Cure ormonali per tumore al seno riducono rischio Alzheimer


Rischio di Alzheimer diminuito nelle donne esposte a terapie ormonali per cancro al seno secondo i risultati di uno studio retrospettivo di coorte

Rischio di Alzheimer diminuito nelle donne esposte a terapie ormonali per cancro al seno secondo i risultati di uno studio retrospettivo di coorte

Uno studio retrospettivo di coorte, i cui risultati sono stati presentati al meeting annuale dell’American Academy of Neurology (AAN 2021),  ha mostrato che l’uso di modulatori selettivi dei recettori estrogenici (SERM) come il tamoxifene e di inibitori dell’aromatasi nelle donne con cancro al seno è associato a un rischio significativamente inferiore di malattia di Alzheimer (AD).

Ricerca nell’alveo della relazione tra gli estrogeni e il cervello
«Il nostro  laboratorio  ha  contribuito a sviluppare  un legame tra la diminuzione dello stato estrogenico osservata nelle donne durante la menopausa con l’aumento del rischio di AD nelle donne in generale in questa fascia di età» ha premesso  Gregory L. Branigan, del Brinton  Lab presso il Center for Innovation in Brain Science dell’University di Arizona Health Sciences.

«Lungo questa  linea di pensiero, eravamo interessati a terapia mirate agli estrogeni, come quelle utilizzate nel trattamento del cancro mammario, e quale impatto queste potessero avere sul futuro rischio di AD in questa  popolazione clinica» ha detto.

Va sottolineato che l’associazione tra l’esposizione alla terapia ormonale come quella usata nel trattamento del cancro al seno e le malattia neurodegenerative non è chiara. Un primo obiettivo di questo studio era dunque quello di determinare se l’esposizione a tale terapia fosse associata al rischio di sviluppo di malattie neurodegenerative in questa popolazione. Ma il discorso era più ampio.

Come ha sottolineato Branigan, il primo obiettivo del “National Plan to Address Alzheimer Disease” è quello di prevenire l’AD entro il 2025. «Il breve orizzonte temporale per raggiungere questo obiettivo è impegnativo ma non insormontabile» ha osservato. «Una strategia potenzialmente efficace è identificare le popolazioni di individui a rischio di AD che hanno ricevuto interventi terapeutici che modificano il rischio di una diagnosi di AD» ha spiegato.

«Sebbene complessi, numerosi studi epidemiologici indicano che la terapia ormonale diretta agli estrogeni è associata a un ridotto rischio di AD. La perdita di estrogeni nel cervello può essere un fattore associato al rischio 2 volte maggiore di sviluppare AD» ha affermato. «Il gruppo di pazienti nel nostro studio è uno di questo tipo, costituito da donne che ricevono terapia antiestrogeniche a mezza età e in età più avanzata».

Malattie neurodegenerative ridotte con l’esposizione a SERM e inibitori dell’aromatasi
Branigan e colleghi  hanno  analizzato  i sinistri di assicurazione sanitaria del database di  Humana che sono stati depositati dal 2007 al 2017. Il set di dati di Humana contiene richieste di indennizzi da contribuenti privati e set di dati assicurativi Medicare provenienti da tutti gli Stati Uniti con una popolazione residente principalmente nel sud-est.

I ricercatori hanno  effettuato una ricerca per diagnosi di malattia neurodegenerativa in qualsiasi momento a partire da 1 anno dopo la diagnosi di cancro al seno in una donna e la ricezione di terapie modulatrici dei recettori degli estrogeni  (per esempio,  tamoxifene e raloxifene) e inibitori dell’aromatasi (soprattutto exemestane).

Delle 326.485 donne con cancro al seno nel set di dati Humana tra il 2007 e il 2017, 57.843 hanno soddisfatto i criteri dello studio. Di queste, 18.126 (31,3%; età media: 76,2 anni) hanno ricevuto terapia ormonale, mentre 39.717 (68,7%; età media: 76,8 anni) non l’hanno ricevuta.

Il follow-up medio è stato di 5,5 anni. Nella popolazione abbinata per punteggio di propensione, l’esposizione alla terapia ormonale è stata associata a una diminuzione del numero di donne che hanno ricevuto una diagnosi di

  • malattie neurodegenerative (2.229 su 17.878 [12,5%] vs 2.559 su 17.878 [14,3%]; rischio relativo, 0,89, IC al 95%, 0,84-0,93; P < 0,001);
  • AD (877 su 17.878 [4,9%] vs 1.068 su 17.878 [6,0%]; rischio relativo, 0,82; IC 95%, 0,75-0,90; P < 0,001);
  • demenza (1.862 su 17.878 [10,4%] vs 2.116 su 17.878 [11,8%]; rischio relativo, 0,88; IC al 95%, 0,83-0,93; P < ,001).

Il numero necessario per il trattamento (NNT) era 62,51 per tutte le malattie neurodegenerative, 93,61 per l’AD e 69,56 per la demenza. Branigan ha sottolineato che l’esposizione a tamoxifene e agli inibitori dell’aromatasi è stata associata a una significativa diminuzione della diagnosi di AD. Il suo team ha anche scoperto che la riduzione del rischio di malattie neurodegenerative aumentava con l’età. Branigan ha definito i risultati «molto sorprendenti e interessanti».

Spunto di partenza per progredire verso una prevenzione di precisione
«Prima  di  questo  studio,  non  si sapeva molto  bene  come queste terapie avessero un impatto specifico sul  cervello e sui meccanismi con  cui  potessero influire sul rischio di sviluppare AD»  ha  detto. «Le nostre scoperte suggeriscono che questi  agenti possano funzionare attraverso un meccanismo proestrogenico, in contrapposizione alla loro azione antiestrogenica vista nel tessuto mammario».

Secondo  Branigan i risultati forniscono anche «il quadro e la prova di  concetto» che le discussioni sul trattamento  possano includere l’impatto neurologico degli agenti terapeutici per le malattie sistemiche».

«C’è un numero crescente di pazienti che sono a rischio di malattia neurodegenerativa  e  a  cui  verranno  prescritti farmaci» ha  osservato. «Abbiamo l’opportunità di avanzare nella prevenzione di precisione  comprendendo le differenze nel modo in cui una determinata classe di farmaci può influenzare il cervello».

«Questo studio ha rilevato che tra le pazienti con cancro al seno, il tamoxifene e gli inibitori dell’aromatasi erano associati a una diminuzione numerica di coloro che ricevevano una diagnosi di malattia neurodegenerativa, in particolare di AD e demenza» ha ribadito Branigan.

«Mano a mano che avanziamo nelle nostre capacità di prevenire, trattare e curare il cancro il dibattito sulle strategie ottimali da adottare dovrà includere la comprensione dei risultati a lungo termine della selezione della terapia per le malattie neurodegenerative legate all’età» prosegue.

«Il fatto che il tumore al seno sia la seconda neoplasia più comune nelle donne (dopo il cancro della pelle) e che le donne siano colpite in modo più evidente dall’AD e dalla demenza correlata offre l’opportunità di ridurre il carico di malattia globale delle patologie neurodegenerative».

Branigan GL, et al. Breast cancer therapies reduce risk of Alzheimer’s disease and dementia: Clinic to bench translation. AAN 2021