Quale potrebbe essere il ruolo della telemedicina nella gestione dei pazienti con epilessia? Quali strumenti sono più indicati? Lo spiega la LICE
Quale potrebbe essere il ruolo della telemedicina nella gestione dei pazienti con epilessia? Quali strumenti sono più indicati in questi casi e gli specialisti italiani sono pronti a utilizzare questo approccio per seguire i loro pazienti? Su questi temi si è focalizzata la relazione del Prof. Oriano Mecarelli, Past President della LICE, la Lega Italiana contro l’Epilessia, in occasione del 44° Congresso Nazionale della Società Scientifica.
Come ha spiegato Mecarelli, dal 2020 al 2021 le pubblicazioni sulla gestione dell’epilessia attraverso gli strumenti di telemedicina sono fortemente aumentate. La pandemia ha obbligato gli specialisti a utilizzare dei sistemi da remoto più o meno autorizzati per seguire i loro pazienti, ma è necessario affrontare questa sfida tecnologica e farla diventare un’opportunità per il futuro.
Alcune review pubblicate su riviste autorevoli hanno indicato come utilizzare la telemedicina durante l’emergenza Covid e in alcuni casi questi strumenti, seppur con dei limiti, sono stati utilizzati per le nuove diagnosi e per prescrivere farmaci anticrisi. In questo periodo la telemedicina è stata utilizzata anche per i pazienti già diagnosticati e in trattamento e attraverso le televisite è stato possibili discutere con loro di diverse problematiche che dovevano necessariamente essere risolte in fretta.
Una survey condotta sulle persone con epilessia afferenti all’Ospedale Bambino Gesù di Roma mostra i vantaggi dei sistemi di controllo da remoto, ma anche gli svantaggi, identificati soprattutto nella perdita dell’approccio multidisciplinare. Come spiega Mecarelli, questo limite potrebbe però essere superato utilizzando i sistemi di teleconsulto che permettono a diversi specialisti di scambiarsi esami, analisi e opinioni su un determinato caso clinico.
“Secondo la mia opinione, in epilettologia possiamo utilizzare i sistemi di telemedicina anche per le prime visite, soprattutto in situazioni di estrema emergenza. Ma l’opinione di altri colleghi è differente dalla mia. Sicuramente, anche in caso di prima visita si può raccogliere l’anamnesi del paziente, si possono visionare esami già effettuati, si potrebbero anche prescrivere nuovi esami o farmaci, ovviamente con molta attenzione e cautela. La letteratura ci dice che è fattibile effettuare un esame obiettivo neurologico anche da remoto, anche se ovviamente con molti limiti. Sicuramente la televisita è importante nei pazienti già inquadrati dal punto di vista diagnostico, permette di controllare l’andamento delle crisi, gli eventi avversi dei farmaci e di suggerire modifiche terapeutiche”, ha spiegato Mecarelli.
Uno dei limiti della telemedicina, secondo l’esperto, riguarda l’impossibilità di effettuare da remoto l’elettroencefalogramma (EEG), “anche se si potrebbe trovare una soluzione anche per questo”, aggiunge.
“Si sta cominciando a discutere molto del fatto di poter utilizzare la tele-neurofisiologia e la letteratura ci segnala già la possibilità tecnica di eseguire per esempio delle video-EEG-telemetrie a casa del paziente e non in ambiente di ricovero. Sempre più spesso la letteratura ci suggerisce l’utilizzo pratico di sistemi di monitoraggio a lungo termine dell’ EEG, monitoraggi che potranno in futuro diventare anche a “ultra-long term”, con applicazioni sia di tipo diagnostico che terapeutico e speriamo che questa sia sempre più una possibilità pratica utilizzabile nella realtà clinica di tutti i giorni”, ha aggiunto l’esperto.
Molto importante è poi il monitoraggio attivo da parte del paziente, ovvero quello che viene definito in inglese “self management”. E’ necessario quindi sollecitare le aziende ospedaliere a utilizzare e far utilizzare applicazioni e portali dedicati dove il paziente possa tenere un diario preciso delle crisi, scrivere promemoria sull’assunzione di farmaci, segnalare gli effetti avversi e comunicare attivamente con il curante attraverso sistemi audio-video.
“Grazie all’azienda farmaceutica UCB, anni fa abbiamo cercato di diffondere il più possibile l’utilizzo anche in Italia di un diario elettronico e attualmente stiamo tentando di validare una app che si chiama “PurpleCare”, dedicata alle persone con epilessia”, ha spiegato Mecarelli.
Un altro aspetto che ha sottolineato il professore è la possibilità da parte di questi pazienti di utilizzare devices indossabili che possano raccogliere dati molto importanti sulla malattia. Attualmente, questi dispositivi presentano dei problemi di sensibilità e non sono adatti a tutti i tipi di crisi. Quello dei devices indossabili è un campo che può avere molte potenzialità ma va sicuramente migliorato. Le linee guida appena pubblicate dell’International League Against Epilepsy e dell’international Federation of Clinical Neurophysiology, hanno cercato di fornire delle raccomandazioni riguardo l’utilità dei devices indossabili, per ora dimostrata solo in alcuni tipi di crisi.
Ma qual è l’utilizzo pratico delle tecnologie digitali nella real life per il controllo da remoto dell’epilessia? A questa domanda ha cercato di rispondere una survey alla quale hanno risposto 140 epilettologi italiani, aderenti a LICE.
Alla domanda “al momento attuale utilizzi strumenti di telemedicina nella tua pratica clinica?” il 93 per cento ha risposto sì. Nell’89 per cento dei casi gli strumenti utilizzati erano però le mail tradizionali e nel 21 per cento dei casi erano mail certificate e il 65 per cento dei partecipanti utilizzava la messaggistica. Non si parla quindi di veri e propri strumenti di telemedicina autorizzati.
Inoltre, dalla survey è emerso che i sistemi audio-video sono molto utilizzati e alla domanda “come utilizzerebbe la telemedicina nella sua pratica clinica?”, il 61 per cento degli intervistati ha risposto per le visite di controllo. Le altre risposte includevano l’analisi dei diari elettronici delle crisi, l’utilizzo di devices indossabili e di app dedicate. La maggior parte degli intervistati ha risposto però di non voler continuare in futuro a comunicare da remoto con i propri assistiti attraverso la messaggistica e praticamente nessun intervistato pensa sia possibile risolvere il problema dell’EEG da remoto.
Alla domanda “che tipo di sistemi di telemedicina utilizzi?”, il 73 per cento ha risposto sistemi di tipo aziendale e il 67 per cento sistemi personali. Nel 68 per cento dei casi questi sistemi vengono utilizzati fuori dall’orario lavorativo. Più del 90% degli intervistati ritiene che la telemedicina debba essere autorizzata e retribuita allo stesso modo delle prestazioni in presenza.
“Il paziente deve essere al centro di tutto. La telemedicina deve aiutarci a migliorare la qualità di vita dei nostri assistiti. Le linee di indirizzo nazionali indicano la telemedicina specialistica come un approccio per migliorare la salute del paziente attraverso una presa in carico multidisciplinare e una educazione all’autogestione. Come altre malattie neurologiche, ad esempio la sclerosi multipla, anche l’epilessia si presta ad essere gestita da remoto attraverso la televisita, la tele-neurofisiologia, il teleconsulto, la telecooperazione sanitaria e la teleassistenza”, ha concluso Mecarelli.