Leucemia linfatica cronica: a due anni il 95 per cento dei pazienti trattati con ibrutinib e venetoclax erano in vita e liberi da progressione
Annunciati nuovi dati raccolti dalla coorte con durata fissa della sperimentazione di fase 2 CAPTIVATE (PCYC-1142), indicanti che a due anni il 95 per cento dei pazienti trattati per un periodo prefissato con l’associazione di ibrutinib e venetoclax erano in vita e liberi da progressione. È stata osservata remissione profonda in tutti i sottogruppi, compresi pazienti con leucemia linfatica cronica (LLC) ad alto rischio.
Presentati inoltre i dati a lungo termine dello studio RESONATE-2 (PCYC-1115/1116), che rappresentano ad oggi il più lungo follow-up di fase 3 di un inibitore della BTK (tirosina chinasi di Bruton). Tali dati sottolineano i benefici in termini di sopravvivenza a lungo termine e il profilo di sicurezza ormai consolidato di ibrutinib quale monoterapia per pazienti con leucemia linfatica cronica, una tipologia di linfoma non-Hodgkin, la forma di leucemia più comune negli adulti.
“Ibrutinib è stato il primo inibitore di BTK autorizzato in Europa ed è stato impiegato per il trattamento di oltre 230.000 pazienti nel mondo. Oggi è anche il primo inibitore di BTK in studio quale opzione terapeutica in associazione a durata fissa”, ha commentato Edmond Chan, EMEA Therapeutic Area Lead Haematology presso Janssen-Cilag Ltd. “Gli ultimi dati, che saranno presentati all’ASCO, confermano il potenziale di ibrutinib quale opzione terapeutica di base per l’intero panorama della leucemia linfatica cronica, andando ad ampliare il ventaglio di evidenze che ne dimostrano l’efficacia e sicurezza”.
Primi dati della coorte a durata fissa dello studio di fase 2 CAPTIVATE (Abstract #7501)
Lo studio CAPTIVATE ha valutato pazienti non previamente trattati con leucemia linfatica cronica di età non superiore ai 70 anni, compresi soggetti con patologia ad alto rischio. Nella coorte a durata fissa (N=159; età mediana 60 anni), ai pazienti sono stati somministrati tre cicli di ibrutinib quale terapia iniziale, seguiti da 12 cicli di terapia con ibrutinib in associazione a venetoclax; il trattamento è stato quindi interrotto a prescindere dallo status MRD (malattia residua minima). Oltre il 90 per cento dei pazienti ha completato la terapia prevista con ibrutinib e venetoclax.
Al follow-up mediano di 27,9 mesi il tasso di risposta completa (CR) nella popolazione complessiva era del 56 per cento (n=88; intervallo di confidenza [CI] 95 per cento: 48–64) e congruo tra i diversi sottogruppi a rischio elevato.1 La risposta completa è stata mantenuta per almeno un anno dall’89 per cento dei pazienti con CR.1 Nell’11 per cento restante, un paziente aveva malattia progressiva; non è stato possibile valutare gli altri soggetti con follow-up della risposta di meno di un anno.
Il tasso di risposta globale (ORR) era del 96 per cento.1 Il tasso stimato di sopravvivenza libera da progressione (PFS) a 24 mesi con ibrutinib e venetoclax era del 93 per cento per i pazienti senza mutazione di IGHV e del 97 per cento per i pazienti con mutazione di IGHV (senza mutazione di IGHV CI 95 per cento: 85‒97; con mutazione di IGHV CI 95 per cento: 88‒99) e la sopravvivenza globale (OS) era del 98 per cento (CI 95 per cento: 94-99) per tutti i pazienti trattati. La percentuale di pazienti che hanno raggiunto una malattia minima residua non rilevabile (uMRD) in qualsiasi momento nel sangue periferico e nel midollo osseo è stata del 77 e del 60 per cento rispettivamente.
