In Toscana, ogni anno, si registrano circa 2.650 nuovi casi di tumore del polmone (1.800 uomini e 850 donne): con il Covid diagnosi più tardive
In Toscana, ogni anno, si registrano circa 2.650 nuovi casi di tumore del polmone (1.800 uomini e 850 donne). Nell’ultimo anno, a causa della pandemia, si è osservata, nella Regione, una riduzione del 50% degli accessi ospedalieri per visite specialistiche pneumo-oncologiche. Un gap che rischia di determinare nel lungo periodo diagnosi in stadio più avanzato con implicazioni negative sul fronte della cura. “Negli ultimi anni abbiamo pienamente compreso come la diagnosi precoce sia fondamentale oltre che nel carcinoma mammario e del colon anche nel carcinoma polmonare – spiega Mauro Iannopollo, oncologo AUSL TOSCANA CENTRO –. Quando la malattia viene diagnosticata in fase avanzata, si assiste inevitabilmente ad una riduzione delle possibilità di guarigione. Questo quadro è stato travolto dagli effetti indiretti della pandemia che, soprattutto nella prima ondata, ha limitato i controlli clinici e gli esami diagnostici. Anche se la Toscana è tra le Regioni italiane in cui si sono registrate meno riduzioni dell’attività oncologica, ogni minimo ritardo va assolutamente recuperato, specie se si tiene presente che nel cancro del polmone non a piccole cellule, che rappresenta circa l’85% dei casi, è possibile intervenire con intento curativo fino al terzo stadio della malattia non metastatica. In fase più avanzata, l’obiettivo del trattamento assume prevalentemente carattere palliativo. I nostri pazienti devono tornare nelle strutture ospedaliere per i controlli e le cure. Prevenzione e diagnosi precoce sono fondamentali per sconfiggere la malattia”.
Un terzo dei pazienti con tumore del polmone non a piccole cellule riceve una diagnosi in stadio III. “In base alla stadiazione, all’esame istologico (cioè all’esame del tessuto) e alla caratterizzazione biomolecolare – afferma Vieri Scotti, oncologo e radioterapista dell’Azienda Ospedaliero-Universitaria Careggi di Firenze -, vengono assunte le decisioni sui percorsi terapeutici, che incidono sui risultati della terapia e sulla prognosi. Ad oggi, gli approcci terapeutici per il tumore al polmone localmente avanzato sono la chemioterapia seguita dalla chirurgia oppure la chemio-radioterapia, ovvero radioterapia associata alla chemioterapia, effettuate in maniera concomitante oppure una di seguito all’altra. Nei pazienti già sottoposti a chemio-radioterapia, è oggi possibile praticare un trattamento immuno-terapico di consolidamento, che può aumentare la percentuale di pazienti liberi da malattia e, quindi, potenzialmente guaribili”.
Una buona notizia arriva, in questo senso, dal Congresso della American Society of Clinical Oncology (ASCO) che si è svolto recentemente. I risultati a 5 anni dello studio di Fase III PACIFIC, hanno mostrato i grandi benefici apportati dall’immunoterapia nel carcinoma non a piccole cellule localmente avanzato. Nello specifico, si è registrato un tasso di sopravvivenza globale a cinque anni del 42,9% per i pazienti trattati con durvalumab rispetto al 33,4% con placebo dopo chemio-radioterapia. Dopo il trattamento per un massimo di un anno, il 33,1% dei pazienti trattati con durvalumab non è andato incontro a progressione cinque anni dopo l’arruolamento rispetto al 19% del placebo. “Dallo studio emerge un risultato di estremo rilievo – sottolinea il dott. Iannopollo -. Somministrare durvalumab come terapia di mantenimento, dopo trattamento chemio-radioterapico, determina un incremento del controllo a lungo termine della malattia e prefigura possibilità di guarigione per una classe di pazienti con una prognosi sfavorevole. È necessario quindi che questo approccio sia reso disponibile a tutti coloro che ne possano trarre beneficio. A maggior ragione, se si considera che i pazienti con tumore del polmone presentano maggior rischio di incorrere in complicanze respiratorie causate da Covid-19. L’indicazione per un controllo specialistico pneumo-oncologico è fornita dalla comparsa di alcuni sintomi specifici come difficoltà respiratoria, emissione di sangue con espettorato, tosse con connotati non osservati in precedenza e febbricola. Una maggiore attenzione ai campanelli d’allarme, un più consistente accesso alle strutture sanitarie, che rispettano tutti gli standard di sicurezza anti-contagio, e gli straordinari risultati della ricerca clinica possono cambiare il decorso clinico di una patologia così aggressiva”.