Come funziona la chemioipertermia, una nuova opzione in sperimentazione per i pazienti oncologici del Policlinico di Milano
“La chemioipertermia è una chance terapeutica in più per i nostri pazienti con tumore: qualcosa di sperimentale, per cui abbiamo in corso uno studio scientifico e che sta dando le prime evidenze positive. Se queste evidenze saranno confermate, la tecnica potrà diventare un’alternativa importante per alcune categorie di malati”. Luigi Boni, direttore della Chirurgia Generale al Policlinico di Milano, racconta così l’esito del primo intervento chirurgico mininvasivo combinato con la chemioipertermia in Policlinico: la paziente, una giovane donna già operata in passato per un tumore avanzato del colon, ha tollerato bene il nuovo intervento ed è già stata dimessa.
La chemioipertermia è una tecnica che punta a sfruttare il calore per potenziare l’efficacia della chemioterapia: questo particolare trattamento viene somministrato immediatamente dopo l’intervento chirurgico, proprio per massimizzare l’effetto sul tumore. “La paziente su cui abbiamo applicato questa tecnica – spiega Luigi Boni – aveva già eseguito un anno fa una resezione laparoscopica del colon, ma durante i successivi controlli si era evidenziata una recidiva della malattia localizzata a livello del peritoneo. Per questo motivo, dopo un consulto multidiscliplinare con il team degli oncologi, abbiamo deciso di proporle un intervento mininvasivo associato alla chemioipertermia”.
Nel dettaglio, i chirurghi hanno sfruttato un taglio di soli 3 centimetri sull’addome per asportare due aree di peritoneo dove si trovavano le recidive del tumore, più alcune porzioni di organi e tessuti che sono spesso sede di nuove recidive. “Al termine della parte chirurgica, usando lo stesso taglio, abbiamo introdotto una sonda ocn cui abbiamo eseguito un trattamento chemioterapico direttamente all’interno dell’addome portando il farmaco a 40 gradi. Questa tecnica, associata alla chirurgia, sembra avere effetti molto positivi in pazienti affetti da carcinosi peritoneale per tumori primitivi e, in casi selezionati, anche secondari del peritoneo. Pazienti che altrimenti avrebbero pochissime altre chance terapeutiche”.
La metodica, oggi impiegata solo in alcuni centri a livello nazionale, “è comunque consolidata – prosegue Boni – ma nel nostro caso ha come elemento di novità l’impiego della tecnica mini-invasiva ad accesso singolo, che permette di migliorare il decorso post-operatorio: solo 4 giorni di degenza, contro alcuni mesi necessari usando le tecniche tradizionali. Viste le poche opzioni terapeutiche attualmente disponibili per questi pazienti con malattia avanzata peritoneale, è per noi fondamentale continuare a sperimentare questa procedura per confermarne la validità. Nei prossimi mesi abbiamo in programma di utilizzare la tecnica anche su altri pazienti: è qualcosa che pochi centri possono fare, perché richiede uno sforzo multidisciplinare non comune”.
Il team che ha seguito tutto il percorso utile a realizzare questo importante primo passo ha coinvolto, oltre ai chirurghi guidati da Luigi Boni (Stefano Costa, Elisa Cassinotti, Ludovica Baldari e Massimiliano Della Porta), anche gli oncologi Barbara Galassi e Michele Ghidini, gli anestesisti Salvatore Alongi, Sergio De Chiara e Giuseppe Ristagno, il personale della Farmacia per la preparazione del chemioterapico, il personale di Sala operatoria coordinato da Cinzia Marcias e quello del reparto di Chirurgia Generale coordinato da Monica Tolentini.