Diabete: liraglutide e insulina glargine migliori seconde linee in aggiunta a metformina secondo i risultati dello studio GRADE
Liraglutide e insulina glargine hanno fornito prestazioni complessivamente migliori rispetto a glimepiride e sitagliptin come singoli agenti in aggiunta a metformina per il trattamento di pazienti con diabete di tipo 2. È quanto emerge dai risultati preliminari dello studio GRADE, presentati al congresso dell’American Diabetes Association (ADA) 2021.
Lo studio randomizzato GRADE ha coinvolto per circa 5 anni oltre 5.000 pazienti con diabete di tipo 2 in 36 centri statunitensi ed è stato progettato per stabilire quale fosse il miglior agente di seconda linea per i diabetici in trattamento con metformina. Il confronto includeva due farmaci orali, la sulfonilurea glimepiride e l’inibitore DPP-4 sitagliptin, e due farmaci iniettabili, ovvero insulina glargine e il GLP-1 agonista liraglutide.
L’endpoint primario era la variazione del livello di emoglobina glicata (HbA1c) e il controllo glicemico complessivo. Gli endpoint secondari includevano le variazioni di peso e le complicanze cardiovascolari, renali, gastrointestinali e di altro tipo.
Riguardo l’endpoint primario liraglutide e insulina basale glargine sono stati più performanti nel mantenere la HbA1c al di sotto del 7%, con risultati quasi equivalenti. Durante un follow-up medio di 5 anni, le percentuali di pazienti che ottenevano livelli glicemici del 7% o superiore erano del 67% tra quelli randomizzati a insulina glargine, del 68% in quelli trattati con liraglutide, del 72% nel gruppo glimepiride e del 77% con sitagliptin.
Un invito a valutare questi dati con cutela arriva però dal professor Agostino Consoli, Presidente della Società Italiana di Diabetologia. «Uno studio pur così ampio ed articolato come il GRADE non fornisce informazioni definitive sul trattamento ‘migliore’ per il diabete di tipo 2, per almeno due ragioni: in primo luogo perché non sono stati inclusi nello studio i farmaci delle classe degli SGLT2 inibitori, introdotti nella pratica clinica più di recente e che stanno accumulando dati che ne dimostrano la loro significativa efficacia nel ridurre il rischio di scompenso cardiaco e di progressione della malattia renale. In seconda istanza perché è stato esplorato solo un approccio ‘sequenziale’ al trattamento della malattia diabetica (che si è dimostrato comunque inadeguato a limitare la progressione della malattia), mentre i dati da altri studi suggeriscono che iniziare con due farmaci insieme potrebbe essere utile a modificare la progressione del diabete» ha commentato. «Tuttavia lo studio GRADE ha confermato che il trattamento con farmaci innovativi come gli agonisti recettoriali del GLP-1 può avere un impatto sul rischio cardiovascolare di questi pazienti. Inoltre la molecola di questa classe utilizzata nello studio ha confermato di essere capace di indurre una diminuzione del peso corporeo e di essere associata a un bassissimo rischio di ipoglicemia».
Dati ancora preliminari ma non lontani da quelli definitivi
«L’obiettivo finale di GRADE è aiutare i medici a selezionare le terapie che possono funzionare meglio per i singoli pazienti, poiché la cura del diabete non prevede un approccio unico per tutti» ha osservato David Nathan, responsabile dello studio e direttore del Diabetes Center del Massachusetts General Hospital.
I dati presentati non sono ancora quelli definitivi, dal momento che rappresentano il 90% dei risultati, ma alcuni clinici hanno comunque tratto alcune conclusioni. «Una piacevole sorpresa è stata la performance dell’insulina basale» ha affermato Julio Rosenstock, direttore del Dallas Diabetes Research Center non coinvolto nello studio. «I risultati confermano la bontà della terapia con insulina basale per le tipologie di pazienti con diabete di tipo 2 che hanno partecipato al trial».
