Tumore della prostata: sono 37mila le nuove diagnosi ogni anno in Italia. Con la pandemia si è avuta una riduzione del 30% degli interventi chirurgici
Il Covid-19 spazza via i volumi di attività della chirurgia prostatica, con riduzioni del 30% nelle Regioni a maggiore incidenza epidemica come la Lombardia, ma con pesanti contrazioni – meno 50% in Basilicata – anche sulle performance di quelle meno colpite dal virus. “Tutto il Paese fatica a riorganizzare i reparti e a gestire le liste d’attesa – spiega il Prof. Vincenzo Mirone, ordinario di Urologia dell’Università Federico II di Napoli e Presidente di Fondazione PRO – ma c’è anche, ancora, la paura del contagio da parte di molti pazienti, spesso anziani e affetti da altre patologie. Si stima una riduzione di circa il 30% delle visite, un calo davvero preoccupante. Questi gli effetti dell’onda d’urto dell’epidemia sulla prevenzione del cancro della prostata e sulle terapie di chi, spaventato dalla paura del virus, spesso trascura il rispetto di cure e follow-up”.
“Una neoplasia – prosegue Mirone – che vede 37.000 nuove diagnosi ogni anno in Italia – la metà delle quali nel 2020 perse a causa del Covid – e che, dopo il melanoma, negli over 50 è la più frequente negli uomini, con il 20% di tutti i tumori maschili. L’età media al momento della diagnosi è di 72 anni e si sviluppa più frequentemente a partire dai 50 anni. Soprattutto alle 564.000 persone che nel nostro Paese convivono con questa diagnosi è rivolta la seconda fase della nostra campagna ‘Per il cancro non c’è lockdown’, realizzata con il supporto incondizionato di Ipsen S.p.A. Tra le proposte del progetto, alcuni approfondimenti ospitati sulla nostra web tv, un booklet destinato ai pazienti, stampato e distribuito in 10 centri di eccellenza urologica e, dopo l’enorme successo dello spot promosso insieme a Massimiliano Allegri, un’altra clip che vede testimonial d’eccezione Carlo Verdone”.
“Queste campagne di awareness nei confronti di pazienti e caregiver – spiega il Prof. Giuseppe Procopio, Responsabile Oncologia Medica genitourinaria della Fondazione IRCCS Istituto Nazionale dei Tumori di Milano – sono benedette. Con le vaccinazioni contro il Covid-19, speravamo in una ripresa di maggiore efficacia. E invece le migrazioni sanitarie dal Sud al Nord si sono fermate, i nostri pazienti anziani che vivono nel Mezzogiorno ancora temono spostamenti e contagi. Ma un ritardo di 3-6 mesi nelle terapie può essere fatale a molti di loro. Ruolo chiave in una situazione come l’attuale, ma anche in un futuro di lenta ripresa in una nuova normalità, lo hanno le terapie a lungo termine, trimestrali e semestrali. Grazie a una diagnosi precoce ma anche a una buona aderenza alle terapie, le persone colpite, vive a 5 anni dal verdetto, sono oltre il 90%. Un dato notevole, considerata l’età mediamente avanzata dei pazienti e la frequente presenza di altre patologie croniche in corso. Con le terapie a lungo termine possiamo tornare, in totale sicurezza, a centrare gli obiettivi raggiunti prima della pandemia”.
“Nel 2020 – interviene il Prof. Corrado Franzese, Presidente Nazionale della Società Italiana Urologia Territoriale (SIUT) – sull’altare del Covid abbiamo dovuto spesso sacrificare la continuità delle cure. Insieme alle terapie a lungo termine, un’altra risorsa che si è affacciata sul nostro scenario è la Telemedicina. Non dobbiamo perdere questa straordinaria occasione, che è un pezzo di futuro dell’Urologia, territoriale e non. I nostri pazienti sono per lo più uomini anziani affetti da comorbidità spesso croniche, come diabete, obesità o ipertensione. La Telemedicina, con un opportuno training dei clinici, ma anche dei pazienti, contribuisce a mettere questi ultimi nelle condizioni di non abbandonare i trattamenti”.
“La futura sostenibilità del Servizio Sanitario Nazionale – conclude il Prof. Mirone – passa anche attraverso scelte di campo sulle terapie a lunga durata o di deposito, valide soprattutto in caso di carcinoma prostatico avanzato e strategiche rispetto all’aderenza alle cure. Con questo approccio risparmieremo innanzitutto vite umane e prognosi infauste, ma anche alti costi indiretti legati alla mancata vita attiva dei malati e dei loro caregiver. L’appello ai pazienti è dunque di non dimenticare che ‘Per il cancro non c’è lockdown’ e per la persona ammalata di cancro della prostata c’è sempre il proprio urologo o oncologo”.