L’esperimento cinese Lhaaso ha registrato oltre 530 fotoni a energie superiori a 100 TeV. Uno di questi è il fotone più energetico mai rilevato: 1.4 petaelettronvolt
Fino a oggi il Sichuan – una regione montuosa nel sudovest della Cina – era famoso nel mondo soprattutto per i panda giganti che abitano le sue foreste, per il cibo piccante e per i suoi attori rapidissimi, capaci di cambiare le maschere che portano sul volto “alla velocità della luce”. Ora il Sichuan può vantare un nuovo primato, anch’esso legato a qualcosa che corre alla velocità della luce – letteralmente, questa volta: è sulla cima delle sue montagne che è stato osservato il fotone più energetico mai misurato – ben 1.4 PeV (petaelettronvolt, ovvero un milione di miliardi di elettronvolt), vale a dire cento volte l’energia massima che si può raggiungere con un acceleratore come Lhc. Ed è proprio da acceleratori di particelle naturali – una dozzina, tutti localizzati nella nostra galassia, la Via Lattea – di potenza inimmaginabile qui sulla Terra che sono stati emessi questo e altri circa 530 fotoni ad altissima energia (oltre 100 TeV) registrati lo scorso anno, nell’arco di 11 mesi, dall’osservatorio cinese per raggi cosmici e raggi gamma Lhaaso (Large High Altitude Air Shower Observatory).
I risultati di queste osservazioni, pubblicati questa settimana su Nature, costringono a ripensare i processi attraverso i quali le particelle ad alta energia vengono generate e propagate nella Via Lattea, e segnano l’inizio di una nuova era per l’astronomia gamma ad altissima energia. Secondo la teoria corrente, i raggi cosmici con energie nell’intervallo del PeV possono produrre raggi gamma di 0.1 PeV interagendo con i gas attorno alla regione in cui vengono accelerati. Rilevare fotoni gamma con energie superiori a 0.1 PeV permette dunque di individuare e confermare l’esistenza dei cosiddetti pevatron – acceleratori di particelle naturali in grado di produrre raggi cosmici con energie nell’ordine dei PeV. Ma per riuscirci è necessario disporre di rivelatori in grado di intercettare fotoni così energetici. Rivelatori come Lhaaso, appunto, grazie al quale – benché sia ancora in costruzione (verrà completato quest’anno) – è stato ora possibile individuare questi 12 pevatron nella Via Lattea, capaci di emettere raggi cosmici ultraenergetici (detti Uhe, dall’inglese ultra-high-energy).
«Lhaaso è attualmente l’esperimento più sensibile al mondo per osservare i raggi gamma di alta energia, cioè di energia superiore a 100 TeV, ed è l’unico in grado di monitorare il cielo in questo intervallo di energia finora inesplorato», spiega a Media Inaf Silvia Vernetto, astrofisica dell’Inaf di Torino nonché autrice, nel 2016, di un articolo sull’astronomia gamma con Lhaaso. «Lhaaso non misura direttamente i raggi gamma, ma le cascate di particelle che arrivano al suolo generate dai raggi gamma che interagiscono con i nuclei dell’atmosfera. È formato da migliaia di rivelatori distribuiti su un’area di circa un chilometro quadrato, in una remota zona montana del Sichuan, in Cina, a 4410 metri di quota».
Migliaia di rivelatori e diciotto telescopi che sfruttano il cosiddetto effetto Cherenkov: l’emissione di lampi di luce blu al passaggio di particelle ultraenergetiche a velocità superiore a quella massima che avrebbe la luce nel mezzo attraversato – acqua nel caso dei rivelatori, l’atmosfera terrestre nel caso dei telescopi. Un po’ come se queste particelle cambiassero maschera indossando quella di “normali” fotoni visibili – proprio come i performer di Sichuan.
«La difficoltà di questo tipo di esperimenti dedicati all’astronomia gamma da terra», continua Vernetto, «è che devono riuscire a eliminare un rumore di fondo migliaia di volte superiore al segnale delle sorgenti gamma celesti. Il rumore è causato dagli sciami generati dai raggi cosmici primari, che sono per la maggior parte protoni. Lhaaso riesce nell’ardua impresa misurando sia gli elettroni secondari, che formano il grosso di tutti gli sciami, sia i muoni secondari, che praticamente si trovano quasi solo negli sciami generati dai raggi cosmici, che quindi possono venire riconosciuti e scartati. Detta così sembra semplice, ma in realtà non lo è affatto».
Un esperimento tutt’altro che semplice, ma i risultati ora raggiunti sono la conferma che ne valeva la pena. I fotoni rilevati da Lhaaso hanno infatti mostrato al di là di ogni possibile dubbio che esistono acceleratori naturali in grado di superare il limite dei 100 TeV. Il passaggio successivo sarà capire di quali sorgenti si tratta.
«Le sorgenti in grado di accelerare particelle in modo così efficiente», osserva a questo proposito Andrea Giuliani dell’Inaf Iasf di Milano, responsabile scientifico del progetto Astri, al quale abbiamo chiesto un commento sul risultato del team di Lhaaso, «sono soprattutto i resti di supernova e le pulsar wind nebule. La loro scoperta è una strada aperta per scoprire l’origine dei raggi cosmici più energetici (a energie cento volte maggiori dei più potenti acceleratori sulla Terra), quando si potrà ridurre l’area dell’errore posizionale con i prossimi strumenti in costruzione come Astri e Cta – e così identificare le sorgenti PeV, osservate da Lhaaso in quantità insospettata».
Per saperne di più:
- Leggi su Nature l’articolo “Ultrahigh-energy photons up to 1.4 petaelectronvolts from 12 γ-ray Galactic sources”, di Zhen Cao et al.