Fotoni oscuri: i nuovi candidati per la materia oscura


I fotoni oscuri, fratelli massicci ma ultraleggeri e contraddittori dei comuni fotoni, sarebbero dei buoni candidati per la materia oscura

Jack Manley, primo autore dello studio pubblicato su Physical Review Letters e Swati Singh, professore associato al Dipartimento di ingegneria elettrica e informatica dell’università del Delaware

Poche cose in (astro)fisica stuzzicano – e necessitano di – fantasia come la materia oscura. Anche se in questo caso fantasia è più che altro un sinonimo di ingegno, la capacità di inventare soluzioni fuori dagli schemi per risolvere un problema che negli schemi non si fa trovare. E se le Wimps e altri candidati d’un certo peso ultimamente non fanno ben sperare, le particelle ultraleggere – come assioni e neutrini – cominciano a rubare la scena. Fra queste, i cosiddetti “fotoni oscuri” non sono nuovi fra le proposte. Nuovo però è un metodo proposto per rivelarli, pubblicato su Physical Review Letters in uno studio condotto dall’università del Delaware, Usa.

Ma prima di vedere come questo nuovo strumento di rilevazione incastrerebbe questi misteriosi e contraddittori costituenti della materia oscura, cerchiamo di comprendere un po’ meglio qual è la teoria da verificare. E cominciare con due parole sulla materia oscura è d’obbligo.

La necessità di trovare una componente oscura fra i costituenti dell’universo deriva dal fatto che, sommando tutta la materia visibile, essa rende conto solamente del 15 per cento circa della materia esistente. Non solo: la materia oscura dà informazione certa della sua esistenza attraverso alcuni effetti gravitazionali osservabili in galassie, ammassi di galassie e oggetti massicci lontani e vicini. Parte di questa materia invisibile potrebbe essere costituita da materia ordinaria (come pianeti, nane brune e buchi neri) che non emette luce, ma per far tornare i conti con la materia (barionica) prodotta durante la nucleosintesi primordiale, bisogna attribuire una percentuale piuttosto sostanziale (il novanta per cento circa) alla materia non barionica.

È qui che si apre il ramo più fantasioso della fisica, con ipotesi più o meno convincenti e nuovi candidati sempre pronti a fare capolino. Nessuno di essi, finora, è stato trovato. Fra questi, dicevamo, il fotone oscuro: una particella simile al fotone, il mediatore della forza elettromagnetica, ma con massa non nulla. il nome, diciamocelo, non depone a suo favore quanto a credibilità, eppure da alcuni anni gruppi di fisici ne stanno predicendo le possibili interazioni con la materia normale e inventando modi per rivelarle, queste interazioni.

Una nuova proposta arriva da un gruppo di scienziati statunitensi: si tratta di un accelerometro optomeccanico “da tavolo” per rivelare e amplificare le piccole vibrazioni che i fotoni oscuri indurrebbero nella materia ordinaria.  Dal momento che la materia oscura circonda la materia ordinaria, però, tali oscillazioni indotte – peraltro molto piccole – si medierebbero risultando inosservabili.

«Se la forza è dipendente dal materiale, utilizzando due oggetti composti da materiali diversi l’azione della forza sarà diversa, il che significa che si sarebbe in grado di misurare la differenza di accelerazione tra i due materiali», spiega Jack Manley, dottorando del dipartimento di ingegneria elettrica e computazionale dell’università del Delaware e primo autore dell’articolo.

Un accelerometro optomeccanico è una sorta di diapason in miniatura, un dispositivo vibrante che, a causa delle sue piccole dimensioni, è molto sensibile alle perturbazioni dell’ambiente. Quello costruito da Manley e collaboratori, in particolare, è costituito da una membrana di nitruro di silicio fissata a uno specchio di berillio, a formare una cavità ottica all’interno della quale la luce possa rimbalzare. Se la distanza tra i due materiali dovesse cambiare per l’azione differenziale sulla materia dei fotoni oscuri, la rilevazione sarebbe presto fatta grazie al monitoraggio del percorso seguito dalla luce riflessa.

L’utilizzo di un apparecchio simile per catturare la materia oscura, nel caso in cui essa fosse composta di particelle ultraleggere, era già stato proposto in un altro articolo sulla stessa rivista lo scorso anno. I risultati avevano dimostrato che dispositivi già esistenti su scala di laboratorio sono abbastanza sensibili per rilevare, o escludere, particelle come quelle cercate. L’accoppiamento fra materia oscura e materia normale infatti agirebbe inducendo modifiche su scala atomica, amplificate costruendo oggetti composti da molti atomi uguali e ancor di più costruendo risonatori acustici come quello proposto.

L’apparato sperimentale funziona, la teoria è solida, gli scienziati si dichiarano fiduciosi e soddisfatti. Quanto ai curiosi, loro dovranno aspettare.

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