Vaccini Covid proteggono anche i malati oncologici


I dati dei più recenti studi scientifici dimostrano che, pur se in misura minore, i vaccini contro il Covid-19 proteggono anche i malati oncologici

I dati dei più recenti studi scientifici dimostrano che, pur se in misura minore, i vaccini contro il Covid-19 proteggono anche i malati oncologici

La vaccinazione contro l’infezione da coronavirus SARS-CoV-2 è efficace anche nei malati oncologici, inclusi quelli attualmente in trattamento.

Lo dicono i risultati degli studi, sempre più numerosi, che hanno analizzato le risposte alla vaccinazione in pazienti con diversi tipi di tumore. La conclusione è finora unanime: la risposta alla vaccinazione si vede anche in chi ha il cancro ed è fondamentale per proteggere i pazienti, pur essendo un poco inferiore a quella osservata in chi non sta lottando contro un tumore.

“Un livello anche basso di protezione contro l’infezione da SARS-CoV-2 è comunque meglio di niente” spiega Martin Edelman, a capo del Dipartimento di onco-ematologia al Fox Chase Cancer Center di Philadelphia negli Stati Uniti. “Prima si vaccinano i pazienti con tumore e meglio è” aggiunge, ricordando che il rischio di sviluppare Covid-19 in forma grave è più elevato in chi ha un tumore e quindi vaccinarsi è più che mai importante. Dunque i benefici della vaccinazione superano i rischi anche in presenza di un tumore.

Proprio sulla scia dei più recenti risultati, gli esperti della Federazione degli oncologi, cardiologi e ematologi (FOCE) chiedono di rispettare per i malati oncologici l’intervallo di tre (o quattro) settimane tra la prima e la seconda dose dei vaccini a mRNA, un tema attualmente al centro del dibattito in Italia e che potrebbe essere affrontato in maniera diversa da Regione a Regione.

Una dose non basta

La vaccinazione è efficace nei malati oncologici, ma gli studi dimostrano che è fondamentale non fermarsi alla prima dose.

Una ricerca i cui risultati sono stati pubblicati su Lancet Oncology dai ricercatori del King’s College di Londra ha confrontato la risposta al vaccino Pfizer-BioNTech in tre categorie di persone: quelle con tumori solidi, quelle con tumori ematologici e quelle senza tumore. I pazienti con tumore rispondono meno bene, anche a seconda del tipo di cancro da cui sono affetti, ma comunque la seconda dose è fondamentale per ottenere i migliori risultati possibili in tutte le categorie.

In dettaglio, dopo la prima dose le risposte sono state del 94 per cento nelle persone sane, del 38 per cento in quelle con tumori solidi e del 18 per cento in quelle con tumori ematologici.

Un successivo confronto tra chi aveva e chi non aveva ricevuto la seconda dose ha chiarito l’importanza del richiamo: dopo la seconda dose le percentuali di risposta sono state del 100 per cento nelle persone sane, del 95 per cento nei pazienti con tumori solidi e del 60 per cento in quelli con tumori ematologici. Percentuali che si sono fermate a 86, 30 e 11 per cento in chi non ha ricevuto il richiamo.

Dati simili sull’importanza della seconda dose sono emersi anche da uno studio i cui risultati sono stati pubblicati su Lancet Hematology e che ha coinvolto pazienti con mieloma multiplo: la risposta è stata del 56 per cento dopo la prima dose e del 70 per cento dopo la seconda. È inoltre importante sottolineare che non ci sono state differenze di risposta tra i pazienti che hanno ricevuto il vaccino Pfizer e quelli che hanno ricevuto il vaccino AstraZeneca.

Il richiamo è anche essenziale per la protezione contro le possibili varianti virali.

La sicurezza è una priorità

Se l’efficacia dei vaccini è importante, non meno importante è la loro sicurezza. I dati oggi disponibili rassicurano in questo senso, e suggeriscono che in linea generale i malati di cancro non corrono rischi particolari legati alla vaccinazione anti-Covid-19 con i vaccini attualmente approvati per l’uso in Europa, che non contengono virus attenuati o inattivati.

Particolare attenzione è stata posta ai pazienti trattati con immunoterapia con inibitori dei checkpoint, farmaci che “tolgono i freni” al sistema immunitario: c’era il timore che queste persone potessero avere una risposta immunitaria eccessiva dopo la vaccinazione, con l’aumento in particolare degli effetti collaterali legati al sistema immunitario. Studi su altri vaccini hanno però dimostrato che questi effetti non sono più frequenti in chi è trattato con immunoterapia rispetto a quanto avviene in chi non è sottoposto a questo trattamento.

Rassicuranti anche i dati emersi dai già citati studi sulla vaccinazione anti-Covid-19, secondo cui le due dosi di vaccino sono in genere ben tollerate dai pazienti oncologici.

Anche la terapia influenza la risposta

Perché alcuni pazienti oncologici potrebbero non rispondere alla vaccinazione anti-Covid-19? Semplificando, possiamo dire che le ragioni sono legate principalmente a due fattori: il tumore stesso e le terapie che vengono messe in campo per contrastarlo. Entrambi possono infatti alterare l’azione del sistema immunitario e la sua capacità di contrastare un virus o di sviluppare una reazione efficace dopo lo stimolo della vaccinazione.

Per chiarire l’argomento, uno studio i cui risultati sono stati pubblicati a marzo 2021 sul Journal of Hematology & Oncology ha analizzato le diverse terapie antitumorali con un occhio all’eventuale impatto sulla risposta alla vaccinazione. Come spiegano i ricercatori, la chemioterapia è in grado di interferire con la replicazione e la sintesi del DNA, e le cellule immunitarie (come i linfociti) che hanno una proliferazione molto rapida sono colpite da questi trattamenti. La soppressione però non è completa e di conseguenza i pazienti sottoposti a chemioterapia dovrebbero rispondere in modo efficace alla vaccinazione anti-Covid-19, escludendo i periodi di trattamento intensivo.

Anche i pazienti sottoposti a terapie mirate a bersaglio molecolare, che in genere non influiscono sulla risposta immunitaria, o a radioterapia e immunoterapia, dovrebbero rispondere bene alla vaccinazione.

Il discorso è un po’ diverso per i trattamenti che hanno come obiettivo l’inibizione delle difese immunitarie, utilizzati per esempio in alcuni tumori del sangue e nei mielomi: in questo caso la risposta alla vaccinazione potrebbe in effetti essere più ridotta, anche se mancano dati conclusivi.