Il 19 luglio 1992 un’autobomba piazzata dalla mafia in Via D’Amelio uccise il magistrato Paolo Borsellino e cinque agenti della scorta
Oggi, 29 anni fa. Il 19 luglio 1992 è una data che resterà segnata per sempre nella storia del nostro Paese. In via d’Amelio, a Palermo, il giudice Paolo Borsellino veniva ucciso insieme agli agenti della scorta Emanuela Loi, Agostino Catalano, Vincenzo Li Muli, Walter Eddie Cosina, Claudio Traina.
Quando morì, ricorda la Dire Giovani (www.diregiovani.it), Paolo Borsellino aveva 51 anni e da 28 anni faceva il magistrato. Era stato a capo della Procura di Marsala prima di dirigere quella del capoluogo siciliano. Insieme al suo collega Giovanni Falcone, era impegnato nella lotta alle mafie e in particolare a Cosa Nostra, cosca siciliana all’epoca egemone nel panorama malavitoso internazionale oltre che italiano. Secondo le indagini e diverse sentenze negli anni a seguire, è stato proprio il cartello capeggiato dal boss Totò Riina ad aver organizzato e messo in atto le stragi in cui hanno perso la vita i due magistrati.
L’ATTENTATO
16.58. Questo l’orario preciso in cui esplose la bomba nascosta all’interno di un’auto. Il giudice Paolo Borsellino si era recato in via D’Amelio dove abitavano la madre e la sorella. Aveva prima pranzato con la moglie Agnese e i figli Manfredi e Lucia. La Fiat 126 con circa cento chili di tritolo a bordo scoppiò al passaggio del giudice, uccidendo anche i cinque agenti.
IL RICORDO DEL PRESIDENTE MATTARELLA
“Paolo Borsellino, e come lui Giovanni Falcone, sapevano bene che la lotta alla mafia richiede una forte collaborazione tra Istituzioni e società. Per questo si sono spesi con ogni energia. Da magistrati hanno espresso altissime qualità professionali. Hanno intrapreso strade nuove, più efficaci, nelle indagini e nei processi. Hanno testimoniato, da uomini dello Stato, come le mafie possono essere sconfitte, hanno dimostrato che la loro organizzazione, i loro piani possono essere svelati e che i loro capi e i loro sicari possono essere assicurati alla giustizia. Per questo sono stati uccisi. Non si sono mai rassegnati e si sono battuti per la dignità della nostra vita civile. Sono stati e saranno sempre un esempio per i cittadini e per i giovani”.