Policitemia vera: necessario incrementare la formazione di specialisti e medici di base secondo quanto emerso all’incontro promosso dall’Osservatorio Malattie Rare
Il confronto è la solida base per una buona medicina e lo testimonia il successo del board sul tema della policitemia vera (PV). Promosso e organizzato dall’Osservatorio Malattie Rare, con il contributo non condizionato di Amomed, del Gruppo AOP Orphan, L’evento ha virtualmente riunito intorno allo stesso tavolo medici esperti, pazienti e referenti istituzionali, allo scopo di instaurare un dialogo costruttivo sui bisogni ancora irrisolti relativi a questa patologia mieloproliferativa.
In rappresentanza della parte medica hanno preso parte al board il prof. Francesco Passamonti, direttore dell’Ematologia all’Ospedale di Circolo – ASST Sette Laghi, il prof. Valerio De Stefano, direttore dell’Istituto di Ematologia presso il Policlinico Agostino Gemelli di Roma, il prof. Alessandro Maria Vannucchi, direttore della S.O.D. di Ematologia dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze, e il prof. Tiziano Barbui, primario emerito di Ematologia e direttore scientifico della Fondazione per la Ricerca Ospedale di Bergamo. Insieme a loro c’erano i rappresentanti delle principali associazioni dedicate alla PV: Antonella Barone, di AIPAMM – Associazione Italiana Pazienti con Malattie Mieloproliferativa, e Giampiero Garuti, del Gruppo AIL Pazienti MMP Ph-. Infine, si sono aggiunti i delegati istituzionali: il prof. Giuseppe Limongelli, direttore del Centro di Coordinamento Malattie Rare della Regione Campania, la dott.ssa Monica Mazzucato, del Coordinamento Malattie Rare e Registro Malattie Rare della Regione Veneto, il dott. Ugo Trama, dell’U.O.D. Politica del Farmaco e Dispositivi e ad interim dell’U.O.D. Assistenza e interventi Sociosanitari della Regione Campania, e il dott. Claudio Pisanelli, della Società Italiana di Farmacia Ospedaliera (SIFO).
Con un’incidenza a livello globale compresa tra 1 e 2,7 casi ogni 100 mila persone all’anno, la policitemia vera è una patologia mieloproliferativa rara che si caratterizza principalmente per un elevato grado di eritrocitosi (aumento del numero dei globuli rossi nel sangue). Tra le conseguenze più pericolose c’è la possibilità che la malattia possa evolvere in mielofibrosi o in leucemia acuta, insieme al rischio di eventi trombotici, i quali si manifestano in circa un terzo dei pazienti e rappresentano una delle più comuni cause di morte associate alla policitemia vera. Tutto ciò basta a fare della PV un argomento di intesa discussione e acceso dibattito. “Negli ultimi anni i criteri diagnostici per la policitemia vera sono stati modificati e ciò ha comportato un aumento del numero di casi nella popolazione”, ha spiegato il prof. Barbui, introducendo il dibattito. “L’incidenza della PV è aumentata quando si è creata la consapevolezza che la quasi totalità dei pazienti affetti presentavano una mutazione di JAK2. Nonostante questa sia riconosciuta come una patologia tipica dell’anziano, oggi essa si osserva anche in pazienti giovani, con meno di 50 anni, e ciò determina la descrizione di problematiche diverse da quelle che conoscevamo, dal momento che le comorbilità mutano con le fasce d’età”.
Un tale cambio di prospettiva implica la necessità di costante formazione non solo per il medico specialista ma soprattutto per il medico di medicina generale, che per primo può sospettare la presenza della malattia nel paziente: innanzitutto occorre fare diagnosi differenziale, escludendo altre condizioni (la cosiddetta “masked polycithemia” o la policitemia secondaria ad altre condizioni), e poi bisogna identificare i casi a più alta probabilità di avere una malattia mieloproliferativa in cui possa esserci un problema trombotico. “Uno degli obiettivi della riunione di oggi è proprio quello di discutere l’aumento della consapevolezza diagnostica dei medici di base sulla policitemia vera”, ha affermato Barbui. Obiettivo non facile, visto che il rialzo dell’ematocrito (evidenziabile con un esame emocromocitometrico) è comune a condizioni che spesso non hanno a che vedere con le patologie mieloproliferative. Tuttavia, come confermato anche da Antonella Barone di AIPAMM, l’opera di sensibilizzazione portata avanti negli ultimi anni sta dando buoni frutti. “Sarebbe costruttivo disporre di un documento che faciliti il medico di base nell’interpretazione clinica dei quadri di eritrocitosi”, ha aggiunto Passamonti. “Un documento che riporti i principali campanelli d’allarme, tra cui il dosaggio dell’eritropoietina o l’abitudine al fumo, facilitando ulteriormente la comprensione della malattia”. Continuare a fare formazione significa promuovere la conoscenza della malattia e, pertanto, favorire diagnosi precoci e tempestive: ciò influisce sulla frequenza non solo della PV, ma anche delle sue complicazioni, come la trombosi.
La terapia ha rappresentato un ulteriore ambito di discussione. Sia il salasso che il trattamento farmacologico hanno la funzione di ridurre gli eventi che intaccano la qualità di vita dei pazienti, specialmente infarti, ictus o trombosi, oltre che lo sviluppo di mielofibrosi e di leucemia acuta. “Oggi, il rischio di trombosi nei pazienti a basso rischio è lo stesso di 30 anni fa”, ha affermato ancora Barbui. “È inferiore rispetto ai pazienti classificati ad alto rischio di trombosi ma, come medici, non possiamo essere soddisfatti di come lo affrontiamo”. L’idrossiurea è l’attuale farmaco di riferimento per il trattamento delle complicanze trombotiche ma, in diversi casi, i pazienti sviluppano una resistenza al medicinale che implica il passaggio a un trattamento di seconda linea (ruxolitinib). Tra le altre opzioni terapeutiche figura l’interferone, che potrebbe avere un ruolo valido, ad esempio in alcuni sottogruppi di pazienti (come le donne in gravidanza) in cui non si può ricorrere all’idrossiurea. Le linee guida scientifiche ammettono di considerare l’interferone laddove ci sia la possibilità di somministrare un farmaco citoriduttivo, ma sono necessari ulteriori trial clinici controllati per aumentare la mole di dati a disposizione su questo trattamento.
In chiave assistenziale, un tema di grande interesse si è rivelato essere quello della gravidanza, per la quale sarebbe utile predisporre una consulenza mirata, come pure per gli aspetti dietetici e quelli legati all’opportunità di svolgere attività sportiva. La proposta, sollevata dalle associazioni dei pazienti, si inserisce nell’ottica del miglioramento della qualità di vita dei malati, un argomento che include la possibilità di affiancare alle visite specialistiche in persona anche l’uso del teleconsulto e la consegna a domicilio dei farmaci sottoposti a regolazione AIFA. “È fondamentale promuovere l’informazione e la formazione dei medici di base che rappresentano il primo anello della catena”, ha concluso Limongelli. “Questo serve per cominciare un percorso. Poi è importante favorire la coordinazione tra gli ambulatori sul territorio, gli ospedali e i centri di 3° livello, per creare percorsi fluidi nei quali rientrino elementi che comprendono il potenziamento dell’assistenza territoriale e i sistemi integrativi per far viaggiare l’informazione, come la telemedicina e il teleconsulto. Tutto ciò richiede un importante livello di programmazione, non solo da parte delle Regioni ma anche delle Aziende Sanitarie e dei clinici stessi”.