Processo Ilva, l’ex governatore della Puglia Nichi Vendola condannato a oltre tre anni di reclusione in primo grado: “Sentenza calpesta la verità”
Tre anni e mezzo di carcere. È quanto inflitto all’ex governatore della regione Puglia, Nichi Vendola, nell’ambito del processo ‘Ambiente Svenduto’, dalla Corte di Assise di Taranto sul presunto disastro ambientale causato dall’acciaieria sotto la gestione della famiglia Riva.
La condanna di Vendola, spiega l’agenzia di stampa Dire (www.dire.it), è meno grave rispetto alla richiesta dei cinque anni avanzata dai pm. L’ex governatore è accusato di concussione aggravata in concorso. Avrebbe, secondo gli inquirenti, fatto pressione su Giorgio Assennato, all’epoca dei fatti direttore generale dell’Arpa Puglia, affinchè la posizione dell’Agenzia fosse più “morbida” sulle emissioni in ambiente derivanti dai processi di lavorazione dell’Ilva.
VENDOLA: MI RIBELLO AD UNA GIUSTIZIA CHE CALPESTA LA VERITÀ
“Mi ribello ad una giustizia che calpesta la verità. E’ come vivere in un mondo capovolto, dove chi ha operato per il bene di Taranto viene condannato senza l’ombra di una prova. Una mostruosità giuridica avallata da una giuria popolare colpisce noi, quelli che dai Riva non hanno preso mai un soldo, che hanno scoperchiato la fabbrica, che hanno imposto leggi all’avanguardia contro i veleni industriali. Appelleremo questa sentenza, anche perché essa rappresenta l’ennesima prova di una giustizia profondamente malata“. Lo afferma Nichi Vendola.
“Sappiano i giudici che hanno commesso un grave delitto contro la verità e contro la storia – prosegue Vendola –. Hanno umiliato persone che hanno dedicato l’intera vita a battersi per la giustizia e la legalità. Hanno offerto a Taranto non dei colpevoli ma degli agnelli sacrificali: noi non fummo i complici dell’Ilva, fummo coloro che ruppero un lungo silenzio e una diffusa complicità con quella azienda. Ho taciuto per quasi 10 anni – conclude Vendola – difendendomi solo nelle aule di giustizia, ora non starò più zitto. Questa condanna per me e per uno scienziato come Assennato è una vergogna. Io combatterò contro questa carneficina del diritto e della verità”.
LE ALTRE CONDANNE
Concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari e all’omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro. Queste le accuse che hanno portato alla condanna, rispettivamente a 22 e 20 anni di reclusione, per Fabio e Nicola Riva. La sentenza dalla Corte d’Assise di Taranto nell’ambito del processo “Ambiente Svenduto”.
I Riva, ex proprietari e amministratori dell’acciaieria tarantina, figurano tra le 44 persone e le tre società imputate nel procedimento per inquinamento ambientale. Per loro l’accusa aveva fatto richiesta, rispettivamente, per 28 e 25 anni di carcere.
L’ex direttore dello stabilimento siderurgico di Taranto e attuale direttore generale di Acciaierie d’Italia, Adolfo Buffo, è stato condannato a 4 anni nell’ambito. L’accusa aveva chiesto la condanna a 20 anni. Al dirigente era contestata anche la responsabilità di due incidenti mortali avvenuti in fabbrica. Luigi Capogrosso e Girolamo Archinà, rispettivamente l’ex direttore del siderurgico e l’ex consulente della famiglia Riva, sono stati, invece, condannati a 21 anni di reclusione.
La Corte di Assise di Taranto ha inoltre disposto la confisca degli impianti di area a caldo dell’Ilva di Taranto per il reato di distastro ambientale imputato alla passata gestione Riva. La misura, presente nella richiesta dei pm, è presente nel corpo della sentenza letta questa mattina in aula dal presidente Stefania D’Errico. Gli impianti dell’area a caldo (parchi minerali, agglomerato, cokerie, altiforni e acciaierie) restano sottoposti a sequestro con falcoltà di uso. La confisca chiesta dall’accusa diventerà esecutiva in caso di giudizio definitivo emesso dalla Corte di cassazione.
AMBIENTE SVENDUTO, LEGALE FABIO RIVA: SEMPRE RISPETTATO NORME
“I Riva hanno costantemente investito ingenti capitali in Ilva al fine di migliorare gli impianti e produrre nel rispetto delle norme. Il totale degli investimenti erogati sotto la loro gestione ammonta a 4,5 miliardi di euro, di cui 1,2 miliardi di natura specificatamente ambientale. Cifre e numeri che sono stati certificati dal Tar e dalle due sentenze del Tribunale e della Corte di Appello di Milano di assoluzione piena perché i fatti non sussistono, perché non c’è stato dolo e perché gli investimenti realizzati sono stati veri e cospicui“. Così l’avvocato difensore di Fabio Riva, Luca Perrone, nel commentare la sentenza emessa dalla Corte d’Assise di Taranto, nell’ambito del processo ‘Ambiente Svenduto’, che ha visto Fabio e Nicola Riva condannati a 22 e 20 anni di reclusione per concorso in associazione per delinquere finalizzata al disastro ambientale, all’avvelenamento di sostanze alimentari e all’omissione dolosa di cautele sui luoghi di lavoro.
“Come inoltre ammesso dagli stessi periti – puntualizza Perrone -, sotto la gestione dei Riva Ilva ha sempre operato e prodotto rispettando tutte le normative vigenti“.
“Come anche certificato dall’Arpa – aggiunge l’avvocato – nel corso della gestione Riva sono state adottate le migliori tecniche/tecnologie allora disponibili (Best Available Technology del 2005) e come sempre i Riva si sarebbero prontamente adeguati anche a quelle del 2012 nei quattro anni successivi previsti dalle normative. Si pensi che il Piano ambientale del gestore odierno ha un termine fissato al 2023 – che verrà tra l’atro probabilmente prorogato al 2025 – che corrisponde all’adeguamento alle stesse sopracitate Bat del marzo del 2012. Nella condotta della gestione Riva non c’è mai stata nessuna forma di dolo, ma solo lo sforzo continuo di adeguare gli impianti e il loro operato ai limiti sempre più stringenti delle normative ambientali, limiti – ripeto – sempre rispettati”.
Per Pasquale Annicchiarico, difensore di Nicola Riva, il suo assistito “è stato presidente solamente due anni, dal 2010 al 2012 e sotto la sua presidenza si sono raggiunti i migliori risultati ambientali della gestione Riva con valori di diossina e benzoapirene bassissimi che si collocano a meno della metà dei limiti consentiti dalla legge”. Si tratta quindi, chiosa Annicchiarico, di “risultati straordinari dovuti agli investimenti quantificabili in oltre 4 miliardi di euro e alla gestione degli impianti sempre tesa al massimo rispetto delle normative ambientali”.