Epilessia: nuovi outcome per valutare brivaracetam


Epilessia: sviluppati nuovi outcome più informativi per valutare l’efficacia di brivaracetam in termini di durata di riduzione della frequenza delle crisi

La ricerca sull'epilessia punta sulle scienziate

Sono stati identificati nuovi outcome nell’ambito dell’epilettologia clinica per superare, nella pratica clinica, alcuni limiti di quelli normalmente utilizzati. Ne ha parlato, in un simposio nel corso del 44° Congresso Nazionale LICE (Lega Italiana contro l’epilessia), Simona Lattanzi, neurologa del Dipartimento di medicina sperimentale e clinica, Università Politecnica delle Marche, soffermandosi in particolare sullo studio italiano real world BRIVAFIRST.

1 – I limiti degli attuali endpoint utilizzati in epilettologia
«È noto che la riduzione percentuale della frequenza delle crisi e i tasse di responder rate – quindi la percentuale di pazienti che ha una riduzione del 50% o più della propria frequenza critica al baseline durante un determinato periodo di tempo rappresentano di fatto gli outcome primari degli studi registrativi e anche gli outcome che generalmente vengono scelti nella valutazione dell’efficacia di un trattamento negli studi osservazionali» premette Lattanzi.

«In realtà questi endpoint presentano alcuni limiti, tra i quali esempio l’impossibilità di fornire adeguate informazioni circa la persistenza della durata della riduzione della frequenza delle crisi nel tempo così come molto spesso non è chiaro come vengano calcolati quei pazienti che interrompono il trattamento durante lo studio» sottolinea la specialista.

«Inoltre» sottolinea Lattanzi «parlando di riduzione di frequenza delle crisi, non va dimenticato il fatto che il vero endpoint – da un punto di vista dei clinici ma ovviamente del paziente e dei caregiver  –  è la totale libertà dalle crisi epilettiche, un outcome di fatto molto forte che purtroppo spesso sia negli studi randomizzati controllati (RCT) sia in quelli osservazionali non viene indicato». In particolare, precisa, la qualità di vita dei pazienti affetti da epilessia farmacoresistente non è influenzata in maniera significativa da una riduzione della frequenza delle crisi, se non nel caso in cui appunto tale frequenza raggiunga la totale assenza delle crisi stesse, considerata un “major endpoint”.

«Riguardo al responder rate» continua il neurologo «per quanto questo sia un outcome approvato dalle entità regolatorie per portare all’approvazione di un farmaco, si sa come negli stessi studi registrativi questo parametro non sia in grado di fornire indicazioni sulla persistenza della riduzione della frequenza delle crisi e quindi come l’efficacia possa essere mantenuta nel corso del tempo».

2 – Lo sviluppo di nuove misure di efficacia del trattamento
Date queste premesse, riprende Lattanzi, ci si è resi conto dell’importanza di sviluppare e validare nuove misure in grado di valutare l’efficacia del trattamento e che nello stesso tempo possano fornire informazioni aggiuntive molto importanti per la scelta del trattamento nella pratica clinica, tra le quali c’è sicuramente la persistenza della durata dell’efficacia del trattamento nel corso del tempo.

2a – Il “Sustained Seizure Frequency Reduction”
«In questo contesto è stata sviluppata di recente una nuova misura di outcome – approfondita in una serie di RCT – che è il ‘Sustained Seizure Frequency Reduction’ ovvero la riduzione della frequenza delle crisi sostenuta nel corso del tempo» spiega la specialista. «Questo outcome è stato inizialmente valutato in una serie di studi registrativi che hanno valutato il brivaracetam come terapia aggiuntiva nell’epilessia d’esordio focale».

«Attraverso un’analisi post hoc dei dati congiunti di più RCT condotti on brivaracetam sono stati esplorati due outcome specifici, cioè la riduzione sostenuta della frequenza delle crisi =/> 50% o la libertà sostenuta da crisi nel tempo, quindi una riduzione del 100%».

2b – Il “Sustained Seizure Freedom”
Questa la definizione precisa dei due outcome: una riduzione delle crisi rispetto al baseline che fosse =/> 50% nel caso del Sustained Seizure Frequency Reduction o del 100% nel caso del “Sustained Seizure Freedom”; queste riduzioni dovevano essere mantenute dal paziente nel corso di tutta la durata del trial clinico dal momento in cui la raggiungevano e ovviamente i trattamenti non dovevano essere interrotti per qualunque ragione, né di efficacia né di scarsa tollerabilità.