Alcuni hanno criticato l’assenza degli SGLT2 inibitori, fatto che renderebbe i risultati di GRADE già obsoleti, come ha osservato David Matthews, professore di medicina del diabete presso l’Università di Oxford, in UK. A questo proposito i ricercatori hanno fatto presente che nel 2013, quando è stato avviato l’arruolamento, questa classe non era ancora ben consolidata per il diabete di tipo 2 e hanno optato per la cautela nell’includere nella sperimentazione un agente che avrebbe potuto rivelarsi problematico. Inoltre l’aggiunta di un quinto farmaco avrebbe richiesto il raddoppio delle iscrizioni, con un impatto sui finanziamenti concessi dal National Institutes of Health.
Liraglutide e insulina glargine meglio delle altre classi
I pazienti arruolati in GRADE avevano un’età media di 57 anni, il 64% erano uomini, il 66% erano bianchi e il 20% erano neri, con una durata media del diabete di tipo 2 di 4,2 anni. L’indice di massa corporea (BMI) medio al basale era di circa 34 kg/m2, la HbA1c nel range 6,8%-8,5% e la velocità di filtrazione glomerulare stimata media era di 95 ml/min/1,73 m2. Lo studio ha incluso un periodo di run-in di 6-12 settimane durante il quale il trattamento di base con metformina è stato ottimizzato perr raggiungere livelli medi HbA1c inferiori al 7%, dopodiché i pazienti sono stati randomizzati a ricevere uno dei quattro agenti come trattamento aggiuntivo.
Sia liraglutide che insulina glargine hanno ottenuto buoni risultati su molti dei numerosi parametri dello studio. L’outcome di progressione della malattia, definito da valori di HbA1c del 7,5%, è stato raggiunto dal 39% dei pazienti che assumevano insulina glargine, significativamente inferiore al 46% del gruppo liraglutide, a sua volta significativamente inferiore al 50% del gruppo glimepiride e al 55% dei soggetti trattati con sitagliptin.
Un trittico di esiti cardiovascolari ha mostrato un beneficio significativo di liraglutide rispetto agli altri tre farmaci per l’endpoint relativo a qualsiasi evento cardiovascolare, che includeva non solo gli eventi avversi cardiovascolari maggiori (MACE, morte per causa cardiovascolare, infarto miocardico o ictus), ma anche molti altri eventi come insufficienza cardiaca o angina instabile che necessitano di ricovero, rivascolarizzazione o qualsiasi riparazione arteriosa, trombosi dello stent o attacco ischemico transitorio.
Per l’endpoint che includeva qualsiasi evento cardiovascolare, il tasso era del 5,8% per i pazienti che assumevano liraglutide, significativamente inferiore al 7,6% di quelli trattati con insulina glargine, all’8,0% del gruppo glimepiride e all’8,6% con sitagliptin.
Per ciascuno degli altri due principali endpoint cardiovascolari – MACE e ricovero per insufficienza cardiaca – liraglutide ha mostrato un vantaggio non significativo rispetto agli altri tre farmaci. Lo stesso per la morte per tutte le cause.
Liraglutide ha dato risultati migliori rispetto agli altri agenti anche riguardo al tasso, significativamente inferiore, di pazienti che durante il follow-up hanno avuto bisogno di farmaci antipertensivi o hanno mostrato un aumento della pressione sanguigna oltre 140/90 mmHg (al basale era mediamente 128/77 mmHg per tutti i pazienti)
Inoltre dopo 4 anni, i pazienti trattati con liraglutide hanno perso in media circa 4 kg rispetto al loro peso basale (mediamente di circa 100 kg), un calo simile a quello ottenuto con sitagliptin ma significativamente superiore a glimepiride o insulina glargine.
I quattro farmaci hanno portato a risultati simili nella funzione renale, polineuropatia sensoriale distale e colesterolo LDL. Lo stesso per il profilo di sicurezza, con tassi di effetti collaterali gravi che rientravano tutti nell’intervallo 33%-37%.
Diversamente, gli episodi ipoglicemici gravi che hanno richiesto assistenza per il trattamento sono stati del 2,3% con glimepiride, 1,4% con insulina, 0,9% con liraglutide e 0,7% con sitagliptin. I sintomi gastrointestinali si sono verificati in circa il 50% dei pazienti in tre dei gruppi di trattamento, ma erano significativamente più elevati nei pazienti trattati con liraglutide (60%).