International Business Etiquette: il galateo del mondo degli affari secondo Sibyl von der Schulenburg, imprenditrice nel settore delle telecomunicazioni e scrittrice
Lo facciamo tutti i giorni e qualcuno di noi lo fa più di altri: conversazione leggera, lo scambio di parole non impegnativo. In alcune culture, come ad esempio in USA dove si scambiano battute con qualsiasi persona si incontri più di una volta o anche con estranei, è più diffuso, mentre in altre ci si chiude a riccio e si cerca di evitare lo sguardo di chi si incontra ma poi… arriva sempre il momento in cui si deve dire qualcosa e allora, di cosa si parla?
“Il galateo del mondo degli affari – dichiara Sibyl von der Schulenburg, imprenditrice nel settore delle telecomunicazioni e scrittrice – prevede che gli incontri di lavoro siano aperti da una conversazione leggera che permetta di rompere il ghiaccio e aiuti i partecipanti a rilassarsi. Dopo le strette di mano e gli scambi dei biglietti da visita, si passa dunque al rituale dello small-talk, la piccola conversazione che precede il business-talk, la conversazione d’affari. La prima domanda è relativa a chi abbia il diritto/dovere di iniziare la chiacchierata e la risposta è semplice: il padrone di casa. Nulla vieta, però, che la conversazione prenda il via da una domanda casuale, ad esempio l’interesse espresso dall’ospite per un quadro. Chi ha partecipato a molte di queste chiacchierate introduttive del business, sa bene che sono momenti preziosi che non vanno sprecati perché è la fase in cui, in genere, si crea un ponte tra due parti e ci sono regole di cortesia su forma e contenuto che devono essere osservate”.
International Business Etiquette: nei prossimi mesi un libro di Sibyl von der Schulenburg per non commettere errori durante gli incontri di lavoro. Si deve tenere la voce bassa e controllata, si devono rispettare i turni e i ritmi del colloquio e si deve avere sempre un’espressione aperta, interessata e amichevole. Il rispetto per gli altri è alla base dell’international business etiquette, ma si devono conoscere usi e costumi a cui si rifanno i vari partecipanti, per cui è bene avere una competenza interculturale.
La risata, ad esempio, ha diverse funzioni nella comunicazione: può esprimere gioia, identificazione col gruppo ma può anche servire per nascondere ansia o paura. È tipico per i giapponesi ridere per evadere una risposta scomoda o nascondersi quando sentono di perdere la faccia. Alcune culture poi non trovano elegante che le donne mostrino i denti ridendo e perciò è d’uso che li nascondano dietro la mano aperta, ma ognuno poi si regola come crede.
Per quanto riguarda i contenuti, invece, è opportuno restare su argomenti a cui tutti possono contribuire con un commento. “Personalmente – aggiunge Sibyl von der Schulenburg – ho dovuto imparare a parlare di calcio e automobilismo per soddisfare la convinzione degli stranieri che quelli siano i temi preferiti dagli italiani. Ci sono, poi, argomenti tabu quali la religione e la politica. Anche domande sulla famiglia possono essere sentite come troppo intime in certe culture e talvolta perfino risultare offensive, come, ad esempio, chiedere a un arabo se la moglie sta bene. Vanno benissimo argomenti sul tempo, viaggi e cibo; per gli ospiti che vengono dall’estero sono di rito le domande se sia la prima volta che visitano il paese o la città, se il viaggio sia andato bene e se abbiano già assaggiato la cucina locale. Prepararsi alcune parole nella lingua locale può contribuire molto a rendere felici i padroni di casa e si vedranno reazioni di soddisfazione anche sui volti altrimenti impenetrabili di giapponesi e coreani”.
Le domande aperte sono più funzionali di quelle chiuse, il linguaggio corporeo va controllato perché potrebbe essere frainteso e la disponibilità a voler partecipare dev’essere palese. Pur chiacchierando però, si ha l’occasione di valutare reazioni ed espressioni degli altri, scoprire gerarchie nascoste e soppesare i rapporti di forza tra i membri dell’altra parte.
Quando si è accompagnati da un collega esuberante, si dovrebbe lasciare a lui/lei l’incombenza dello small-talk, intervenire il meno possibile e concentrarsi sulla creazione di un rapido contatto con ogni singolo partecipante, chiamandolo per nome almeno una volta, ma sempre rispettando le regole sull’allocuzione di cortesia. Sarà poi chi ha chiesto l’incontro che farà una transizione morbida verso il business-talk con qualche frase di circostanza che non chiuda il ponte appena creato, un elemento prezioso che potrà favorire l’empatia, anche quella interculturale.