«Queste misure di outcome forniscono una misura più valida nel senso che danno un’idea di quanto effettivamente sia la reale percentuale di pazienti che, una volta raggiunta l’efficacia clinica, la mantengano nel corso del tempo» specifica Lattanzi. «Essendo poi variabili di modelli basati sul tempo – generalmente interpretati con le stime di Kaplan-Meier – forniscono anche un’altra variabile molto significativa ovvero indicano quanto tempo è necessario affinché il paziente, dal momento in cui inizia il trattamento, riesce a raggiungere l’endpoint di riduzione sostenuta e protratta delle crisi nel corso del tempo».

2c – Validazione tramite analisi post hoc di RCT condotti con brivaracetam
Le analisi post hoc condotte su RCT con brivaracetam, prosegue Lattanzi, hanno portato a una serie di valutazioni: innanzitutto il tasso di Sustained Response Status attraverso l’analisi Kaplan-Meier ha evidenziato come, rispetto al giorno 1 (inizio del trattamento) il 15, il 18 e il 19% rispettivamente della popolazione assegnata trattamento con brivaracetam al dosaggio di 50, 100 e 200 mg ha raggiunto lo stato di sustained seizure responder, ovvero una riduzione =/> 50% delle proprie crisi rispetto al baseline e ha mantenuto questo tasso di efficacia per tutta la durata dello studio (che nel caso specifico era di 84 giorni) in confronto a circa un 7% nel braccio del placebo.

«Valutando l’analisi della curva Kaplan-Meier durante l’osservazione clinica» specifica «si nota che al 12° giorno dall’inizio del trattamento le percentuali di pazienti che sono risultate sustained seizure reponder si sono attestate al 22 e al 25% per brivaracetam al dosaggio di 100 e 200 mg rispetto al 9% del placebo».

Inoltre, precisa Lattanzi, lungo la curva Kaplan-Meyer si può stimare per ogni time specifico qual è la percentuale di pazienti che in quel giorno ha raggiunto il suo stato di sustained seizure risponder e lo ha poi conservato per tutto lo studio clinico fino ad arrivare all’84° giorno.  Rispetto agli standard responder rates come si è abituati a interpretarli emerge come i tassi di sustained seizure rates sono più conservativi, ossia penalizzano in qualche modo la percentuale assoluta ma ovviamente danno un’informazione molto più importante perché eliminano dalla percentuale quei pazienti che non sostengono poi nel corso della durata dello studio l’entità di efficacia stimata oppure interrompono il trattamento.

In maniera simile, afferma, sempre in un’analisi post hoc degli RCT è stato valutato anche il Sustained Seizure Freedom. «In questo caso è molto interessante notare come a partire dal giorno 1 di inizio del trattamento con brivaracetam circa il 5% della popolazione in studio è risultata libera da crisi e poi per tutto il perdurare degli 84 giorni dello studio clinico rispetto a un tasso del 0,5% nel braccio del placebo».

3 – Dagli RCT al “real world”
«Ovviamente anche queste utili informazioni presentano alcuni limiti: alcuni determinati dal fatto stesso di trattarsi di post hoc analysis,  oltre alle differenze tra i vari trial clinici che non possono essere del tutto escluse» puntualizza Lattanzi. «Ma limite maggiore è la durata piuttosto limitata della dell’osservazione clinica – essendo ovviamente analisi derivate dagli studi registrativi – sicuramente poco informativa considerando la pratica clinica di gestione a livello ambulatoriale di pazienti affetti da epilessia che spesso necessitano di terapie molto protratte, per tutta la vita».

Lo step successivo è stato quindi quello di esplorare la possibilità di valutare questi outcome molto informativi sul tasso di permanenza di questa riduzione della frequenza delle crisi in un setting di real world. «Quest’ultimo» osserva la neurologa «sicuramente ha tanti svantaggi ma rispetto agli studi randomizzati ha certamente anche molti altri vantaggi, tra cui sicuramente la possibilità di garantire un osservazione clinica molto più lunga».

3a – Lo studio BRIVAFIRST
A tale proposito Lattanzi cita l’esperienza del BRIVAFIRST (Brivaracetam add-on First Italian Network Study), uno studio osservazionale multicentrico retrospettivo che è stato un bellissimo esempio di network tra centri epilettologici italiani. In particolare, lo studio ha coinvolto la partecipazione di oltre 60 centri di epilettologia attraverso tutto il territorio nazionale che hanno raccolto dati sull’utilizzo del brivaracetam come terapia in add-on nei pazienti con epilessia ad esordio focale.

