Carcinoma prostatico metastatico aggressivo: con cabazitaxel in prima linea risultati migliori rispetto agli anti-androgeni
Gli uomini con carcinoma della prostata resistente alla castrazione metastatico a prognosi sfavorevole ottengono risultati migliori con cabazitaxel come terapia di prima linea rispetto al trattamento con un inibitore del recettore degli androgeni. È quanto emerge da uno studio randomizzato di fase 2 pubblicato recentemente sulla rivista Annals of Oncology.
La terapia di prima linea basata sul taxano si è associata a un tasso di beneficio clinico (CBR, dato dalla somma del tasso di risposta obiettiva e il tasso di stabilizzazioni della malattia) dell’80%, rispetto al 62% osservato nei pazienti trattati con enzalutamide o abiraterone in monoterapia. Inoltre, i pazienti che hanno ricevuto cabazitaxel hanno vissuto più del doppio del tempo, sebbene la differenza non abbia raggiunto la significatività statistica a causa delle ridotte dimensioni del campione.
A fronte di questi risultati, nel gruppo trattato con cabazitaxel si sono registrati tassi più elevati di neutropenia, diarrea e infezioni di grado ≥ 3, riferiscono Kim N. Chi, del BC Cancer di Vancouver, e gli altri autori.
«Benché cabazitaxel risulti associato a un tasso di beneficio clinico moderatamente più alto rispetto all’anti-androgeno, entrambi i trattamenti andrebbero considerati opzioni terapeutiche importanti per i pazienti con carcinoma della prostata resistente alla castrazione, non trattati in precedenza con anti-androgeni. Inoltre, è stato dimostrato che alti livelli di DNA tumorale circolante hanno un valore prognostico, indipendente dalle caratteristiche cliniche, e questo parametro promette di diventare un biomarcatore di stratificazione» concludono gli autori.
Il contesto
Il carcinoma prostatico resistente alla castrazione metastatico è una condizione nella quale la malattia progredisce anche in presenza di livelli di testosterone di castrazione.
Studi clinici sul trattamento di prima linea con gli inibitori del recettore degli androgeni hanno evidenziato una sopravvivenza globale mediana (OS) di circa 3 anni nei pazienti con carcinoma prostatico resistente alla castrazione metastatico trattato con questi farmaci. Tuttavia, spiegano gli autori, i pazienti con caratteristiche cliniche sfavorevoli hanno ottenuto esiti peggiori. Le caratteristiche sfavorevoli includevano la presenza di metastasi viscerali, una rapida progressione anche in corso di terapia di deprivazione androgenica, un performance status peggiore e valori di lattato deidrogenasi e fosfatasi alcalina elevati.
Non è ancora chiaro quale sia il migliore trattamento di prima linea nella gestione clinica del paziente con carcinoma prostatico resistente alla castrazione a prognosi sfavorevole rimane poco chiaro, proseguono i ricercatori. Alcuni dati suggeriscono che i tumori aggressivi potrebbero essere meno dipendenti dal segnale dei recettori androgenici. Per esempio, le alterazioni somatiche dei geni RB1, TP53 e del recettore per gli androgeni depongono per una prognosi sfavorevole e una scarsa risposta agli inibitori degli androgeni, il che però non preclude la possibilità di ottenere una risposta migliore con una terapia a base di taxani.
In generale, gli inibitori del recettore degli androgeni rappresentano la terapia di prima linea preferita nei pazienti con tumore prostatico resistente alla castrazione metastatico, per via dei comprovati benefici di sopravvivenza e tollerabilità. Le linee guida di consenso hanno suggerito il ricorso alla chemioterapia in prima linea per i pazienti con tumore prostatico resistente alla castrazione metastatico a prognosi sfavorevole, ma questa raccomandazione finora non era suffragata da evidenze cliniche importanti.
Lo studio
Per valutare quale sia il migliore approccio terapeutico (prima linea con un inibitore del recettore degli androgeni oppure con un taxano), gli autori hanno condotto uno studio multicentrico randomizzato, in aperto, (NCT02254785) su pazienti con carcinoma prostatico resistente alla castrazione metastatico, restringendo l’arruolamento ai soggetti a prognosi più sfavorevole e non esposti in precedenza a un anti-androgeno.
I partecipanti hanno ricevuto cabazitaxel più prednisone o, a scelta dello sperimentatore, abiraterone oppure enzalutamide più prednisone. La somministrazione di un fattore stimolante le colonie granulocitarie era consentita, ma non obbligatoria.
Il trattamento è continuato fino alla progressione della malattia, allo sviluppo di una tossicità inaccettabile o al ritiro del consenso da parte del paziente. La progressione è stata definita come un aumento di due livelli o più del performance status o il passaggio a una diversa terapia oncologica per il peggioramento dei sintomi correlati al tumore, l’innalzamento del PSA o la progressione radiologica. Alla progressione era consentito il crossover con la terapia dell’altro braccio, a condizione che il paziente continuasse a soddisfare i criteri di inclusione.
L’endpoint primario era il CBR valutato dallo sperimentatore, definito come una riduzione del PSA ≥ 50%, una risposta radiografica misurabile di qualsiasi durata o una stabilizzazione della malattia per ≥ 12 settimane in assenza di altri indicatori di progressione della malattia. A discrezione dello sperimentatore, i pazienti che facevano registrare solo un innalzamento del PSA potevano continuare il trattamento.
Beneficio clinico e sopravvivenza migliori con il taxano
L’analisi dei dati ha coinvolto 95 pazienti randomizzati, con un follow-up mediano di 21,9 mesi.
Lo studio ha centrato il suo endpoint primario in quanto il CBR è risultato superiore nei pazienti trattati con cabazitaxel (P=0,039).
Inoltre, nel braccio sperimentale si è registrata un’OS mediana di 37,0 mesi, contro15,5 mesi nel braccio di confronto, con una riduzione del 42% del rischio di decesso nel braccio assegnato a cabazitaxel, sebbene la differenza non abbia raggiunto la significatività statistica (HR 0,58; P=0,073).
La PFS mediana è risultata di 5,3 mesi con cabazitaxel e di 2,8 mesi con l’anti-androgeno (HR 0,87; P = 0,52).
I risultati di sicurezza e biomarcatori
Gli eventi avversi di grado ≥ 3 corrrelati al trattamento verificatisi con maggiore frequenza nel braccio trattato con cabazitaxel sono stati neutropenia (32%), diarrea (9%) e infezione (9%), assenti nel braccio di controllo.
Il risultato dell’analisi dei biomarcatori ha mostrato, inoltre, che un valore di DNA tumorale circolante al basale superiore alla mediana e un aumento dello stesso durante il trattamento sono stati predettivi di un tempo alla progressione della malattia più breve (rispettivamente, HR 2,38 con P<0,001 e HR 4,03 con P<0,001).
Infine, i pazienti con una frazione di DNA tumorale circolante al basale > 30% hanno mostrato un’OS nettamente peggiore rispetto a quelli con DNA tumorale circolante al basale non rilevabile (HR 38,22; P < 0,001).
Riferimenti
M. Annala, et al. Cabazitaxel versus abiraterone or enzalutamide in poor-prognosis metastatic castration-resistant prostate cancer: A multicenter, randomized, open-label, phase II trial. Ann Oncol 2021; doi: 10.1016/j.annonc.2021/03.205.
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