“L’uso della terapia continua con ibrutinib nella LLC è già consolidato quale standard di cura per i pazienti, anche per chi è affetto da malattia a rischio elevato”, ha dichiarato il dott. Paolo Ghia, medico, professore di oncologia medica presso l’Università Vita-Salute San Raffaele e ricercatore principale dello studio. “Gli ultimi dati dello studio CAPTIVATE sottolineano come ibrutinib somministrato per via orale per una durata fissa in associazione a venetoclax consente inoltre di ottenere un tasso elevato di sopravvivenza libera da progressione a due anni, rendendo possibile nel contempo la remissione senza trattamento per i pazienti”.
Va sottolineato che il 94 per cento dei pazienti con rischio elevato al basale di sindrome da lisi tumorale (TLS) in base al carico tumorale è passato a un livello di rischio medio o basso dopo la terapia iniziale con ibrutinib, senza alcun evento TLS.1 Gli eventi avversi sono stati primariamente di grado 1/2.1 Gli eventi avversi di grado 3/4 più comuni sono stati la neutropenia (33 per cento), le infezioni (otto per cento), l’ipertensione (sei per cento) e il calo della conta dei neutrofili (cinque per cento).Le interruzioni di trattamento dovute a eventi avversi sono state infrequenti (tre per cento per ibrutinib).
I risultati della coorte uMRD-guidata della sperimentazione CAPTIVATE sono stati presentati al convengo annuale 2020 dell’American Society of Hematology (ASH). Anche lo studio di fase 3 GLOW (NCT03462719) sta valutando la somministrazione a durata fissa di ibrutinib con venetoclax, con raffronto con clorambucile in associazione a obinutuzumab, per il trattamento di prima linea di pazienti giovani non in forma fisica o anziani con LLC, a prescindere dai criteri di forma fisica. Questi studi si inseriscono nell’ambito di un programma di sviluppo globale volto a studiare il potenziale della terapia con ibrutinib a durata fissa.
I dati a lungo termine dello studio di fase 3 RESONATE-2 (Abstract #7523)
Lo studio RESONATE-2 ha valutato 269 pazienti con LLC non previamente trattati di età pari o superiore ai 65 anni, senza del(17p), i quali sono stati assegnati in maniera randomizzata a terapia continua con ibrutinib o clorambucile per un massimo di 12 cicli.Con follow-up fino a sette anni i benefici in termini di sopravvivenza libera da progressione (PFS) con ibrutinib in monoterapia sono stati duraturi (rapporto di rischio [HR] PFS 0,160 [CI 95 per cento: 0,111–0,230]).A 6,5 anni non è stata raggiunta la PFS mediana con ibrutinib; il 61 per cento dei pazienti trattati con ibrutinib in monoterapia era in vita e libero da progressione, rispetto al nove per cento dei pazienti trattati con clorambucile.2 Il beneficio in termini di PFS per i pazienti trattati con ibrutinib è stato osservato in tutti i sottogruppi, compresi i pazienti con caratteristiche genomiche ad alto rischio di mutazione di TP53, non mutazione di IGHV o delezione 11q (HR 0,091 [CI 95 per cento: 0,054–0,152]).2 Inoltre il 78 per cento dei pazienti nel braccio trattato con ibrutinib erano in vita a 6,5 anni.
Il tasso di CR con la terapia a base di ibrutinib nel tempo è salito andando a raggiungere il 34 per cento.2 Quasi la metà dei pazienti continua a ricevere la terapia con ibrutinib, con follow-up fino a sette anni.
Ibrutinib in monoterapia è stato ben tollerato quale trattamento a lungo termine senza nuovi segnali di sicurezza.2 Il tasso continuativo di eventi avversi di grado 3 o superiore si manteneva basso per l’ipertensione (intervallo di cinque-sei anni: n=20; intervallo di sei-sette anni: n=15) e la fibrillazione atriale (intervallo di cinque-sei anni: n=7; intervallo di sei-sette anni: n=5).2 Non si è prodotta inoltre alcuna importante emorragia di grado 3 o superiore nell’intervallo dai cinque ai sette anni.
Sono stati osservati eventi avversi, a prescindere dal livello di gravità, che hanno portato all’interruzione della terapia nel tre per cento (n=2) dei pazienti nel periodo dal quinto al sesto anno, mentre nessun paziente ha interrotto il trattamento nel braccio ibrutinib a causa di eventi avversi tra il sesto e settimo anno.