3b – Dati raccolti mediante un network epilettologico nazionale
«Lo studio è stato un esempio di collaborazione di un brillante network a livello nazionale proprio perché i vari centri di epilettologia sono stati coordinati attraverso sei network macroregionali che sono stati definiti su una semplice base geografica» spiega Lattanzi. «All’interno di ogni network macroregionale vi era un referente cui ovviamente facevano riferimento tutti i centri di epilessia afferenti a quelle regioni. I dati poi raccolti dai singoli network sono stati convogliati in un’unica analisi a livello globale nazionale».

3c – Criteri di inclusione e scelta degli endpoint
«Questa analisi del BRIVAFIRST ha valutato l’outcome innovativo del sustained seizure frequency reduction con il vantaggio di avere i dati di un’applicazione in un setting di real world e quindi ovviare ai limiti propri degli RCT» riprende la specialista.

«Nello studio sono stati inclusi i pazienti adulti che hanno avuto una prescrizione di brivaracetam come farmaco in add-on per la gestione dell’epilessia d’esordio focale che erano in trattamento con almeno un farmaco anticrisi a dosaggio stabile durante i 90 giorni precedenti l’introduzione del brivaracetam. Ovviamente sono stati esclusi dallo studio quei pazienti che nel periodo del baseline non avevano avuto crisi quindi che erano già liberi da crisi proprio per poter stimare poi in maniera più attendibile quella che fosse l’efficacia del trattamento aggiuntivo con brivaracetam senza quindi avere un possibile effetto di confondimento» spiega Lattanzi.

È stato uno studio retrospettivo per cui sono state valutate alcuni dati classici relative agli aspetti demografici, alla storia clinica dei pazienti, ovviamente alla tipologia di crisi di epilessia, all’eziologia e alla frequenza critica al baseline considerando quest’ultima come i tre mesi precedenti l’inizio di brivaracetam. Poi l’osservazione clinica si è estesa per i 12 mesi di follow up.

Aspetto caratterizzante, spiega Lattanzi, stata proprio la scelta degli endpoint: il sustained seizure freedom (SSF) e il Sustained seizure response (SSR), definiti come una riduzione della frequenza critica al baseline rispettivamente del 100% o =/> 50% che, una volta raggiunto questo outcome, dovesse essere mantenuto ovviamente senza che questa efficacia venisse meno durante i 12 mesi e senza che il paziente interrompesse per qualunque motivo il trattamento con brivaracetam.

«Sono stati inclusi ben 994 pazienti con un’età mediana di 45 anni, un distribuzione piuttosto equa tra sesso maschile e sesso femminile, una durata mediana di epilessia di 25 anni. L’eziologia prevalente era strutturale, il numero mediano di farmaci precedenti anticrisi utilizzati dai pazienti nella corte in studio erano di 6 e il numero di mediano di farmaci concomitanti anticrisi erano di due. Il dosaggio mediano di brivaracetam giornaliero è risultato essere di 100 mg a tre mesi è di 150 mg al 6 e a 12 mesi» riporta Lattanzi.

3d – I risultati del BRIVAFIRST
Nella globalità del 994 pazienti, prosegue, il tasso di SSF è stato del 14,3% mentre la percentuale di pazienti che risultata SSR è stata del 38,5%. Focalizzandosi su quella popolazione di pazienti che ha raggiunto la condizione di SSF è interessante notare come il 50.7% dei pazienti che nello studio hanno raggiunto tale condizione l’hanno raggiunta dal primo giorno dell’introduzione del brivaracetam e hanno mantenuto questa condizione di libertà da crisi per l’intera durata dell’osservazione clinica, quindi dal giorno 1 al mese 12.

Ancora, la percentuale di pazienti che ha raggiunto questa condizione di SFR a partire dal 4° mese e che l’ha mantenuta fino al termine del follow up di 12 mesi è stata del 32% e circa il 17% dei pazienti ha raggiunto la condizione di libertà da crisi dal 7° mese e l’ha mantenuta per tutta la durata dello studio.

3e- La rapidità di insorgenza d’azione
In maniera simile è altrettanto interessante notare come oltre il 60% dei pazienti che sono risultati essere SSR lo sono risultati dal giorno 1 di inizio del trattamento e hanno mantenuto questa riduzione della frequenza delle crisi fino al termine dello studio fino quindi al mese 12° e così in maniera parallela vediamo come il 25% dei pazienti con condizione di SSR a partire dal 4° mese l’ha mantenuta fino al 12°.

