L’indagine sulle difficoltà finanziarie dei caregiver nel 13° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici: ecco chi sono i prestatori di cura
Il 40% dei caregiver, cioè dei prestatori di cura dei pazienti oncologici, subisce un disagio economico, che diventa rilevante per specifiche categorie: innanzitutto i liberi professionisti ed i disoccupati o in cassa integrazione, ma anche i lavoratori fragili, cioè coloro che hanno contratti a tempo determinato o forme flessibili, e per ragioni diverse anche i casalinghi e pensionati. Il 36% dei caregiver che manifestano un disagio economico grave appartiene proprio alla categoria dei lavoratori flessibili, il 31% sono inattivi, il 24% dipendenti privati e solo il 9% dipendenti pubblici. È quanto emerge dall’analisi pubblicata nel 13° Rapporto sulla condizione assistenziale dei malati oncologici, sulla base dell’indagine promossa da FAVO (Federazione italiana delle Associazioni di Volontariato in Oncologia) e realizzata da Datamining, in collaborazione con Aimac, INT di Milano e Pascale di Napoli. Sono stati considerati 1.205 caregiver (57% donne e 43% uomini), con una età media di 52 anni. Nella stragrande maggioranza dei casi si tratta di persone legate al malato di cancro da un rapporto di parentela (moglie, marito, figlia, figlio, sorella, fratello o genitore). In più della metà dei casi il caregiver convive con il paziente e l’assistenza prestata riguarda, in ordine di importanza, l’accompagnamento, il supporto morale e psicologico, i rapporti con l’équipe curante, l’aiuto nelle attività quotidiane e in quelle esterne ed il sostegno economico. L’impegno orario settimanale medio è di 42 ore e, in alcuni casi, raggiunge livelli molto più elevati (fino a 100 ore settimanali).
“L’indagine ha permesso di rilevare dati molto interessanti relativi al reddito, alle spese sostenute ed all’impegno lavorativo dei caregiver – spiega Francesca Traclò, Aimac -. Il loro reddito si è ridotto, da quando hanno iniziato ad occuparsi del paziente, in 324 casi su 1.205 intervistati, in media del 29%. Le assenze si collocano al primo posto fra le cause della diminuzione delle entrate, seguite dal rendimento lavorativo. Le spese sostenute sono indicate come terza causa, principalmente quelle di trasporto, alimentazione, assistenza domiciliare retribuita e supporto psicologico”. “Dall’analisi emerge con drammatica evidenza – dichiara Elisabetta Iannelli, Segretario Generale FAVO – come le tipologie di lavoratori dove il disagio economico è rilevante siano costituite dai liberi professionisti, dai lavoratori disoccupati o in cassa integrazione, dai lavoratori ‘fragili’, ovvero coloro che hanno contratti a tempo determinato o forme flessibili di lavoro. E’ necessario ed urgente che vengano rinforzate le misure di sostegno a tutela del caregiver lavoratore (consistenti soprattutto nella concessione di permessi o congedi retribuiti, nell’adattamento dell’orario di lavoro o nella giustificazione di assenze) previste esclusivamente per i lavoratori dipendenti, ma è ancora più urgente e non più rinviabile che si pongano in essere azioni positive a sostegno dei caregiver lavoratori autonomi e liberi professionisti, finora drammaticamente privi di (adeguata) tutela (se non in termini di eventuali minime agevolazioni fiscali o contributi economici una tantum)”. Solo di recente in Italia è avvenuto un primo riconoscimento formale della funzione dei caregiver, quali persone che “prestano volontariamente e informalmente assistenza a un familiare o comunque a un congiunto”, e degli strumenti per il loro sostegno, tramite la previsione di un fondo di 20 milioni di euro all’anno per il triennio 2018-2020, stabilita nella legge di bilancio 2018. “Le vicende attuative di questa norma – afferma Francesco De Lorenzo, Presidente FAVO – hanno mostrato numerose carenze, nonostante siano state affiancate anche da disegni di legge di iniziativa parlamentare volti ad affermare il riconoscimento di tali figure, che nella fase di emergenza pandemica hanno incontrato ulteriori difficoltà e battute di arresto. Il principale aspetto critico della condizione dei prestatori di assistenza rimane la tutela previdenziale”.
La legge di bilancio per il 2021 ha previsto un Fondo con una dotazione di 30 milioni di euro per ciascuno degli anni del triennio 2021-2023, destinato alla copertura finanziaria di interventi legislativi finalizzati al riconoscimento del valore sociale ed economico dell’attività di cura non professionale. Gli interventi legislativi in materia dovrebbero consentire di dare una compiuta e stabile disciplina alla materia, fornendo un quadro di interventi statali di base omogenei su tutto il territorio nazionale. “Ad oggi, tuttavia – sottolinea De Lorenzo -, sommando le risorse non utilizzate nei precedenti esercizi finanziari e riassegnate al Fondo, risultano inutilizzati 70 milioni di euro, da assegnare, secondo i criteri di priorità approvati il 20 ottobre 2020 in Conferenza unificata, ai caregiver di pazienti con gravissima disabilità e ai caregiver di coloro che non hanno avuto accesso alle strutture residenziali a causa delle disposizioni normative emergenziali comprovato da idonea documentazione. Per quanto tale quadro appaia comprensibilmente improntato all’esigenza di allocare subito alle Regioni le risorse accumulate per dare risposte alla situazione emergenziale, il timore, ancora una volta, è che venga meno l’inquadramento delle risorse all’interno di un sistema unitario, e che le Regioni utilizzino le somme ripartendole tra i vari beneficiari, senza attivare seri percorsi di presa in carico e di tutela previdenziale e assicurativa per i caregiver”.
“È necessaria una visione più avanzata del contributo dei caregiver – spiega Carla Collicelli, CNR- in termini di impatto sociale nell’ambito del sistema sanitario e sociosanitario integrati, che non si limiti a premiare la ‘volontarietà’ delle attività svolte dal prestatore di assistenza, a discapito di quanti, costretti dalla carenza di servizi alternativi e dalla mancanza di adeguate risposte, debbono intervenire per assistere una persona bisognosa di assistenza mettendo in gioco la propria vita privata e professionale. In altre parole è decisamente inadeguato il modello che non tiene conto delle disparità di trattamento, legate anche alla tipologia di lavoro che il prestatore di assistenza è costretto ad abbandonare”.
“La tragica esperienza dell’emergenza Covid ha ulteriormente confermato la necessità di incrementare e agevolare le funzioni di assistenza domiciliare, di cui la rete di supporto informale costituita dai caregiver ha da sempre assunto l’onere – conclude Iannelli -. Ricevere cure palliative al domicilio, oltre a rispondere alle preferenze di pazienti e familiari, favorisce una migliore qualità di vita e costituisce una scelta assistenziale più sostenibile dal punto di vista economico. Incentivare questo tipo di setting non può non rappresentare una priorità delle politiche sanitarie della maggior parte dei Paesi occidentali”.