale o di day hospital, in alcune Regioni italiane è attivo il servizio di cure domiciliari riservate ai pazienti stabili. Sicuramente la risposta delle strutture ospedaliere è buona, un ulteriore passo in avanti sarà quello di permettere a tutti i pazienti l’accesso alle cure a domicilio”.