Valutando inoltre la globalità della corte di studio il SSF status è stato mantenuto per oltre 6 mesi in circa il 14% dei pazienti mentre questa condizione è stata mantenuta per oltre 9 mesi dal 12% dei pazienti e 7% dei pazienti ha mantenuto una condizione di assoluta totale libertà dalle crisi per 12 mesi. In maniera analoga valutando il SSR status si rileva che questa condizione è stata mantenuta per 6 o più mesi da circa il 40% della popolazione per 9 o più mesi dal 33% e dal 24% circa per 12 mesi ovvero per tutta la durata dell’osservazione clinica e corrisponde quindi alla percentuale di pazienti che ha raggiunto questa efficace di riduzione delle crisi dal giorno 1 dell’inizio del trattamento con brivaracetam.

3f – Uso pregresso o in corso di levetiracetam, non precluso l’add-on di brivaracetam 
«Un altro dato che è stato valutato nell’ambito del BRIVAFIRST sempre in riferimento a queste misure di outcome è stata l’analisi in relazione alla storia espositiva dei pazienti alle levetiracetam, quindi soffermandosi ancora sul SSF si nota come questa condizione è stata raggiunta dalle 16% circa dei pazienti che erano levetiracetam naive e da circa il 12% dei pazienti che avevano una storia precedente di utilizzo di levetiracetam o lo stavano utilizzando nel momento in cui è stato aggiunto il brivaracetam» afferma Lattanzi.

«Quindi queste percentuali di fatto ci suggeriscono – come del resto già noto dalla letteratura sia proveniente dagli studi registrativi che dagli studi osservazionali di real world – come l’efficacia del brivaracetam tendenzialmente sia migliore nella popolazione levetiracetam naive come il brivaracetam possa portare a significativi tassi di risposta anche nella popolazione che ha già avuto una storia espositiva al levetiracetam, non essendo quindi questo un criterio di preclusione all’utilizzo del brivaracetam» aggiunge la neurologa.

Nel BRIVAFIRST, aggiunge Lattanzi, è stata condotta anche un’ulteriore analisi esplorativa su quelle che potessero essere le potenziali ragioni di queste differenti percentuali di risposte e anche in questo caso i risultati di BRIVAFIRST sono sovrapponibili a quanto già suggerito dalla letteratura ovvero che la popolazione levetiracetam prior e la levetiracetam concomitant  è di fatto caratterizzata da un epilessia intrinsecamente più severa, infatti alcune caratteristiche – come l’età di esordio dell’epilessia, la frequenza critica al baseline o il numero di farmaci precedenti utilizzata in questa sottopopolazione – sono suggestive come di una condizione di più difficile trattamento rispetto alla popolazione levetiracetam naive e questo può spiegare almeno in parte le ridotte percentuali nella sottopopolazione con esposizione precedente al levetiracetam.

«In maniera analoga è stata condotta un’analisi stratificata dei SSR status a seconda dell’esposizione al levetiracetam» prosegue Lattanzi. « in questo caso risulta come in entrambe le sottopopolazioni si ottengono dei buoni tassi di SSR: il 20% della popolazione levetiracetam prior e il 15% della popolazione levetiracetam naive raggiungono lo stato SSR dal giorno 1 di inizio del trattamento e la mantengono per tutti i 12 mesi di osservazione».

3g – I potenziali predittori di libertà da crisi
Un ulteriore step condotto è stato quello di cercare di identificare i potenziali predittori di SSF. «Sicuramente la libertà da crisi e l’outcome fondamentale nel valutare l’efficacia di un trattamento e qualora  questa anche sostenuta, quindi protratta nel tempo, ovviamente aggiunge un dato informativo aggiuntivo, afferma Lattanzi.

«Quindi considerando l’SSF come outcome primario di questa analisi i predittori emersi di questo endpoint sono stati: un’età più avanzata, un numero minore di farmaci anticrisi precedentemente utilizzati e una più bassa frequenza critica al baseline come atteso sono risultati tutti prenditori favorevoli di raggiungimento del SSF status».

3h – L’associazione favorevole con farmaci sodio-bloccanti 
È emerso un dato molto interessante: l’utilizzo concomitante di brivaracetam con farmaci sodio-bloccanti è risultato essere un forte predittore indipendente di raggiungimento di libertà dalle crisi e del mantenimento di essa. Questo è un dato che non è del tutto inatteso: sappiamo come il concetto di politerapia razionale si basa di fatto sul considerare farmaci con meccanismi d’azione diversa come la scelta più favorevole, laddove possibile» aggiunge Lattanzi.

«Questo sembra un dato molto importante, soprattutto laddove debba essere scelta nella pratica clinica una combinazione di politerapia» sottolinea.

4 – i punti chiave del BRIVAFIRST e delle analisi post hoc degli RCT
Nel complesso, ricapitola Lattanzi, in una coorte di pazienti trattati in un setting di real world con epilessia focale non controllati dall’attuale trattamento con farmaci anticrisi, quello che deriva dall’analisi è che:

  • circa il 15%dei pazienti ha raggiunto uno stato di SSF e circa il 40% ha raggiunto una condizioni di SSR in seguito all’introduzione nella terapia del brivaceratam;
  • oltre la metà dei pazienti che sono risultati essere liberi da crisi o abbiano raggiunto una riduzione del 50% delle crisi e l’abbiano sostenuta nel tempo hanno raggiunto questo importante endpoint dal 1° giorno di inizio della terapia, quindi all’introduzione del brivaracetam, e lo hanno mantenuto per tutti i 12 mesi.

Ciò che è emerso sia dalle analisi post hoc degli RCT sia dall’analisi del BRIVAFIRST, aggiunge, è come:

  • la percentuale di pazienti che raggiunge un Sustained Seizure Control aumenta nel corso del tempo e sebbene si debba tenere presente che pazienti che raggiungono questo outcome più tardivamente hanno poi a disposizione un follow up più corto per poter esser valutati ma sembra che l’efficacia possa essere sostenuta nel tempo anche in quei pazienti che sono later responders;
  • un dato sicuramente importante che si inserisce come elemento innovativo – non valutato in ambito preclinico o clinico – è la favorevole combinazione del brivaracetam con farmaci anticrisi che abbiano come meccanismo d’azione quello di essere sodio-bloccanti;
  • nell’ambito dell’esposizione precedente al levetiracetam, di fatto lo studio BRIVAFIRST si conferma nell’alveo delle evidenze già emerse dagli studi precedenti con la possibilità di ottenere dei tassi di risposta clinica anche laddove il paziente abbia avuto un precedente esposizione, utilizzo e sospensione del levetiracetam.

5 – I take-home messages complessivi

  • Il brivaracetam sembra avere una possibilità di avere una rapida azione in termini di efficacia e che questa azione possa essere mantenuta nel tempo e questo ovviamente è una particolare opportunità utile in quelle condizioni dove è richiesta una rapida azione di efficacia.
  • Per spiegare le ragioni alla base di questa rapidità d’insorgenza d’efficacia, prendendo spunto sia dalle analisi del RIBAFIRST sia da quelle degli RCT, si può addurre il favorevole profilo di tollerabilità che di fatto permette di iniziare il farmaco già al dosaggio target senza richiedere una titolazione così come, da un punto di vista farmacocinetico, la rapida penetrazione del farmaco a livello della barriera encefalica.
  • La Sustained seizure frequency reduction si colloca in relazione ad alcune caratteristiche dei pazienti, per esempio l’età o l’eziologia dell’epilessia (e questo sarà sicuramente oggetto di future analisi.
  • Gli outcome di Sustained seizure frequency reduction sostegno possono essere molto informativi e di fatto forniscono informazioni molto preziose al clinico che deve essere guidato nella scelta del trattamento farmacologico migliore per il paziente.
  • Sono  outcome che possono fornire informazioni aggiuntive rispetto agli outcome tradizionali che generalmente non tengono in considerazione la durata dell’efficacia nel corso del tempo ed è noto che anche laddove negli RCT il tasso di seizure freedom viene riportato questo è limitato al periodo di osservazione piuttosto breve degli studi randomizzati quindi resta incerto come una short term seizure freedom possa essere un predittore valido di una seizure freedom nel long term.

«Utilizzare outcome più informativi come quelli illustrati nell’ambito sia degli studi registrativi che nell’ambito degli studi real world – e ovviamente dei vari farmaci anticrisi che oggi abbiamo a disposizione – potrebbe fornire informazioni utili per guidare sempre meglio il decision-making nella pratica clinica» conclude Lattanzi.